CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2018, n. 8923
Tributi – Reddito d’impresa – Accertamento analitico induttivo – Contabilità inattendibile sotto il profilo dell’antieconomicità – Presunzione di ricavi non dichiarati – Ricostruzione sulla base delle percentuali di ricarico – Onere di prova contraria a carico del contribuente
Ritenuto in fatto
L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti della V. Srl, con sede legale in Catania, avverso la sentenza della Commissione tributaria della Sicilia (in seguito: CTR), indicata in epigrafe, che – in controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 1997, che rettificava in aumento, ai fini IRPEG ed ILOR, i ricavi per 155.244.000, dell’applicazione al costo del venduto della percentuale di ricarico del 18%, da cui scaturiva una maggiore imposta di euro 42.681,54, oltre interessi e sanzioni – in parziale riforma della sentenza di primo grado, favorevole alla contribuente, determinava i maggiori ricavi per l’anno 1997 nella percentuale del 15%.
In particolare, il giudice d’appello ha ritenuto che l’accertamento ex art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 fosse legittimo alla luce delle gravi incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività.
Inoltre, ha constatato che la contribuente non ha fornito prove idonee a contrastare la presunzione di un reddito maggiore del dichiarato e che, anzi, la società ha focalizzato la propria difesa sul fatto che il calcolo dei ricarichi era stato effettuato utilizzando la media aritmetica anziché la media ponderata.
Secondo la CTR, in realtà, sebbene sia consentito il ricorso ad entrambi i metodi di calcolo, nella specie l’Ufficio ha utilizzato quello della media ponderata, in virtù del quale è stato tenuto conto dei diversi ricarichi per le vendite al dettaglio e le vendite all’ingrosso, ed è stata così determinata una percentuale di ricarico del 18,52% che, però, l’Amministrazione finanziaria ha ridotta al 18% per valorizzare gli sconti applicati ai clienti.
La sentenza impugnata, in conclusione, ha ritenuto corretto l’accertamento dell’Ufficio, ma ha rivisto al ribasso detta percentuale, quantificandola nel 15%, con ciò attribuendo agli sconti il valore del 3,52% rispetto al ricarico medio.
La contribuente, il cui oggetto sociale è la vendita all’ingrosso e al dettaglio di elettrodomestici, resiste con controricorso e propone ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
Considerato in diritto
1. Primo motivo: «Violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del D.P.R. 29/09/1973 n. 600 e degli artt. 53 e 75 del D.P.R. 22/12/1986 (art. 360 primo comma n. 3 c.p.c.)».
L’Agenzia lamenta che la CTR, nel quantificare arbitrariamente la percentuale degli sconti nel 3,52%, ha violato il principio di tipicità degli atti di accertamento e si è posta in contrasto con la giurisprudenza che ammette la rilevanza degli sconti sul prezzo di vendita dei prodotti a condizione che essi siano frutto di un accordo con il cliente e che siano documentati, il che nella specie non è accaduto.
2. Secondo motivo: «Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art. 360, comma 1 n. 5 c.p.c.)».
La ricorrente fa valere il vizio d’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata in relazione al fatto decisivo e controverso rappresentato dalla percentuale media di ricarico in quanto, da un lato, il giudice d’appello ha riconosciuto la legittimità dell’accertamento dell’amministrazione; dall’altro, però, senza dare conto delle ragioni della propria decisione, ha drasticamente ridotto la percentuale di ricarico dal 18% (accertata dall’Ufficio) al 15%.
In tal modo, tra l’altro, è stata contraddittoriamente individuata una percentuale di ricarico persino inferiore a quella indicata dalla società che, appunto, nel processo verbale di constatazione dell’11/12/1997, aveva evidenziato un ricarico del 15,88%.
