CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 dicembre 2019, n. 32427
Tributi – Accertamento – Verifica movimentazioni bancarie – Reddito di lavoro autonomo – Presunzione legale ex art. 32 del D.P.R. n. 600 del 1973 – Conto corrente intestato al coniuge con delega ad operare
Rilevato che
1. In controversia relativa ad impugnazione di un avviso di accertamento di un maggior reddito di lavoro autonomo per l’anno d’imposta 2006, emesso dall’amministrazione finanziaria nei confronti dell’avv. V.C.B. a seguito di verifica delle movimentazioni bancarie effettuate sui conti correnti al medesimo riconducibili, con la sentenza in epigrafe indicata la CTR rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sfavorevole sentenza di primo grado ritenendo che il contribuente aveva superato la presunzione posta dagli artt. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, in quanto sul conto corrente n. 1324 intestato alla coniuge «aveva solo facoltà di traenza» e dall’attestazione rilasciata dall’istituto bancario risultava che «la firma di traenza degli assegni emessi relativi al citato conto n. 1324, recano tutti la firma della titolare del conto, sig.ra R.E.», mentre con riferimento al conto corrente n. 203, «la maggior parte [dei movimenti] sono riportati sotto la voce “Locazione Cavatorta”» e si riferiscono al pagamento dei canoni di locazione per un appartamento locato al figlio del contribuente.
2. Avverso tale statuizione l’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione sulla base di quattro motivi, cui replica l’intimato con controricorso.
3. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ., risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 e 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972, in tema di presunzione legale posta dalle citate disposizioni e del conseguente onere probatorio posto a carico del contribuente.
2. Con il secondo motivo di ricorso deduce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. avendo la CTR omesso di pronunciarsi sul motivo di impugnazione con cui l’Agenzia delle entrate appellante aveva dedotto la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del d.P.R. n. 600 del 1973.
3. Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce la nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione, sub specie di motivazione apparente, in violazione dell’art. 132 cod. proc. civ.
4. Esclusa preliminarmente la fondatezza dell’eccezione del controricorrente di inammissibilità del ricorso per difetto di specificità dei motivi di ricorso, che, già per quanto riferito ai precedenti paragrafi, intercettano in maniera puntuale le argomentazioni svolte dai giudici di appello nell’impugnata sentenza, pare opportuno ricordare, nel merito, che è orientamento assolutamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, come ribadito da ultimo da Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 22931 del 26/09/2018 (v. anche Cass. n. 16440 del 2016, n. 19806 e n. 19807 del 2017), quello secondo cui «In tema di accertamento, resta invariata la presunzione legale posta dall’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 con riferimento ai versamenti effettuati su un conto corrente dal professionista o lavoratore autonomo, sicché questi è onerato di provare in modo analitico l’estraneità di tali movimenti ai fatti imponibili, essendo venuta meno, all’esito della sentenza della Corte costituzionale n. 228 del 2014, l’equiparazione logica tra attività imprenditoriale e professionale limitatamente ai prelevamenti sui conti correnti».
4.1. Va altresì ricordato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, al fine di superare la presunzione posta a carico del contribuente dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 (in virtù della quale i versamenti operati su conto corrente bancario vanno imputati a ricavi conseguiti nell’esercizio dell’attività libero professionale o di lavoratore autonomo), non è sufficiente una prova generica circa ipotetiche distinte causali dell’affluire di somme sul proprio conto corrente, ma è necessario che il contribuente fornisca la prova analitica della riferibilità di ogni singola movimentazione alle operazioni già evidenziate nelle dichiarazioni, ovvero dell’estraneità delle stesse alla sua attività (di recente, Cass. n. 4829/2015) e che tale principio si applica, in presenza di alcuni elementi sintomatici, come il rapporto di stretta contiguità familiare tra il contribuente ed i congiunti intestatari dei conti bancari sottoposti a verifica, anche alle movimentazioni effettuate su questi ultimi, poiché in tal caso, infatti, è particolarmente elevata la probabilità che le movimentazioni sui conti bancari dei familiari debbano – in difetto di specifiche ed analitiche dimostrazioni di segno contrario – ascriversi allo stesso contribuente sottoposto a verifica (v. Cass., Sez. V, Ord., 15 novembre 2017, n. 27075. In senso analogo si espressa Cass. n. 1898 del 2016, secondo cui, ancorché in tema di accertamento del reddito d’impresa, «gli artt. 32, n. 7, del d.P.R. n. 600 del 1973 e 51 del d.P.R. n. 633 del 1972 autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente», nonché Cass. n. 26173 del 2011, n. 26829 del 2014, n. 12276 del 2015 nonché Cass. n. 428 del 2015, secondo cui «In tema di imposte sui redditi, lo stretto rapporto familiare e la composizione ristretta del gruppo sociale è sufficiente a giustificare, salva la prova contraria, la riferibilità delle operazioni riscontrate sui conti correnti bancari di tali soggetti all’attività economica della società sottoposta a verifica, sicché in assenza di prova di attività economiche svolte dagli intestatari dei conti, idonee a giustificare i versamenti e i prelievi riscontrati, ed in presenza di un contestuale rapporto di collaborazione con la società, deve ritenersi soddisfatta la prova presuntiva a sostegno della pretesa fiscale, con spostamento dell’onere della prova contraria sul contribuente. (Nella specie, la S.C. ha enunciato il principio con riferimento a conti bancari intestati ad amministratori, legati da evidenti rapporti di parentela, e nessuno degli intestatari svolgeva attività economica idonea a giustificare simili importi reddiduali)».
4.2. Va ancora ricordato, in tema di onere della prova e di verifica giudiziale in materia di accertamenti bancari, il consolidato insegnamento di questa Corte secondo cui la presunzione di cui all’art. 32, comma 1, n. 2, d.P.R. n. 600 del 1973 dettata in materia di imposte sui redditi (secondo la quale i prelevamenti e gli importi riscossi nell’ambito di rapporti bancari, in difetto di indicazione del soggetto beneficiario o in mancanza di annotazione nelle scritture contabili, sono considerati ricavi o compensi posti a base delle rettifiche operate ai sensi degli artt. 38-41 dello stesso decreto, ove il contribuente non dimostri che ne ha tenuto conto nella dichiarazione dei redditi ovvero che tali somme rimangono escluse dalla formazione dell’imponibile), omologa a quella stabilita dall’art. 51, comma 2, n. 2, d.P.R. n. 633 del 1972 in materia di IVA, consentendo di riferire a redditi (e, nel secondo caso, a ricavi) imponibili, conseguiti nell’attività economica svolta dal contribuente, tutti i movimenti bancari rilevati dal conto, qualificando gli “accrediti” (e, per le sole attività imprenditoriali, anche gli “addebiti”) come ricavi; trattasi di presunzione legale “juris tantum” che consente di considerare come ricavo riconducibile all’attività professionale o imprenditoriale del contribuente qualsiasi accredito riscontrato sul conto corrente del medesimo e a quello dei congiunti, in presenza di chiari elementi sintomatici come quelli sussistenti nella specie, e comportante l’inversione dell’onere della prova, spettando a quest’ultimo di superare detta presunzione offrendo la prova liberatoria che dei movimenti sui conti bancari egli ha tenuto conto nelle dichiarazioni, o che gli accrediti (e gli addebiti) registrati sui conti non si riferiscono ad operazioni imponibili, occorrendo all’uopo che venga indicato e dimostrato dal contribuente la provenienza dei singoli versamenti con riferimento tanto ai termini soggettivi dei singoli rapporti, quanto alle diverse cause giustificative degli accrediti (arg. da Cass. 26111 del 2015 e n. 21800 del 2017; conf. Cass. n. 5152, n. 5153, n. 19807 e n. 19806 del 2017, n. 18065, n. 18066, n. 18067, n. 16686, n. 16699, n. 16697, n. 11776, n. 6093 del 2016; Sez. 6-5, ord. n. 7453, n. 9078 e n. 19029 del 2016); con specifico riferimento al contenuto dell’onere probatorio gravante sul contribuente si è affermato che il contribuente ha l’onere di dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, e, a tal fine, deve fornire non una prova generica, ma una prova analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (in termini, Cass. n. 18081 del 2010, n. 22179 del 2008 e n. 26018 del 2014) ed il giudice di merito è tenuto alla rigorosa verifica dell’efficacia dimostrativa delle prove fornite a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, rifuggendo da qualsiasi valutazione di irragionevolezza ed inverosimiglianza dei risultati restituiti dal riscontro delle movimentazioni bancarie, in quanto il giudizio di ragionevolezza dell’inferenza dal fatto certo a quello incerto è già stato stabilito dallo stesso legislatore con la previsione, in tale specifica materia, della presunzione legale (Cass. 21800 del 2017).
5. Così ricostruito il quadro giurisprudenziale in materia, osserva la Corte che la sentenza impugnata non vi si è attenuta in quanto, immotivatamente, con argomentazioni tali da non consentire «di comprendere le ragioni e, quindi, le basi della sua genesi e l’iter logico seguito per pervenire da essi al risultato enunciato» (cfr. Cass. n. 4448 del 2014; v. anche Cass., Sez. U., n. 8053 del 2014; Cass. n. 21257 del 2014), e quindi con motivazione meramente apparente (come denunciato con il V. secondo motivo di ricorso), ha escluso la riferibilità a ricavi conseguiti dal contribuente nell’esercizio della propria attività professionale e non contabilizzati, delle somme rinvenute sui conti correnti al medesimo riferibili, tra cui quello intestato al coniuge sul quale quello aveva la delega ad operare (la «facoltà di traenza»), avendo i giudici di appello erroneamente attribuito rilevanza ai movimenti in uscita dai predetti conti («assegni emessi relativi al citato conto n. 1324», recan[ti] tutti la firma della titolare del conto, sig.ra R.E.», e pagamento dei canoni di locazione per un appartamento locato al figlio del contribuente) e non invece, come avrebbe dovuto, a quelli in entrata, ovvero ai versamenti effettuati su detti conti correnti.
6. Da quanto detto consegue l’accoglimento del primo e terzo motivo di ricorso e l’assorbimento del secondo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio alla competente CTR per nuovo esame, da condurre alla stregua dei suindicati principi, nonché per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo e terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Sicilia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.