CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2018, n. 21947
Contratto a tempo determinato – Nullità del termine – Trasformazione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Retribuzione
Rilevato
che con decreto del 6 dicembre 2016 -17 gennaio 2017 numero 534 il Tribunale di Lecce respingeva la opposizione proposta da L. C. avverso lo stato passivo del fallimento della società S. E. S.p.A. per la insinuazione del proprio credito per TFR, nell’importo di euro 10.704,55, in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso con la società fallita dal 16 giugno 2003 al 15.1.2013;
che a fondamento della decisione il Tribunale osservava che con precedente sentenza del medesimo ufficio (nr. 13163/2010) era stata accertata la nullità del termine apposto al contratto di lavoro con la società e la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro. I diritti derivanti dalla sentenza erano di natura risarcitoria e ciò anche nel regime anteriore alla disposizione dell’articolo 32, comma 5, della legge 4 novembre 2010, n. 183, non ancora vigente alla data della pronuncia. Era pertanto esclusa la maturazione del TFR per i periodi non lavorati; non vi era la prova dell’asserito ripristino del rapporto di lavoro in esito alla sentenza dichiarativa della nullità del termine;
che avverso il decreto ha proposto ricorso L. C., articolato in due motivi, cui il curatore del fallimento della società S. E. S.p.A. non ha opposto difese;
che la proposta del relatore è stata comunicata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’articolo 380 bis codice di procedura civile
Considerato
che la parte ricorrente ha dedotto:
– con il primo motivo — ai sensi dell’ articolo 360 numero 3 codice di procedura civile — violazione e falsa applicazione dell’articolo 2120 codice civile in relazione all’articolo 2909 codice civile.
Ha esposto che il Tribunale di Lecce con precedente sentenza del 19 novembre 2010 numero 13163, confermata in appello (sentenza della Corte di Appello di Lecce nr. 2247/2013), aveva dichiarato la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro instaurato tra le parti in data 16 giugno 2003 e condannato il datore di lavoro al ripristino della sua funzionalità ed al pagamento di una somma pari alle retribuzioni maturate dal 24 luglio 2008.
La statuizione del decreto impugnato, secondo cui le somme dovute sulla base della sentenza avevano natura risarcitoria era, dunque, in contrasto con il giudicato, che le aveva qualificate di natura retributiva.
Vi era inoltre contrasto con la sostanza del giudicato che, dichiarando la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, determinava il diritto del lavoratore alle retribuzioni arretrate.
In ogni caso, lo stesso articolo 32 della legge 183/2010 — richiamato nel decreto seppur non temporalmente applicabile – aveva semplicemente forfettizzato il diritto alle retribuzioni arretrate, fermo restando il diritto al TFR.
Dal giudicato scaturivano gli obblighi del datore di lavoro al pagamento delle retribuzioni e del dipendente alla prestazione lavorativa, quest’ultimo non adempiuto per responsabilità dello stesso datore di lavoro; da ciò il diritto del lavoratore ad una retribuzione «virtuale», sulla base della quale calcolare il TFR;
– con il secondo motivo — ai sensi dell’articolo 360 numero 5 codice di procedura civile — omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione delle parti, consistente nel fatto che il giudicato aveva qualificato le somme dovute come «retribuzioni» ;
che ritiene il Collegio si debba parzialmente accogliere il ricorso, nei sensi di cui segue;
che, invero, i due motivi, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, sono infondati nella parte in cui assumono la violazione del precedente giudicato e l’omesso esame dei suoi contenuti.
Per quanto esposto nello stesso ricorso, la precedente sentenza dell’anno 2010, divenuta definitiva, nel dichiarare la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e nel condannare la società S. E. spa al suo ripristino, la condannava, altresì, al pagamento «di una somma pari alle retribuzioni maturate dal 27.4.2008». La sentenza conteneva all’evidenza una condanna al risarcimento del danno e non al pagamento delle retribuzioni: da un canto, la misura delle retribuzioni era indicata come mero parametro («una somma pari alle retribuzioni») e non come oggetto diretto della condanna, dall’altro, la decorrenza dell’importo da corrispondere era fissata dal 27.4.2008 ovvero senza prevedere il pagamento delle retribuzioni per i cd. intervalli non lavorati (ma, evidentemente, facendo maturare il diritto dalla data della costituzione in mora del datore di lavoro).
Tanto in conformità al costante orientamento espresso da questo giudice di legittimità in riferimento alla disciplina anteriore alle disposizioni dell’articolo 32 co. 5 legge 183/2010, secondo cui, nel caso di trasformazione in un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, dall’accertata illegittimità dell’apposizione del termine non conseguiva il diritto del lavoratore alla retribuzione per l’intero periodo, compresi gli «intervalli non lavorati» fra l’uno e l’altro rapporto, mancando una deroga al principio generale di effettività e corrispettività delle prestazioni; il lavoratore poteva ottenere il risarcimento del danno subito a causa dell’impossibilità della prestazione, derivante dall’ingiustificato rifiuto del datore di lavoro di riceverla, a condizione che il datore stesso fosse stato posto in una condizione di mora accipiendi (per tutte: Cass., sez. un., 8 ottobre 2002 n. 14381).