2.1. Entrambi i mezzi, da esaminare congiuntamente perché connessi, sono fondati.
Occorre premettere che la CTR ha ritenuto, correttamente, che la verifica fiscale sia stata conforme a diritto, dovendosi al riguardo richiamare il costante indirizzo della Corte, cui si intende dare continuità, in base al quale è legittimo il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa, ex art. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, ma complessivamente inattendibile (cfr., ex multis, Cass. 5/11/2014, n. 23550).
Detto questo, però, la sentenza impugnata si discosta contra legem dagli esiti dell’accertamento induttivo dell’Amministrazione finanziaria, e, per di più, si appalesa contraddittoria, nello sviluppo motivazionale, laddove, dopo avere constatato la legittimità e la correttezza dell’accertamento dell’Ufficio, perviene, senza minimante dare conto delle ragioni di un simile convincimento, alla conclusione che la giusta percentuale di ricarico sia del 15% perché gli sconti alla clientela hanno determinato un abbattimento del 3,52% (e non dello 0,52% come quantificato dall’Ufficio) sulla percentuale media accertata del 18,52%.
Si osserva, altresì, che una simile, apodittica ed immotivata, riduzione della percentuale di ricarico, come si legge nel ricorso, contrasta anche con le dichiarazioni rese dalla società durante la verifica fiscale, secondo cui la percentuale di ricarico era del 15,88.
2.1.1. L’accoglimento dei due motivi determina la cassazione della sentenza, con rinvio alla CTR, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
3. Occorre adesso vagliare il ricorso incidentale della V. Srl.
3.1. Primo motivo: «Riforma della sentenza quanto all’eccezione di difetto di motivazione e violazione dell’art. 7 I. 212/2000 – Violazione art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.».
Si denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che non ha preso posizione sull’eccezione della contribuente di nullità dell’avviso di accertamento per difetto di motivazione e perché ad esso non era stato allegato il processo verbale redatto dall’Ufficio.
3.1.1. La censura è inammissibile per difetto d’autosufficienza, in quanto la società non ha riprodotto, nel corpo del ricorso, quei passi dei suoi atti difensivi, del giudizio di merito, da cui risulti che essa aveva già formulato il medesimo rilievo critico dinanzi alle Commissioni territoriali.
3.2. «Riforma della sentenza nel capo relativo alla legittimità dell’accertamento ex art. 39, 1 comma, lett. d) del d.p.r. 600/1973 – Violazione art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.».
Innanzitutto, si fa valere l’omessa pronuncia della CTR sull’eccezione della contribuente relativa alla mancata indicazione, da parte dell’Ufficio, sia in fase amministrativa, che nel primo grado del giudizio di merito, delle norme di legge in base alle quali si era proceduto all’accertamento.
La società, inoltre, lamenta che l’accertamento ex art. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600/1973 (secondo la qualificazione che l’Agenzia ha dato all’atto impositivo solo nel corso del giudizio di secondo grado), è stato effettuato senza che ricorressero le circostanze tassative, nelle quali è consentito all’Amministrazione finanziaria l’esercizio di un così penetrante potere autoritativo.
3.2.1. La prima doglianza (omessa pronuncia della CTR sull’eccezione della società) è inammissibile per difetto d’autosufficienza (cfr. § 3.1.1.).
3.2.2. La seconda censura (violazione dell’art. 39, comma 1, lett. d) d.P.R. n. 600/1973) è infondata.
Nel caso in esame, infatti, come si evince con chiarezza dalla sentenza impugnata, l’accertamento analitico-induttivo di maggiori ricavi, rispetto a quelli registrati nelle scritture contabili della società, è avvenuto, in via presuntiva, applicando ai prodotti venduti (al dettaglio e all’ingrosso) una certa percentuale di ricarico (stabilita secondo criteri che non sono oggetto della censura in esame) in conformità dell’art. 39, comma 1, lett. d), ultima parte, secondo cui: «L’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti».
3.3. «Riforma della sentenza nel capo relativo alla rideterminazione arbitraria dei ricavi unicamente tramite la percentuale di ricarico che si realizza quale unico motivo di accertamento – violazione art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c.».
La contribuente lamenta che la CTR non avrebbe pronunciato sull’eccezione secondo cui la rettifica dei ricavi è stata effettuata solo sulla scorta di pretesi ricavi medi e su un inventario di merci a campione; ancora, denuncia che l’Ufficio ha calcolato i ricavi utilizzando la percentuale di ricarico secondo la media aritmetica anziché secondo la media ponderata e, infine, critica l’assenza di presunzioni gravi a sostegno della rettifica del reddito, perché l’unica presunzione utilizzata attiene alla mera individuazione di una certa percentuale di ricarico.
3.3.1. Il motivo è, innanzitutto, inammissibile; per altro verso, è infondato.
Dal primo punto di vista (inammissibilità), esso racchiude in sé una generica traccia, appena abbozzata, di plurime censure, senza che la Corte sia posta nella condizione di discernere, nitidamente, di quale norma si assuma la violazione e perché la pronuncia della CTR sarebbe contra legem.
D’altro canto, la censura è infondata, dovendosi dare continuità al consolidato orientamento della Corte (sopra richiamato al § 2.1.) secondo cui il ricorso all’accertamento analitico-induttivo del reddito d’impresa è legittimo quando, pur in presenza di scritture (contabili) formalmente corrette, la contabilità dell’impresa possa considerarsi complessivamente inattendibile, perché configgente con i criteri di ragionevolezza, sotto il profilo dell’antieconomicità del comportamento del contribuente.
In tali casi è consentito all’Ufficio dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate e accertare, anche in via presuntiva, maggiori ricavi (o minori costi), ad esempio (come è accaduto nel caso in esame), determinando il reddito dell’impresa sulla base delle percentuali di ricarico, con conseguente spostamento dell’onere della prova sul contribuente.
La Corte ha anche affermato che, in linea di massima, sono legittimi entrambi i metodi di accertamento (di maggiori ricavi) – ovvero l’utilizzo della media aritmetica o di quella ponderata – ed ha soggiunto che il ricorso alla media aritmetica non è corretto solo quando, tra i vari tipi di merce, esiste una notevole differenza di valore e gli articoli più venduti presentano una percentuale di ricarico ben più bassa di quella risultante dal ricarico medio (Cass., 19/04/2013, n. 9553).
Nella specie, posto che la CTR ha ritenuto che la percentuale di ricarico sul venduto sia stata determinata utilizzando la media ponderata, l’argomento difensivo della contribuente è da disattendere perché essa non ha addotto alcun concreto elemento a sostegno della sua tesi del ricorso al metodo della media aritmetica e, comunque, capace di dimostrare che l’Ufficio abbia errato nel calcolo del ricarico medio sul venduto.
3.4. «Riproposizione dell’eccezione relativa all’illegittimità dell’avviso quanto alle sanzioni irrogate per violazione dell’art. 12 d.lgs. 472/97 per omesso esame di un fatto decisivo della controversia – violazione art. 360 comma 1 n. 5.».
La società denuncia che la CTR non ha esaminato l’eccezione della contribuente secondo cui le sanzioni sono state quantificate in violazione dell’art. 12 d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, dato che l’Ufficio, anziché applicare un’unica sanzione per le violazioni riguardanti due annualità (1997 e 1998), ha irrogato un’autonoma sanzione per ciascun periodo d’imposta.
3.4.1. Il motivo è inammissibile.
Esso è privo d’autosufficienza, è formulato in termini generici e riguarda, in parte, un diverso accertamento (quello relativo al periodo d’imposta 1998), non oggetto di questo giudizio.
4. Ne consegue il rigetto del ricorso incidentale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale;
cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso principale accolto e rinvia la causa, anche sulle spese, alla Commissione tributaria della Sicilia, in diversa composizione.
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