CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 10 settembre 2021, n. 24510

Liquidazione del TFR – Rideterminazione in base a emolumenti “fuori busta” – Prova – Legittimità – Licenziamento per giustificato motivo oggettivo durante la malattia – Inefficace – Produce effetti dal momento della cessazione della malattia

Rilevato che

1. D.A., premesso di essere stato assunto da R.C. s.r.l. in data 3.2.1988 e di essere stato licenziato con missiva datata 27.6.2011, presentò istanza di ammissione allo stato passivo del Fallimento della predetta società, dichiarato nel 2013, per i seguenti crediti: a) euro 62.124,36 a titolo di indennità sostitutiva del preavviso; b) euro 76.024,44 a titolo di TFR; c) euro 9.771,38 a titolo di omesso versamento al fondo pensione PREVINDAI; d) euro 18.224,70 a titolo di TFR accantonato presso il fondo di Tesoreria INPS e non corrisposto; e) euro 4.115,35 a titolo di omesso versamento al fondo di Tesoreria INPS; f) euro 75.079,60 a titolo di differenze TFR, calcolato sui maggiori emolumenti percepiti “fuori busta”, ovvero, in subordine, euro 101.175,03 a titolo di differenze retributive; g) euro 196.688,16 a titolo di risarcimento danni per ingiustificato licenziamento; h) euro 65.562,72 per danno da demansionamento; i) euro 2.613,84 per spese legali liquidate giudizialmente.

2. Il g.d., con decreto del 19.2.2014, ammise il ricorrente al passivo fallimentare limitatamente ai crediti sub. a), b) ed i).

3. L’opposizione proposta da A. contro il provvedimento è stata parzialmente accolta dal Tribunale, che ha rilevato: 1) che, stante l’inerzia degli enti previdenziali, l’opponente era legittimato ad insinuarsi al passivo, e andava ammesso, per le somme di euro 9.771,38 e 4.115,32, trattandosi di importi costituenti parte del TFR a lui spettante, che la datrice di lavoro, su sua delega, avrebbe dovuto versare – ma non aveva versato – al fondo pensione PREVINDAI e al fondo tesoreria INPS; 2) che andava ammesso al passivo anche il credito di euro 18.224,70 corrispondente alla somme già accantonate presso il fondo tesoreria INPS, che erano state indebitamente liquidate in favore della fallita e da questa trattenute; 3) che il Fallimento aveva riconosciuto che nel periodo intercorso fra l’inizio del rapporto di lavoro e il giugno del ’95 A. aveva ricevuto emolumenti fuori busta per complessive £ 197.950.000, mentre non v’era prova (stante la genericità del capitolo di prova testimoniale articolato dall’opponente sul punto) che dopo tale data questi avesse continuato a percepire “in nero” una parte dello stipendio, sicché la domanda di ammissione del maggior credito preteso a titolo di TFR andava accolta parzialmente, calcolandolo sulla sola somma e per il solo periodo riconosciuti; 4) il credito per differenze retributive, preteso in via subordinata, non poteva essere ammesso, in quanto difettava la prova dello svolgimento da parte di A., a partire dal luglio del ’95, di mansioni dirigenziali, superiori rispetto a quelle oggetto di inquadramento, tanto più che nel novembre 1996 il ricorrente era stato nominato consigliere del c.d.a. di R.C. s.r.l. e che pertanto non si poteva escludere che alcune sue scelte direttive fossero state assunte in tale veste; 5) andava rigettata la domanda di ammissione del credito vantato da A. a titolo di illegittimo recesso datoriale, posto che, il licenziamento, intimato nel corso di un periodo di malattia, doveva ritenersi decorrente dalla cessazione di tale periodo e risultava pienamente legittimo, siccome giustificato dalla crisi aziendale; 6) andava infine respinta anche la richiesta di riconoscimento di un credito risarcitorio da demansionamento, non avendo l’opponente fornito concreti elementi di giudizio che consentissero di procedere alla liquidazione del danno in via equitativa.

2. Il decreto, pubblicato il 14.4.2016, è stato impugnato da D.A. con ricorso per cassazione affidato a dieci motivi, cui il Fallimento R.C. s.r.l. in liquidazione ha resistito con controricorso con il quale ha proposto ricorso incidentale articolato su tre motivi.

Il ricorrente principale ha depositato memoria.

Considerato che

1. Con il primo motivo A. lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 24 Cost., 115, 244, 253 cod. proc. civ. e 1362 cod. civ. Deduce che il tribunale ha escluso che fosse provato il suo diritto a percepire il maggior TFR maturato a partire da luglio ’95 in quanto ha ritenuto erroneamente inammissibile la prova testimoniale da lui articolata per dimostrare di aver sempre percepito una parte della retribuzione fuori dalla busta paga; aggiunge che i capitoli non potevano ritenersi generici anche perché accompagnati da analitico conteggio (allegato sub. doc. 40 al ricorso in opposizione) delle differenze dovutegli a titolo di TFR.

1.1 Il motivo, da riqualificare ai sensi dell’art. 360, 1° comma, nn. 4 e 5 cod. proc. civ., in quanto concretamente volto a denunciare il vizio derivato dalla mancata valutazione della prova, è fondato.

1.1. Premesso che il ricorrente – in ossequio ai principi processuali che impongono la regola dell’autosufficienza del ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n. 3 e n. 6, cod. proc. civ. – ha integralmente richiamato in ricorso i capitoli di prova richiesti e non ammessi dal tribunale, ne ha descritto la rilevanza probatoria ed ha anche riportato il nominativo dei testi da escutere, il collegio rileva che, contrariamente a quanto apoditticamente affermato dal giudice del merito (che non si è curato di fornire adeguata motivazione al proprio convincimento, né di valutare se le circostanze dedotte da A. potessero trovare riscontro negli atti di causa e nelle deduzioni delle parti) tali capitoli precisavano le modalità sia di tempo (mensilmente, ovvero in occasione dèi del ritiro della busta paga, e sino a tutto il 2007) sia di luogo (in una busta separata, che l’impiegata addetta al rilascio della busta paga univa a quest’ultima) di consegna del denaro e precisavano, altresì, quale fosse l’importo percepito “in nero” dal ricorrente (pari al netto della busta paga).

Non v’è dubbio, pertanto, che i fatti in essi riportati, se confermati dai testi, avrebbero determinato un diverso convincimento del giudice, rivelandosi così decisivi ai fini dell’accoglimento della domanda in esame.

2. Restano assorbiti il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso, con i quali il ricorrente censura il rigetto della domanda, proposta in via subordinata rispetto a quella di ammissione del maggior TFR, di riconoscimento delle maggiori spettanze retributive dovutegli in ragione della natura dirigenziale dell’attività sin dall’origine svolta alle dipendenze della fallita.

3. Con il quinto motivo A. denuncia la violazione dell’art. 2110 cod. civ., per aver il tribunale escluso la nullità del licenziamento intimatogli durante il periodo di malattia, ritenendolo erroneamente decorrente a partire dalla cessazione di tale periodo.

3.1 Il motivo è infondato, atteso che secondo la giurisprudenza di questa Corte (peraltro richiamata dallo stesso ricorrente), lo stato di malattia del lavoratore preclude al datore di lavoro l’esercizio del potere di recesso quando si tratti di licenziamento per giustificato motivo oggettivo, che, tuttavia, ove intimato, non è invalido ma solo inefficace e produce i suoi effetti dal momento della cessazione della malattia (Cass. n. 24525/014, n. 23063/2013; n. 7369/2005;).

4. Con il sesto motivo si deduce vizio di violazione e falsa applicazione della norma contrattuale di cui all’art. 19 del CCNL dirigenti industria 24.11.2004, in quanto il tribunale avrebbe ritenuto il licenziamento giustificato dalla crisi aziendale senza valutarne l’incidenza sulla posizione del ricorrente.

4.1 Il motivo, che non lamenta l’errata interpretazione da parte del giudice dell’astratta fattispecie disciplinata dalla norma contrattuale richiamata, ma si limita a contestarne l’applicabilità alla concreta fattispecie dedotta in giudizio, in ragione dell’insufficiente valutazione delle risultanze di causa, va dichiarato inammissibile, siccome volto alla denuncia di un vizio di motivazione solo genericamente illustrato.

5. Il settimo mezzo denuncia, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omesso esame di una serie di fatti che si assumono decisivi ai fini della prova dell’assenza della crisi aziendale e, conseguentemente, del giustificato motivo di licenziamento; in particolare, secondo il ricorrente, il giudice del merito avrebbe omesso di considerare: i) che, già alcuni mesi prima di licenziarlo, R.C. gli aveva impedito di svolgere il proprio lavoro, ponendolo in una condizione di umiliante inattività; ii) che la società aveva la disponibilità di notevoli risorse finanziarie non contabilizzate, depositate su conti correnti accesi presso una banca di San Marino; iii) che le funzioni in precedenza a lui affidate erano state mantenute in capo ad altro soggetto (tale V.), il quale, oltre allo stipendio, percepiva un notevole fuori busta; iv) che, infine, dopo il licenziamento R.C. assunse l’ex A.U, con contratto di collaborazione a progetto.

