CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2019, n. 22627
Lavoro – Illegittimità dei contratti di somministrazione – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Indennità risarcitoria
Rilevato che
1. La Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza del Tribunale della stessa città, ha dichiarato ammissibile ai sensi dell’art. 32 I. n. 183 del 2010 e ss.mm la domanda giudiziaria con la quale A.M. ha chiesto che si accertasse l’illegittimità dei contratti di somministrazione intercorsi con la A. s.p.a. per l’attività di cali center in favore della F. Banca s.p.a. e, in accoglimento della stessa, ha accertato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato alle dipendenze della Banca che ha condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria quantificata in dodici mensilità di retribuzione.
2. La Corte territoriale, per quanto qui interessa, in adesione a quanto affermato dalla Cassazione con la sentenza n. 9203 del 23 aprile 2014, ha ritenuto che il differimento al 31.12.2011 della decadenza prevista dall’art. 32 comma 1 bis della legge 4 novembre 2010 n. 183 introdotto dal d.l. 29 dicembre 2010 n. 225 e convertito con legge 26 febbraio 2011 n. 10 riguardasse tutti gli ambiti di novità previsti dalla norma e dunque anche il termine di 270 giorni previsto per la proposizione dell’azione giudiziaria. Conseguentemente ha accertato che il ricorrente non era decaduto dalla facoltà di impugnare ed ha esaminato la sua domanda accogliendola nei termini sopra indicati.
3. Per la Cassazione della sentenza ha proposto ricorso la F. Banca s.p.a. affidato ad un unico motivo cui ha resistito con controricorso A.M. che ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis 1 cod. proc. civ.
Considerato che
4. Con l’unico motivo di ricorso è denunciata la violazione e falsa applicazione degli artt. 12 delle preleggi, 32 comma 1 bis della legge n. 183 del 2010 in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ.
Per effetto dell’entrata in vigore della disposizione si doveva impugnare il contratto entro sessanta giorni e poi proporre l’azione giudiziaria nei successivi 270 giorni invece l’impugnazione è antecedente alla legge 183 del 2010 e l’azione è successiva ai 270 gg. Sostiene che la proroga non si applica ai contratti di somministrazione a tempo determinato ma solo ai licenziamenti.
5. Il ricorso è infondato.
5. L’art. 32, comma 1 bis, della legge 4 novembre 2010, n. 183, introdotto dal d.l. 29 dicembre 2010, n. 225, convertito dalla legge 26 febbraio 2011, n. 10, nel prevedere “in sede di prima applicazione” il differimento al 31 dicembre 2011 dell’entrata in vigore delle disposizioni relative al termine di sessanta giorni per l’impugnazione del licenziamento, riguarda tutti gli ambiti di novità di cui al novellato articolo 6 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e dunque non solo l’estensione dell’onere di impugnativa stragiudiziale ad ipotesi in precedenza non contemplate, ma anche l’inefficacia di tale impugnativa, prevista dal comma 2 del medesimo art. 6 anche per le ipotesi già in precedenza soggette al relativo onere, per l’omesso deposito, nel termine di decadenza stabilito, del ricorso giudiziale o della richiesta del tentativo di conciliazione o arbitrato (cfr. Cass. 27/03/2017 n. 7788). Ne consegue che perciò la decadenza e la conseguente proroga trovano applicazione ai contratti a termine in somministrazione cessati o stipulati prima della data di entrata in vigore della legge stessa (24 novembre 2010), senza la necessità di una specifica previsione di deroga all’art. 11 disp. prel. cod.civ., atteso che la nuova norma non ha modificato la disciplina del fatto generatore del diritto ma solo il suo contenuto di poteri e facoltà, suscettibili di nuova regolamentazione perché ontologicamente e funzionalmente distinti da esso e non ancora consumati, dovendosi pertanto escludere ogni profilo di retroattività; né l’introduzione del nuovo termine di decadenza con efficacia “ex nunc” determina una violazione degli artt. 24 Cost., 47 della Carta dei diritti fondamentali della UE o 6 e 13 della CEDU, essendo stato assicurato un ambito temporale quantitativamente congruo per la conoscibilità della nuova disciplina, attesa la proroga disposta “in sede di prima applicazione” dal citato comma 1- bis. (cfr. anche Cass. 28/01/2019 n. 2283 e 08/02/2016 n. 2420).
6. Al rigetto del ricorso consegue la condanna al pagamento delle spese della società ricorrente che sono liquidate nella misura indicata in dispositivo e devono essere distratte in favore degli avvocati L. e C. che se ne sono dichiarati antistatari. Ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater del D.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, €200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge. Spese da distrarsi.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.
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