CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2019, n. 22557
Lavoro – Prestazioni svolte in un livello retributivo superiore a quello d’inquadramento alle dipendenze della società fallita – Onere della prova
Rilevato che
Il giudice delegato al fallimento di “A.C.M.S.” S.p.A. in liquidazione non ammetteva al passivo della procedura, il credito di lavoro, con privilegio generale, ex art. 2751 bis primo comma n. 1 c.c., vantato da G.M., per le prestazioni svolte in un livello retributivo superiore a quello d’inquadramento alle dipendenze della società fallita per “inidoneità e insufficienza della documentazione prodotta e la sua inopponibilità alla procedura non essendo munita del requisito della data certa” e per l’intervenuta prescrizione delle pretese maturate prima del quinquennio antecedente alla data di presentazione del ricorso.
Con ricorso, ex art. 98 L.F., veniva proposta opposizione, che veniva rigettata dal Tribunale di S.M.C.V., sulla base dell’assunto che il lavoratore non aveva adempiuto all’onere della prova sullo stesso gravante di aver svolto mansioni corrispondenti alla qualifica richiesta, con riferimento alla genericità dell’ordine di servizio prodotto (che lo assegnava all’ufficio ragioneria), e in quanto, dall’esame delle dichiarazioni testimoniali non era emerso che lo stesso avesse svolto le mansioni dedotte; vi era, inoltre, un profilo di parziale prescrizione del credito.
Ricorre per cassazione avverso questo decreto M.G., sulla base di tre motivi, illustrati da memoria, mentre, l’intimato fallimento di “A.C.M.S.” S.p.A. in liquidazione, ha resistito con controricorso.
Considerato che
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, degli artt. 130 e 101 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., per l’avvenuta riapertura del verbale d’udienza in assenza dell’opponente, con conseguente nullità dell’atto e del provvedimento finale, in riferimento all’art. 360 primo comma n. 4 c.p.c.
Con un secondo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare degli artt. 186, 189, 190 e 101 c.p.c. e dell’art. 24 Cost., nonché dell’art. 99 comma 11 L.F., perché, nonostante il giudice delegato avesse assunto la riserva sulle sole istanze istruttorie dell’opponente, la riserva stessa era stata poi sciolta con il decreto decisorio, pronunciato, per di più, senza concessione dei termini per la presentazione delle comparse conclusionali antecedentemente allo spirare dei termini di legge.
Con un terzo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione degli artt. 4, 5 e 6 delle norme relative alla classificazione del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto di cui al CCNL autoferrotranvieri del giugno 1986, nonché delle tabelle di cui all’Allegato A del suindicato contratto con relative declaratorie di livelli e profili professionali ed altresì dell’art. 2 lett. B del medesimo CCNL del novembre 2000 e delle relative declaratorie dei profili professionali, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., nonché il vizio di omesso esame del fatto che il M. ha il titolo di ragioniere e aveva svolto in via continuativa e non occasionale, mansioni implicanti conoscenze tecnico-contabili proprie delle superiori qualifiche, in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c.
Il primo motivo è infondato, in quanto, la causa era fissata per le conclusioni, e la parte giunta successivamente, con la riapertura del verbale ha solo precisato le proprie conclusioni, senza richiedere produzioni documentali aggiuntive, ovvero senza svolgere ulteriori difese, di talché non si può dire che il Tribunale abbia tenuto conto delle difese spiegate dalla curatela con la riapertura del verbale, pertanto, non c’è spazio per la richiesta di nullità della sentenza avanzata in ricorso e ciò proprio sulla base delle pronunce giurisprudenziali indicate dal creditore.
Il secondo motivo è infondato.
Infatti, che il giudice delegato avesse formulato una riserva limitata alle istanze istruttorie dell’opponente, è affermazione del ricorrente che non trova riscontro nel verbale di causa, dal quale risulta, invece, l’assunzione di una riserva niente affatto limitata (vi si legge semplicemente, che il giudice “si riserva”). Inoltre, a mente dell’art. 99 comma 11 L.F. “Il collegio provvede in via definitiva sull’opposizione impugnazione o revocazione con decreto motivato entro sessanta giorni dall’udienza o dalla scadenza del termine eventualmente assegnato per il deposito di memorie”.
Pertanto, il giudice istruttore non era tenuto ad assegnare alle parti alcun termine per la presentazione delle conclusionali, anche perché non ne avevano neppure fatto richiesta mentre, il termine per il deposito del decreto decisorio, previsto dal medesimo comma undicesimo dell’art. 99 cit., è un termine finale, e non dilatorio onde il giudice ben può depositare il provvedimento prima della scadenza. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile, in quanto, il ricorrente deduce un error in iudicando e svolge censure attinenti al merito della controversia, mirando, in maniera neppure troppo velata a sovvertire l’esito della decisione, attraverso una “rilettura” delle risultanze istruttorie, finalità non consentita nel presente giudizio di legittimità (Cass. n. 11892/16, 25608/13, Cass. ord. n. 91/14).
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare alla curatela le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di € 4.000,00, oltre € 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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