CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2018, n. 21966
Accertamento ispettivo – Dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori prevalenti sulle dichiarazioni rilasciate in giudizio – Lavoratori che equivocano la data di inizio della prestazione – Completa ignoranza della lingua italiana – Valutazione della questione appartiene all’ambito del giudizio di merito – Assenza di vizi logici e giuridici – Ricorso inammissibile
Ritenuto che
con sentenza n. 115/2012 la Corte d’appello di Ancona rigettava l’impugnazione proposta dalla F.L. Srl avverso la sentenza che aveva respinto la domanda di accertamento negativo degli obblighi contributivi di cui al verbale Inps n. 511 del 27/3/2007;
a fondamento della decisione la Corte osservava che, sebbene dovesse condividersi la tesi secondo cui l’onere della prova del credito contributivo gravi sempre sull’Inps, nel caso in esame la tesi espressa sul punto dal primo giudice doveva essere correttamente intesa nel senso che l’odierna appellante non avesse fornito elementi che potessero mettere in crisi il corredo probatorio offerto dall’Inps, intrinsecamente idoneo a soddisfare l’onere che le incombeva; neppure era vero che la sentenza avesse ritenuto le dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori sempre prevalenti sulle dichiarazioni rilasciate in giudizio, dal momento che la statuizione di primo grado era basata sul diniego di attendibilità delle testimonianze rese in giudizio in quanto semplicemente inidonee a fondare il convincimento del giudicante; in quanto non era credibile la circostanza secondo cui, rispetto alle dichiarazioni rese agli ispettori, tutti i lavoratori avessero equivocato la data di inizio della prestazione, per la loro completa ignoranza della lingua italiana; e ciò sia per la banalità concettuale della domanda circa la data di inizio della prestazione, sia perché si trattava di soggetti non del tutto ignari della lingua italiana; il fatto poi che tutti i lavoratori – persino quelli che digiuni l’italiano non potevano essere – avessero in giudizio “rettificato” le dichiarazioni rese agli ispettori, lungi dall’inficiare queste ultime confermava piuttosto la completa inattendibilità delle testimonianze tutte rese in giudizio; il che era anche confermato dal rilievo che le prime dichiarazioni fossero state, con più dovizia di particolari, confermate nel marzo del 2007 dopo ulteriore residenza in Italia; in conclusione il complessivo quadro probatorio evidenziato dall’Inps confortava pienamente ed univocamente il non trascurabile rilievo indiziario delle dichiarazioni dei lavoratori; inoltre, non poteva ritenersi sussistente l’ipotesi del distacco ex articolo 27, comma 1° lett. g) decreto legislativo n. 286/1998, tanto più in considerazione dell’assenza di allegazione e prova di qualsivoglia interesse della società distaccante, che non può risolversi nella semplice esistenza del collegamento societario;
contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione la F.L. Srl con quattro motivi di ricorso ai quali ha resistito l’Inps con controricorso;
Considerato che
col primo motivo viene dedotta violazione di legge per falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. in materia di riparto dell’onere della prova in relazione all’articolo 2094 codice civile in tema di rapporto di lavoro subordinato, nonché degli articoli 115 e 116 c.p.c. e conseguente e falsa interpretazione applicazione dei principi in materia già espressi da codesta Suprema Corte, avendo il giudice d’appello affermato che gravasse sul contribuente l’onere di dimostrare fatti che contraddicano quelli affermati dal creditore;
col secondo motivo viene dedotta violazione di legge per falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c. in materia di riparto dell’onere della prova in relazione all’articolo 2094 c.c. in tema di rapporto di lavoro subordinato, nonché degli articoli 115 e 116 c.p.c. e conseguente falsa interpretazione applicazione dei principi in materia già espressi da codesta Suprema Corte sulle dichiarazioni rese agli ispettori in sede di verbale di accertamento amministrativo e di limiti di valore e portata probatoria del verbale ispettivo Inps (anche in relazione all’articolo 2700 codice civile);
i primi due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la connessione delle censure, sono infondati in quanto si risolvono, in realtà, in una generale doglianza della complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata alla quale la società ricorrente si limita a contrapporre (peraltro al di fuori dei canoni stabiliti dell’art. 360 n. 5 c.p.c. e del principio di autosufficienza) una propria diversa interpretazione, al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto correttamente effettuati dal giudice d’appello; la valutazione in questione appartiene all’ambito tipico del giudizio di merito ed essendo scevra da vizi logici e giuridici si sottrae a qualsiasi sindacato in questa sede di legittimità; costituisce ius receptum la tesi secondo cui è devoluta al giudice del merito l’individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta, fra le risultanze istruttorie, di quelle ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, in ragione del loro diverso spessore probatorio, con l’unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato;
in particolare nessuna violazione di legge in materia di riparto dell’onere della prova è rinvenibile nella sentenza impugnata; neppure in relazione ai principi valevoli in materia di giudizi di accertamento negativo e di valore delle dichiarazioni rese agli ispettori in fase amministrativa e di portata del relativo verbale ispettivo; i giudici di merito, attribuendo (secondo i propri canonici poteri di valutazione della prova) maggior credito alle dichiarazioni rese dai lavoratori in fase amministrativa, hanno infatti ritenuto sussistere un vero e proprio rapporto di lavoro subordinato tra i lavoratori rumeni in questione e la società ricorrente dalla data indicata nel verbale ispettivo, con ogni conseguenza di legge anche con riferimento all’obbligo di pagamento dei contributi previdenziali all’Inps;
col terzo motivo viene dedotta violazione falsa applicazione dell’articolo 27, comma 1° lett. g) decreto legislativo numero 286/98 nella parte in cui la Corte anconetana – citando all’uopo una sentenza del 1986 – ha ritenuto insussistente l’ipotesi del distacco in assenza di allegazione e prova di alcun interesse della società (rumena) distaccante, nonché violazione falsa applicazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. il motivo è infondato posto che la sentenza impugnata ha escluso (in fatto ed in diritto) l’ipotesi del distacco, e pertanto la censura in oggetto, tutta incentrata sulle conseguenze derivanti in ipotesi di legittimo distacco – che consentirebbe al lavoratore di mantenere l’assoggettamento alla legislazione previdenziale del paese in cui opera normalmente durante il periodo in cui è inviato dal proprio datore a prestare la sua opera un altro stato membro con esenzione dall’obbligo contributivo in capo al distaccatario – non riesce a scalfire la ratio decidendi della pronuncia impugnata; col quarto motivo viene dedotto vizio di motivazione in relazione all’omessa valutazione dell’apposita capitolazione di prova articolata da parte ricorrente anche in merito ai rapporti contrattuali ed ai pagamenti fra la società italiana e quella rumena; il motivo è inammissibile per violazione del principio di autosufficienza in quanto non riproduce nel ricorso in maniera testuale ed integrale le allegazioni e le prove che la ricorrente avrebbe fornito in giudizio sia in primo che in secondo grado per dimostrare l’esistenza dell’interesse del distaccante, ritenuto necessario ai fini della legittimità del distacco; omettendo altresì di dedurre fatti decisivi oggetto di discussione tra le parti ex art. 365 n. 3 c.p.c.;
per i motivi esposti il ricorso va rigettato con condanna al pagamento delle spese del giudizio secondo soccombenza; sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente principale.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in € 5200,00, di cui € 5000,00 per compensi professionali, oltre 15% di spese generali ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del Dpr 115 del 2002 da atto della sussistenza dei presupposti per versamento da parte del ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis delle stesso art. 13.
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