CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 dicembre 2019, n. 32389

Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – “Stabile organizzazione” di un soggetto non residente – Presupposti – Sede fissa di affari ed esercizio in tutto o in parte dell’attività – Onere di prova a carico dell’Ufficio

Fatti di causa

Rilevato che:

l’Agenzia delle entrate proponeva appello avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale che accoglieva il ricorso del cittadino egiziano M.K.A.E.M. avverso avviso di accertamento redatto sulla base di indagini finanziarie svolte ex art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 sui conti del cittadino egiziano dalle quali era risultato che i versamenti effettuati sui suoi conti correnti fossero riconducibili ad una stabile organizzazione in Italia di una società egiziana, della quale il cittadino egiziano era l’amministratore delegato, la quale si occupava di vendere pacchetti turistici per viaggi in Egitto ad agenzie di viaggio italiane;

la Commissione Tributaria Regionale respingeva il ricorso dell’Agenzia delle entrate affermando che l’Ufficio non ha dimostrato che E.M. si occupasse abitualmente in Italia della conclusione di contratti aventi ad oggetto la prestazione di servizi turistici; inoltre il cittadino egiziano ha documentato di aver soggiornato in Italia pochissimi giorni;

l’Agenzia delle entrate proponeva ricorso affidato ad un unico motivo mentre il contribuente si costituiva con controricorso.

Ragioni della decisione

Considerato che con l’unico motivo d’impugnazione, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., l’Agenzia delle entrate denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 162 del T.U.I.R. (d.lgs. n. 917 del 1986) nonché dell’art. 39, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 cod. civ. in quanto sarebbe ravvisabile una stabile organizzazione in Italia suscettibile come tale di imposizione fiscale;

considerato che, secondo questa Corte, per il requisito della “stabile organizzazione” di un soggetto non residente in Italia, la cui sussistenza è necessaria ai fini dell’imponibilità del reddito d’impresa, è necessaria una presenza del soggetto non residente che sia incardinata nel territorio dell’altro Stato contraente dotata di una certa stabilità in quanto caratterizzata da una “stabile organizzazione”, i cui elementi costitutivi sono quello materiale ed oggettivo della “sede fissa di affari” e quello dinamico dell’esercizio in tutto o in parte della sua attività. La verifica in concreto della ricorrenza dei detti elementi deve essere effettuata dal giudice di merito, alla luce di quelli ulteriori caratterizzanti la fattispecie, con giudizio di fatto incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici: Cass. 21 novembre 2018, n. 30033; 24 novembre 2017, n. 28059);

ritenuto che la CTR si è attenuta ai suddetti principi in quanto non solo ha fatto esplicito riferimento a tale principio di diritto, ma ne ha fatto anche corretta applicazione ritenendo che non potesse dedursi la stabile organizzazione in Italia solo dalla circostanza che sui conti correnti italiani intestati al cittadino egiziano confluissero somme di denaro che venivano accreditate dalle agenzie di viaggio italiane, non ritenendo provata la circostanza che egli fosse fisicamente presente in Italia con una certa continuità e svolgesse in Italia una effettiva attività di contrattazione con le agenzie di viaggio per la somministrazione dei servizi turistici: del resto, per opinare diversamente si sarebbe costretti a prospettare una ricostruzione dei fatti diversa – come effettivamente adombrata dal ricorrente – rispetto a quella del giudice di merito, che invece è insindacabile in sede di legittimità;

considerato infatti che, con riferimento a motivi di ricorso che contengano questioni giuridiche che implichino accertamenti di fatto, è stato affermato da questa Corte: che con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass. 7 dicembre 2017, n. 29404); che in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità (Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940); che, in tema di ricorso per cassazione, il ricorrente che proponga una determinata questione giuridica – che implichi accertamenti di fatto – ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione o di una determinata circostanza dinanzi al giudice di merito, ma anche, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto ed in quale sede e modo la circostanza sia stata provata o ritenuta pacifica, onde dar modo alla Corte di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione (Cass. 24 gennaio 2019, n. 2038; Cass. 21 novembre 2017, n. 27568);

ritenuto dunque che il ricorso è infondato e che la condanna alle spese segue la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese processuali, che liquida in euro 3.000, oltre a rimborso forfettario nella misura del 15% e ad accessori di legge.