CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 dicembre 2019, n. 32424
Tributi – IVA – Cessazione ditta individuale – Credito maturato – Indicazione a rimborso nel quadro RX della dichiarazione – Mancata presentazione del modello VR – Diritto al rimborso – Sussiste
Rilevato che
– in controversia relativa ad impugnazione di un diniego di rimborso del credito IVA che V. Lo I., titolare di una ditta individuale, cessata nell’anno 2000, aveva maturato nel predetto anno d’imposta ed indicato nel quadro RX della dichiarazione Mod. Unico 2001, con la sentenza impugnata la CTR accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado, rilevando l’omessa presentazione del modello VR costituente «condizione indispensabile per attestare la volontà del contribuente di richiedere il rimborso», anche nell’ipotesi, come quella di specie, di cessazione dell’attività;
– avverso tale statuizione ricorrono per cassazione gli eredi del contribuente sulla base di un unico motivo, cui replica l’intimata con controricorso;
– sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del vigente art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio;
Considerato che
– con il motivo di ricorso i ricorrenti deducono, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 30 e 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, censurando la sentenza d’appello che avevano escluso il rimborso del credito d’imposta vantato con riferimento all’anno 2000 per avere erroneamente ritenuto necessaria la compilazione del modello VR anche nell’ipotesi di cessazione dell’attività;
– il motivo è manifestamente fondato;
– invero, secondo il consolidato orientamento di questa Corte la domanda di rimborso del credito d’imposta maturato dal contribuente deve considerarsi già presentata con la compilazione del corrispondente quadro della dichiarazione annuale (“RX4”), la quale configura formale esercizio del diritto, mentre la presentazione del modello VR costituisce, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 38 bis, solo un presupposto per l’esigibilità del credito e, dunque, un adempimento prodromico al procedimento di esecuzione del rimborso (ex plurimis, Cass. nn. 4592 e 4857 del 2015; nn. 10653, 20069 e 26867 del 2014; n. 14070 del 2012; n. 20039 del 2011), ha anche affermato che ove si tratti – come nel caso di specie – di richiesta di rimborso relativa all’eccedenza d’imposta risultata alla cessazione dell’attività, la fattispecie è regolata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 30, comma 2, e la richiesta è soggetta al termine di prescrizione ordinario decennale, non a quello biennale di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21, applicabile in via sussidiaria e residuale, solo in mancanza di disposizione specifiche; e ciò in quanto l’attività non prosegue, sicché non sarebbe possibile portare l’eccedenza in detrazione l’anno successivo (Cass. n. 9941 del 2015, n. 2005 del 2014; nn. 7684, 7685 e 14070 del 2012; nn. 13920 e 20039 del 2011; nn. 9794 e 25318 del 2010; n. 27948 del 2009);
– si è correttamente osservato, al riguardo (cfr. Cass. n. 9941 del 2015), che «siffatta soluzione ermeneutica è del resto coerente con il diritto eurounitario, poiché, se è vero che gli Stati membri adottano le misure necessarie ad assicurare l’osservanza degli obblighi di dichiarazione e di pagamento, l’esatta riscossione dell’imposta e la prevenzione di frodi, tuttavia è pur vero che tali misure non possono eccedere gli obiettivi sopra indicati (v. Corte di giustizia, 11 dicembre 2014, in causa C-590/14, Idexx; 8 maggio 2008, in causa C- 95/07 e C-96/07, Ecotrade; 27 settembre 2007, in causa C- 146/05, Coilee), essendo il diritto al ristoro dell’Iva versata “a monte” basilare nel sistema comunitario, in forza del principio di neutralità (cfr. Corte di giustizia, 22 dicembre 2010, in causa C- 438/09, Dankowski, p.to 34, con riguardo al caso di cessazione d’attività; 18 dicembre 1997, in cause riunite C-286/94, C-340/95, C- 401/95, C-47/96, Molenheide e altri). Deve quindi ritenersi ormai definitivamente superato il diverso e più risalente orientamento secondo cui, in caso di cessazione dell’attività, solo una domanda di rimborso conforme al modello ministeriale corrisponderebbe allo schema tipico delineato dall’art. 30 del decreto IVA, con la conseguenza che la domanda difforme resterebbe assoggettata alla decadenza biennale prevista, in via residuale, dal citato D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21 (Cass. nn. 18920 e n. 18915 del 2011; n. 7669 del 2012)»;
– quanto al termine prescrizionale, questa Corte ha reiteratamente affermato che il credito Iva esposto dal contribuente nella dichiarazione dei redditi è soggetto all’ordinaria prescrizione decennale, mentre non è applicabile il termine biennale di decadenza previsto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2, in quanto l’istanza di rimborso non integra il fatto costitutivo del diritto, ma solo il presupposto di esigibilità del credito per dare inizio al procedimento di esecuzione del rimborso stesso (ex multis, Cass. n. 4559 del 2017, nn. 9941 e 4857 del 2015, n. 20678 del 2014, nn. 7684, 14070, 15229 e 23580 del 2012, n. 13920 del 2011, n. 9794 del 2010);
– conclusivamente, quindi, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata va cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, essendo incontroversa la spettanza del credito e la tempestività dell’istanza di rimborso, va accolto l’originario ricorso del contribuente;
– le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a carico della parte intimata, rimasta soccombente, nella misura liquidata in dispositivo, mentre quelle dei gradi di merito vanno compensate tra le parti in ragione dei profili sostanziali della vicenda processuale;
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie l’originario ricorso del contribuente. Condanna la controricorrente al pagamento, in favore dei ricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.400,00 per compensi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge, compensando le spese dei gradi di merito.
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