CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2019, n. 22636
Licenziamento disciplinare – Grave insubordinazione – Violenza, minacce e distruzione di beni aziendali – Art. 69 CCNL Unionmeccanica Confagi – Sanzione espulsiva
Rilevato che
1. In data 10.3.2016 la Z. srl intimava a C. G., dipendente dal 10.3.2008 in qualità di manutentore elettrico di IV livello ex CCNL Unionmeccanica, il licenziamento disciplinare in quanto si era reso autore, il 26.2.2016 di episodi di grave insubordinazione, violenza, minacce e distruzione di beni aziendali, talmente gravi da risolvere il rapporto per giusta causa ai sensi dell’art. 2119 c.c. e dell’art. 69 del CCNL Unionmeccanica.
2. Tali episodi erano consistiti, secondo la contestazione disciplinare, nell’avere aggredito il capo ufficio G. verbalmente e anche in modo fisico, brandendo un bastone ma poi fermato per l’intervento di altri due dipendenti e proseguendo, in un secondo tempo, con l’aggressione verbale, fin dentro l’ufficio del predetto G., ove aveva lanciato il cordless aziendale in dotazione contro il muro dell’ufficio distruggendolo.
3. Il Tribunale di Alessandria, con ordinanza resa il 23.12.2016, respingeva la domanda proposta dal C. volta ad ottenere la declaratoria di illegittimità del licenziamento e, con sentenza n. 357 del 2013, rigettava l’opposizione condannando il lavoratore anche al pagamento delle spese processuali.
4. La Corte di appello di Torino, con la pronuncia n. 917/2017, respingeva infine il reclamo presentato da C. G. rilevando, per quello che interessa in questa sede, che la condotta accertata, a prescindere dalla configurabilità di un comportamento di insubordinazione, integrava senz’altro manchevolezze che, per la loro gravità, risultavano sanzionabili con il licenziamento come statuito dall’art. 69 CCNL citato, nella parte in cui prevedeva puniti con la sanzione espulsiva gli “alterchi con vie di fatto, ingiurie, disordini, risse o violenze sia al di fuori che all’interno dei reparti di lavorazione o degli uffici (lett. e n. 9)”.
5. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione G. C. affidato a due motivi, illustrati con memoria.
6. Ha resistito con controricorso la Z. srl formulando ricorso condizionato sulla base di un motivo.
7. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
1. Con il primo motivo del ricorso principale si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 7 della legge n. 300 del 1970; la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e CCNL: nello specifico la violazione e falsa applicazione dell’art. 69 CCNL Unionmeccanica Confagi. Si sostiene che erroneamente la Corte territoriale aveva ritenuto sussumibile la fattispecie concreta in quella prevista dalla norma collettiva perché l’alterco senza vie di fatto, con contegno minaccioso, ravvisabile nella condotta del C., non equivaleva all’alterco con vie di fatto sanzionato con il licenziamento dalla contrattazione collettiva; inoltre, si deduce che la Corte di merito aveva tralasciato di esaminare l’ipotesi della insubordinazione che, in ogni caso, nella fattispecie in esame, non era connotata dalla gravità e, quindi, avrebbe potuto essere sanzionata unicamente con una sospensione dal lavoro.
2. Con un secondo articolato motivo si censura la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc sia sotto il profilo dell’omessa valutazione, da parte della Corte di merito, della gravità dei fatti contestati in relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, al contesto in cui furono commessi e al profilo dell’intensità dell’elemento volitivo, sia sotto l’aspetto del giudizio di proporzionalità.
3. Con il ricorso incidentale condizionato si rappresenta che, in caso di accoglimento del ricorso principale, si sarebbe dovuto valutare se il comportamento del C. potesse rientrare o meno nell’ambito applicativo del concetto di insubordinazione grave.
4. I due motivi del ricorso principale possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logico-giuridica.
5. Essi sono infondati.
6. L’art. 69 del CCNL Unionmeccanica CONFAPI, richiamato nel caso in esame nella lettera di contestazione e in quella di licenziamento, prevede – tra l’altro- la sanzione espulsiva del licenziamento (lett. e n. 9) nei casi di “alterchi con vie di fatto, ingiurie, disordini, risse o violenze, sia al di fuori che all’interno dei reparti di lavorazione o degli uffici”.
7. Il ricorrente lamenta la non corretta sussunzione della condotta addebitatagli, in quella prevista dalla contrattazione collettiva, ritenendo che la stessa avrebbe dovuto, in pratica, qualificarsi come “alterco senza vie di fatto con contegno minaccioso”, punibile con sanzione conservativa.
8. Il rilievo di cui alla censura deve essere disatteso avendo la Corte territoriale effettuato un corretto inquadramento del comportamento del C. ed una esatta valutazione sulla gravità del fatto, conformemente ai principi consolidati in sede di legittimità.
9. Infatti, incontestati i fatti come sono stati accertati nei gradi di merito, rileva il Collegio che effettivamente -nel caso de quo- sia ravvisabile la ipotesi di cui alla lett. e n. 9) del CCNL sopra richiamato.
10. Per “alterco”, invero, deve intendersi qualsiasi discussione, o litigio, animata e scomposta tra due persone; se connotato dalle cd. “vie di fatto”, invece, occorre che tale diverbio sia stato caratterizzato da un ricorso alla violenza, intesa come estrinsecazione di energia fisica trasmodante in un pregiudizio fisico, anche tentato, verso una persona o una cosa, ad opera di un uomo.
11. Nella fattispecie, l’avere il dipendente brandito un bastone, fermato poi dall’intervento di altri dipendenti, e l’avere distrutto un telefono aziendale lanciandolo contro il muro, rappresenta senza dubbio un comportamento violento concretante le cd. “vie di fatto” secondo l’accezione sopra delineata, e non un contegno meramente minaccioso, mancando a quest’ultimo, che agisce attraverso la via mediata dell’intelletto, l’estremo del pregiudizio fisico, invece presente nella condotta del C..
12. Le cd. “vie di fatto” rappresentano, pertanto, al pari della minaccia, una modalità attraverso cui può realizzarsi l’alterco ma sono tra di loro alternative.
13. Sotto questo profilo la disposizione contrattuale collettiva, ai fini del licenziamento, richiede appunto l’indicato carattere della energia trasmodante in un pregiudizio, anche potenziale e/o tentato, che è pienamente riscontrabile, come detto, nell’azione del dipendete di cui è processo.
14. La Corte di merito, poi, conformemente all’orientamento di legittimità (Cass. n. 2830/2016; Cass. n. 16260/20041), secondo cui alla ricorrenza di una delle ipotesi previste dalla contrattazione collettiva non può conseguire automaticamente il giudizio di legittimità del licenziamento, ma occorre sempre che la fattispecie tipizzata contrattualmente sia riconducibile alla nozione di giusta causa, tenendo conto della gravità del comportamento in concreto del lavoratore, ha verificato tale requisito precisando che la condotta addebitata integrasse senz’altro una manchevolezza che per la sua gravità risultava punibile con il licenziamento, da considerarsi, quindi, sanzione proporzionata al fatto.
15. I giudici del merito hanno anche escluso, con una indagine di merito non censurabile in questa sede perché adeguatamente motivata, che il comportamento del C. potesse essere la conseguenza ad una serie di condotte vessatorie attuate dal suo capo ufficio G., perché queste non erano state dimostrate dall’istruttoria svolta e non erano ricollegabili ai “rapportini” di lavoro risalenti nel tempo, con ciò valutando, quindi, di fatto l’intensità dell’elemento volitivo ed il contesto in cui avvenne l’alterco.
16. La trattazione delle doglianze sulla insubordinazione, non esaminate dalla Corte di appello e oggetto sia di parte dei motivi del ricorso principale che di quello incidentale, resta assorbita dalla rilevata infondatezza delle censure sul punto scrutinato in ordine alla condotta ritenuta già di per sé idonea a giustificare il recesso.
17. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso principale deve essere rigettato, con conseguente assorbimento della trattazione di quello incidentale formulato solo in via condizionata.
18. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente principale al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, sempre come da dispositivo, limitatamente al ricorso principale. La controricorrente, il cui ricorso incidentale sia dichiarato assorbito, non può essere condannato al pagamento del doppio del contributo unificato, trattandosi di sanzione conseguente alle sole declaratorie di infondatezza nel merito ovvero dì inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione, ex art. 13 comma 1 quater, del DPR n. 115 del 2002 (cfr. Cass. 25.7.2017 n. 18348; Cass. 19.7.2018 n. 19188).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale. Condanna il ricorrente principale al pagamento, in favore di Z. srl, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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