Il ricorso va dunque respinto anche nella parte in cui assume il contrasto del decreto impugnato con la sostanza del giudicato, per la non condivisibilità dell’assunto difensivo secondo cui da l’accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro derivava il diritto del lavoratore al pagamento delle retribuzioni anche in riferimento ai periodi non lavorati.
Deve conclusivamente affermarsi la correttezza del decreto impugnato, seppure, per quanto si dirà poi, relativamente al solo periodo del rapporto di lavoro anteriore alla sentenza del Tribunale di Lecce nr. 13163/2010; l’’accertamento della natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro non comportava, cioè, la maturazione di importi per TFR ulteriori rispetto a quanto liquidato alla cessazione dei rapporti a termine.
Il TFR, infatti, non solo ha natura retributiva ma è altresì commisurato nell’ammontare al quantum maturato, anno per anno, a titolo di retribuzione.
Deve tuttavia darsi conto dei riflessi derivanti su questo pacifico orientamento dal più recente arresto di Cass. Civ. Sezioni Unite 7 febbraio 2018 nr. 2990,che, seppure relativo ad una fattispecie di interposizione fittizia di manodopera, ha espresso un principio di diritto dichiaratamente attinente al «più generale fenomeno dell’incoercibilità del comportamento e della cooperazione datoriale (nemo ad factum praecise cogi potest), il quale è strettamente correlato al principio della necessaria effettività della tutela processuale e, dunque, della piena attuazione dei diritti del lavoratore, principi opposti che impongono l’individuazione di un punto di equilibrio».
Si è ivi affermato che una interpretazione costituzionalmente conforme (sia della specifica disciplina di cui al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 sia) della normativa generale del codice civile in tema di contratti a prestazioni corrispettive (art. 1453 c.c. e segg.) induce al superamento della regola sinallagmatica della corrispettività — (intesa come riconoscimento al lavoratore, che chiede l’adempimento, del solo risarcimento del danno in caso di mancata prestazione lavorativa) — nei casi in cui il datore di lavoro, senza giustificato motivo, nonostante la sentenza che accerta il vincolo giuridico e l’ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro, non provveda alla riammissione in servizio del lavoratore a fronte dell’offerta della sua prestazione.
Nella situazione in cui il lavoratore, dopo avere richiesto l’accertamento giudiziale della invalidità del contratto in violazione di norme imperative ed ottenuto l’ordine giudiziale di ripristino del rapporto, offra al datore di lavoro la sua prestazione, senza essere riammesso in servizio, deve evitarsi che egli subisca le ulteriori conseguenze sfavorevoli derivanti dalla condotta omissiva del datore di lavoro rispetto alla esecuzione dell’ordine giudiziale : il rifiuto della prestazione lavorativa, offerta dal lavoratore, impedisce gli effetti giuridici che derivano dalla continuazione del rapporto dichiarato dal giudice nonché la stessa effettività della pronuncia giudiziale.
In tale ipotesi il datore di lavoro dovrà sopportare il peso economico delle retribuzioni — pur senza ricevere la prestazione lavorativa corrispettiva – a decorrere dalla messa in mora.
Dal principio di diritto sopra esposto deriva, in particolare, con riguardo alla fattispecie del contratto a termine, che a seguito dell’ accertamento della nullità del termine e dell’ordine giudiziale di ripristino del rapporto di lavoro, il lavoratore ha diritto alle retribuzioni, dalla data della costituzione in mora, in caso di mancata ricostituzione del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro senza giustificato motivo.
Il diritto alle retribuzioni comporta, altresì, la maturazione del TFR, in relazione a quanto dovuto per retribuzioni anno per anno.
Tale principio è applicabile alla fattispecie di causa, posto che la sentenza del Tribunale di Lecce del 19.11.2010 (nr. 13263) accertava la natura a tempo indeterminato del rapporto di lavoro e condannava la società S. E. spa alla sua ricostituzione.
Il decreto impugnato deve essere pertanto cassato e gli atti rinviati al Tribunale di Lecce in diversa composizione, perché provveda ad applicare il principio di diritto sopra indicato, previa verifica, in punto di fatto, della intervenuta offerta della prestazione lavorativa da parte del C. in epoca successiva all’ordine giudiziale di ripristino della funzionalità del rapporto di lavoro;
che il giudice del rinvio provvederà altresì alla disciplina delle spese del presente grado.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa il decreto impugnato e rinvia, anche per le spese, al Tribunale di Lecce in diversa composizione.
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