CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2022, n. 11667
Rapporto di lavoro – Ex premio aziendale individuale ad personam -Disdetta dell’Accordo Integrativo Aziendale – Interpretazione del testo del contratto collettivo integrativo – Natura collettiva dell’emolumento
Rilevato che
1. la Corte d’appello di Torino ha confermato la sentenza di primo grado di rigetto della domanda di M. S. intesa all’accertamento del diritto a percepire, anche dopo la disdetta dell’Accordo Integrativo Aziendale 2007 da parte della datrice di lavoro A. s.p.a., la voce retributiva denominata << ex premio aziendale individuale ad personam», i ratei dell’indennità stipendio base IV livello extra, e alla condanna della società alla relativa erogazione;
2. la statuizione di conferma, per quel che qui rileva, è stata fondata sulla considerazione che la voce denominata << ex premio aziendale individuale ad personam>> non era configurabile quale diritto individuale attribuito direttamente ai lavoratori ma trovando la propria fonte nella previsione collettiva era destinata a venire meno in conseguenza della relativa disdetta operata dalla parte datoriale;
3. per la cassazione della decisione ha proposto ricorso M. S. sulla base di due motivi; M. Distribuzione s.p.a. (già A. s.p.a.) ha resistito con tempestivo controricorso illustrato con memoria ai sensi dell’art. 380 -bis.1. cod. proc. civ;
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente deduce violazione o falsa applicazione degli artt. 1363 e 1366 cod. civ., quale regola di interpretazione ermeneutica dell’art. 22 del contratto integrativo aziendale stipulato da A. il 10.10.2007 nonché per errata valutazione interpretativa di istituti eterogenei previsti dall’art. 22 e dall’art. 23 AIA 2007; censura la sentenza impugnata per essere pervenuta al contestato risultato interpretativo operando una “confusione” tra gli istituti previsti dall’art. 22 e quello previsto dall’art. 23 dell’Accordo integrativo aziendale;
2. con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ. nonché omessa analisi circa un punto oggetto di controversia in relazione alla volontà delle parti di uniformare il trattamento premiale di tutti i dipendenti della società A. a fronte della variegata provenienza per effetto dei vari trasferimenti di azienda che si sono susseguiti nel tempo;
3. il primo motivo di ricorso è inammissibile;
3.1. secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte, l’interpretazione dei contratti collettivi integrativi costituisce un’attività riservata al giudice di merito, ed è censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per contrasto con l’art. 360, comma 1 n. 5 cod. proc. civ. che si sia tradotto in un’anomalia della motivazione quale indicata da Cass. Sez. Un. n. 21216/2015 (e da molte altre pronunzie conformi vedi, per tutte, Cass. n. 13641/2016). Ai fini della censura di violazione dei canoni ermeneutici non è peraltro sufficiente l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione, ma è necessaria la specificazione dei canoni in concreto violati, con la precisazione del modo e delle considerazioni attraverso i quali il giudice se ne sarebbe discostato. In ogni caso, ai fini della positiva conclusione della valutazione in sede di giudizio di legittimità non è necessario che quella data dal giudice sia l’unica interpretazione possibile, o la migliore in astratto, sicché, quando di una clausola siano possibili due o più interpretazioni, non è consentito alla parte, che aveva proposto l’ interpretazione disattesa dal giudice, dolersi in sede di legittimità del fatto che ne sia stata privilegiata un’altra (Cass. n. 19044/2010, Cass. n. 15604/2007, in motivazione, Cass. n. 4178/2007) dovendosi escludere che la semplice contrapposizione dell’interpretazione proposta dal ricorrente a quella accolta nella sentenza impugnata rilevi ai fini dell’annullamento di quest’ultima (Cass. 06/06/2013, n. 14318/2013, Cass. n. 23635/2010);
3.2. il motivo in esame non è formulato in conformità delle suddette indicazioni e, pertanto, si risolve nella mera e inammissibile contrapposizione di una diversa – più favorevole ai ricorrenti – interpretazione del testo del contratto collettivo integrativo, perché in essi non sono individuate le specifiche modalità attraverso le quali si sarebbe consumata la denunziata violazione delle regole legali di interpretazione né è dedotta l’anomalia della motivazione oggi unicamente denunciabile in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., che è quella che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante e che attiene all’esistenza della motivazione in sé – quale risulta dal testo della sentenza e prescindendo dal confronto con le risultanze processuali – e si esaurisce nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili”, nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile” (principio consolidato a partire da Cass. Sez. Un. 8053/2014);
3.3. l’argomento che evoca una condotta per facta concludentia di adesione dei lavoratori all’introduzione del ridetto ex premio aziendale ad personam quale nuova voce individuale non si confronta con la ricostruzione della natura collettiva dell’emolumento in questione, destinata a rimanere tale anche in presenza di una diversa volontà dei lavoratori; parimenti inammissibile la contestazione dell’utilizzabilità del contratto collettivo nazionale al fine dell’interpretazione del contratto aziendale per appartenere le relative clausole ad ambiti negoziali diversi, in quanto sfornita di specifica argomentazione;
4. il secondo motivo di ricorso è anch’esso inammissibile;
4.1. in merito alla denunzia di violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cod. civ. occorre premettere che alla concreta fattispecie sulla quale si è pronunziata la Corte di merito risulta estraneo ogni profilo connesso al significato ed alla portata applicativa dell’art. 2112 cod. civ.; da tanto deriva che onde impedire una valutazione di novità della questione, era onere del ricorrente quello di allegare l’avvenuta deduzione di esso innanzi al giudice di merito ed inoltre, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione, quello di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo avesse fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito Cass. 20694/2018, 15430/2018, 23675/2013) come viceversa non è avvenuto;
4.2. la denunzia di vizio di motivazione è anch’essa inammissibile per la dirimente considerazione che essa trascura di considerare che il n. 5 dell’art. 360, co. 1, per i giudizi di appello instaurati dopo il trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della legge 7 agosto 2012 n. 134, di conversione del d.l. 22 giugno 2012 n. 83, non può essere invocato, rispetto ad un appello promosso nella specie dopo la data sopra indicata (art. 54, comma 2, del richiamato d.l. n. 83/2012), con ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter, ultimo comma, cod. proc. civ., in base al quale il vizio di cui all’art. 360, co. 1, n. 5, cod. proc. civ. , non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. doppia conforme; v. Cass. n. 23021/2014); in questi casi il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. n. 26774/ 2016, conf. Cass. n. 20944/2019), mentre nulla di ciò viene specificato nella censura;
5. le spese di lite sono regolate secondo soccombenza;
6. sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art.13 d. P.R. n. 115/2002 (Cass. Sez. Un. n. 23535/2019)
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite che liquida in € 3.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.