5.1 Il motivo è inammissibile, sia perché non specifica se, e in qual modo, i fatti asseritamente omessi siano stati documentati ed abbiano formato oggetto di discussione fra le parti, sia perché non ne chiarisce la decisività in ordine all’accertamento concernente lo stato di crisi di R.C. alla data del licenziamento; stato di crisi che ben potrebbe essere stato determinato proprio dalla distrazione dalle casse societarie delle liquidità confluite sui conti occulti, e che, comunque, il tribunale ha ritenuto provato sulla base del contenuto di vari documenti versati in atti e, soprattutto, dell’intervenuto fallimento della società a distanza di breve tempo.

6. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia la nullità del provvedimento impugnato, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e degli artt. 1175 e 1375 cod. civ., oltre che dell’art. 5 della I. n. 223/91. Sostiene che il tribunale non ha pronunciato sull’eccezione da lui proposta, di illegittimità del licenziamento (che avrebbe dovuto essere intimato al sig. V., avente un’anzianità di servizio assai inferiore alla sua) per la mancata applicazione da parte della datrice di lavoro dei principi generali di buona fede e correttezza nell’individuazione dei dirigenti da licenziare, in ordine ai quali si sarebbe dovuto far ricorso ai criteri di cui all’art. 5 I. n. 223/91.

6.1. Il motivo è infondato, non solo perché ciò che il ricorrente definisce eccezione è in realtà una tesi difensiva, rispetto alla quale non è configurabile un vizio di omessa pronuncia, ma anche perché il giudice ha in realtà esaminato tale tesi e l’ha ritenuta infondata, laddove ha rilevato, che ai fini della giustificatezza del licenziamento del dirigente, è rilevante qualsiasi motivo che lo sorregga con ragioni apprezzabili, mentre non è necessaria una verifica di specifiche condizioni, atteso che ad escludere l’arbitrarietà del recesso è sufficiente una valutazione globale dalla quale si evinca il venir meno del rapporto fiduciario fra questi e il datore di lavoro.

6.2 Qualora, poi, il motivo dovesse ritenersi volto anche a contestare la decisione assunta dal giudice a quo in ordine alla questione dedotta, esso andrebbe dichiarato infondato nella parte in cui pretende di applicare alla fattispecie i principi normativi che regolano i licenziamenti collettivi e, per il resto, inammissibile, perché illustrato in via meramente assertiva, sulla scorta del presupposto (dato per scontato, ma in realtà rimasto del tutto indimostrato nel corso del giudizio di merito) che a V. fossero state affidate le medesime mansioni svolte da A.

7. Il nono e il decimo motivo investono la statuizione di rigetto della domanda di ammissione del credito risarcitorio derivante dal demansionamento. Con entrambi i motivi il ricorrente, nel denunciare la violazione degli artt. 1218, 1223, 1226, 2043, 2087, 2103, 2727 e 2729 cod. civ. e dell’art. 115 cod. proc. civ., lamenta che il giudice abbia ritenuto mancante l’allegazione di concreti elementi di giudizio per la liquidazione equitativa del danno omettendo di esaminare, e di ammettere, i capitoli di prova testimoniale da lui articolati sul punto, attinenti a circostanze (peraltro neppure contestate dal Fallimento) delle quali era palese la decisività, in quanto idonee a far ritenere il danno sussistente e dimostrato in via presuntiva.

7.1. I motivi, da esaminare congiuntamente in ragione della loro stretta connessione, sono fondati.

Richiamate le considerazioni già svolte in sede di esame del primo motivo, e riqualificate le censure ai sensi dell’art. 360, 1° comma, n. 5 cod. proc. civ., va rilevato che il tribunale, limitandosi ad affermare che “lo stato di frustrazione, mortificazione, umiliazione e apatia con familiari e amici” (dedotto da A.) “non è in alcun modo documentato”, ha totalmente omesso di esaminare la prova testimoniale articolata dall’allora opponente, volta per l’appunto a dimostrare la sussistenza non solo del fatto dannoso (l’avvenuto ritiro di tutte le deleghe, lo spoglio da qualsiasi mansione ecc.) costitutivo della pretesa, ma anche le conseguenze psicologiche che ne erano derivate, e dunque a fornire al giudice gli elementi necessari ai fini della liquidazione equitativa del danno.

9. Con il primo ed il terzo motivo del ricorso incidentale il Fallimento deduce, rispettivamente, la violazione dell’art. 8 d. Igs. n. 252/05 e della I. 296/2006, per aver il tribunale ritenuto che A. fosse legittimato a richiedere l’ammissione del credito corrispondente ai contributi non versati da R.C. al fondo complementare PREVINDAI. ed al fondo tesoreria INPS.

9.1 Col secondo motivo, che denuncia violazione, oltre che del già citato art. 8 d.lgs. n. 252/2005, anche degli artt. 5 d.lgs. n. 80/92, 2751 bis n. 2 e 2754 cod. civ., sostiene in subordine che, poiché il TFR conferito al fondo complementare ha natura esclusivamente previdenziale, il credito derivante dal mancato versamento al PREVINDAI avrebbe dovuto essere ammesso col privilegio di cui all’art. 2754 cod.civ. anziché con quello che assiste i crediti di lavoro.

10. I motivi, che possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati.

10.1. Questa Corte ha infatti già affermato che, anche dopo la modifica della disciplina del trattamento di fine rapporto, nel nuovo e più composito panorama normativo (che prevede, per le aziende con almeno 50 dipendenti, il versamento degli accantonamenti presso il Fondo di Tesoreria INPS e anche la possibilità per il lavoratore di optare per un sistema di previdenza complementare) resta fermo il fatto che il t.f.r. costituisce a tutti gli effetti un credito del lavoratore, la cui esigibilità è subordinata alla cessazione del rapporto. Ne consegue che le quote accantonate del t.f.r., tanto che siano trattenute presso l’azienda, quanto che siano versate al Fondo di Tesoreria dello Stato presso l’I.N.P.S. ovvero conferite in un fondo di previdenza complementare, sono intrinsecamente dotate di potenzialità satisfattiva futura e corrispondono ad un diritto certo e liquido del lavoratore, di cui la cessazione del rapporto di lavoro determina l’esigibilità (Cass. n. 19708/2018).

10.1 Va pertanto ribadito che il lavoratore è legittimato a domandare l’ammissione per le quote di t.f.r. maturate e non versate dal datore di lavoro fallito al Fondo Tesoreria dello Stato gestito dall’INPS (o al fondo complementare) poiché il datore di lavoro non è un mero adiectus solutionis causa e non perde la titolarità passiva dell’obbligazione di corrispondere il t.f.r. stesso (Cass., Sez. 1, n. 12009 del 16/05/2018).

Come precisato in tale secondo arresto “le disposizioni in esame delineano un sistema in cui l’intervento del Fondo, nei casi in cui è previsto, dà luogo ad un rapporto trilaterale tra il datore di lavoro, il Fondo ed il prestatore di lavoro, in virtù del quale: a) il primo è obbligato nei confronti del secondo a versare il TFR, al pari di quanto avviene per le contribuzioni previdenziali; b) il secondo è tenuto ad erogare le prestazioni secondo le modalità previste dall’art. 2120 cod. civ., nei limiti della quota maturata a decorrere dall’1 gennaio 2007, mentre la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro;

c) la materiale erogazione del TFR è affidata al datore di lavoro anche per la parte di competenza del Fondo, salvo conguaglio sui contributi dovuti al Fondo stesso ed agli altri enti previdenziali“.

Nei medesimi termini cfr. anche, in motivazione, Cass. sez. L. n. 11536 del 02/05/2019, che evidenzia altresì come, in tema di pagamento delle quote di t.f.r. maturate dopo il 1° gennaio 2007, deve escludersi il relativo obbligo da parte del Fondo Tesoreria dello Stato, gestito dall’INPS, ove il datore di lavoro-appaltatore o il committente, obbligato solidale “ex lege”, non provino l’avvenuto versamento al Fondo, da parte di uno di essi, delle quote.

All’accoglimento del primo e degli ultimi due motivi del ricorso principale conseguono la cassazione del decreto impugnato e il rinvio della causa al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, che liquiderà anche le spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il primo, il nono e il decimo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo, il terzo e il quarto, e lo rigetta nel resto; rigetta il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato in relazione ai motivi del ricorso principale accolti e rinvia al Tribunale di Venezia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’articolo 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello corrisposto per il ricorso.