CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 aprile 2022, n. 11670

Opposizione a cartella esattoriale – Debito da omessa contribuzione – Adesione all’estinzione agevolata – Effetti sospensivi sul processo – Difetto di interesse all’impugnazione

Rilevato che

Con sentenza del 20 novembre 2015, la Corte di appello di Bari, pronunciando sull’appello principale proposto dall’INPS e su quello incidentale proposto da E. ETR s.p.a., previa chiamata in causa di SCCI s.p.a., in riforma della sentenza del Tribunale di Trani del precedente 10 giugno 2008 e in parziale accoglimento dell’opposizione proposta da V.L. avverso la cartella con cui gli era stato intimato il pagamento della somma di Lire 798.401.549 a titolo di omesse contribuzioni previdenziali e assicurative, ha accertato il minor debito contributivo di Euro 305.086,27.

Avverso questa sentenza, V.L. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi; hanno risposto con controricorso l’INPS, in proprio e quale procuratore speciale della società SCCI s.p.a., nonché E. Servizi di Riscossione s.p.a.

Il ricorrente ha depositato memoria con allegati gli atti del procedimento di adesione all’estinzione agevolata del debito contributivo, sulla base di 18 ratei quadrimestrali indicatigli dall’Agenzia delle Entrate.

Dopo avere posto in evidenza di non aver potuto chiedere la sospensione del processo ai sensi dell’art.6, comma 10, del decreto- legge n. 119 del 2018 (per essere pervenuto il riscontro dell’Agenzia delle Entrate successivamente alla data, ivi fissata, del 10 giugno 2019), ha dichiarato di rimettersi a questa Corte «in ordine agli ulteriori effetti sospensivi sul processo in atto», precisando di riportarsi al ricorso introduttivo solo se «il processo non possa essere sospeso in conseguenza dell’istanza di sanatoria».

Considerato che

1. La dichiarazione contenuta nella memoria depositata dal ricorrente, valutata nel suo palese contenuto di riconoscimento del venir meno dell’interesse all’impugnazione, determina l’inammissibilità del ricorso.

Da un lato, infatti, ai sensi dell’art. 390, ultimo comma, c.p.c., l’atto di rinuncia al ricorso per cassazione deve essere notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse, che vi appongono il visto, per modo che, in mancanza di tali presupposti, non può dichiararsi l’estinzione del processo.

Dall’altro lato, tuttavia, poiché la dichiarazione del ricorrente – pur non essendo espressamente qualificata come atto di rinuncia – è comunque indicativa del venir meno dell’interesse al ricorso, deve dichiararsi l’inammissibiltà del ricorso medesimo per sopravvenuto difetto di una sua essenziale condizione (Cass., Sez. Un., 18 febbraio 2010, n. 3876; Cass. 31 gennaio 2013, n. 2259; Cass. 7 giugno 2018, n. 14782).

2. Non si deve provvedere al regolamento delle spese del giudizio, perché sia nel caso di rinuncia al ricorso (o comunque di sopravvenuta mancanza di interesse allo stesso) da parte del debitore, sia nel caso di emersione della verificazione della fattispecie applicata in situazione in cui il debitore (o contribuente) risulti resistente (o intimato), il contenuto della definizione agevolata assorbe il costo del processo pendente.

3. Non sussistono, infine, i presupposti per imporre al ricorrente il pagamento del c.d. “doppio contributo”.

Il fondamento della disposizione che pone a carico del ricorrente rimasto soccombente l’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato (art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228) va individuato nella finalità di scoraggiare le impugnazioni dilatorie o pretestuose.

Dunque, questo meccanismo sanzionatorio deve trovare applicazione nell’ipotesi di gravame originariamente inammissibile, non anche nell’ipotesi in cui esso sia dichiarato tale per una causa successiva, come quella – verificatasi nella vicenda in esame – di sopravvenuta carenza di interesse.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso.