CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3261
Tributi – Accertamento sintetico – Redditometro – Incrementi patrimoniali – Presunzione – Valutazione dei redditi conseguiti nei quattro anni precedenti
Rilevato che
con la sentenza impugnata è stata confermata la pronuncia della Commissione Tributaria Provinciale di Como, con la quale è stata rigettata la domanda proposta dalla ricorrente indicata in epigrafe, volta all’annullamento degli avvisi (n. 79K010800999/2011, T9K010800989/2011, T9K010800994/2011) di accertamento sintetico, ex art. 38 del DPR n. 600 del 1973, di maggior reddito ai fini Irpef, e relative addizionali regionali, per gli anni 2006, 2007 e 2008;
per la cassazione della decisione ha proposto ricorso la B., affidato a tre motivi;
l’Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
Considerato che
con il primo motivo, A.B. – denunciando violazione dell’art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973 – si duole che il giudice di appello, nel condividere l’operato dell’Agenzia delle Entrate, abbia omesso di considerare che i tre acquisti immobiliari che hanno dato origine all’accertamento riguardano, quello avente ad oggetto l’immobile sito nel Comune di Nicotera, l’anno 2008 e, quelli concernenti la residenza secondaria in Cermenate e l’unità pertinenziale di detta residenza, l’anno 2009, il quale, tuttavia, non è stato oggetto né di accertamento né di verifica; sicché ci si troverebbe “di fronte ad un paradosso giuridico secondo il quale il contribuente avrebbe dovuto dichiarare in un certo anno un reddito in previsione di un acquisto di un immobile in anni futuri pur non avendo la disponibilità di nessun reddito”.
Con il secondo motivo – denunciando violazione della circolare 49/E del 9 agosto 2007 in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3. c.p.c. – lamenta che il predetto giudice non abbia valutato la possibilità economica dell’intero nucleo famigliare, disattendendo la previsione della predetta circolare che attribuisce rilievo al concetto di “famiglia fiscale”.
Con il terzo motivo – denunciando omessa ed insufficiente motivazione circa un punto determinante della sentenza in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. – si duole che il giudice del gravame non abbia motivato la propria decisione, limitandosi a dichiarare la inidoneità delle prove offerte dalla contribuente a provare la provenienza dei maggiori redditi rettificati, senza esaminarle nel dettaglio, riportandosi alle motivazioni dell’ufficio, a suo dire esaustive.
Ritenuto che
il primo motivo è infondato, poiché in tema di accertamento con metodo cd. sintetico, è legittima l’applicazione dell’art. 38, comma 5, del d.P.R. n. 600 del 1973 (nel testo antecedente alla modifica apportata dall’art. 22 del d.l. n. 78 del 2010, conv. in l. n. 122 del 2010), il quale reca una presunzione <<iuris tantum>> di favore per il contribuente, secondo cui la spesa per incrementi patrimoniali rilevata dall’Ufficio si presume sostenuta con redditi conseguiti non solo nell’anno in cui è effettuata, ma già a partire dai quattro anni precedenti, in misura costante, ferma restando, peraltro, la facoltà per il contribuente stesso di provare che il maggior reddito è costituito, in tutto o in parte, da redditi esenti o soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta (così Cass. n. 3403/2019; in senso analogo v., tra le altre, Cass. n. 6222/2012).
Il secondo motivo è inammissibile, non potendo dedursi ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., la violazione di circolare (cfr., sul punto, Cass. n. 14619/2000: “L’amministrazione finanziaria non ha poteri discrezionali nella determinazione delle imposte dovute e, di fronte alle norme tributarie, detta amministrazione ed il contribuente si trovano su un piano di parità, per cui la cosiddetta interpretazione ministeriale (proveniente di solito da uffici centrali dell’Amministrazione finanziaria), sia essa contenuta in circolari o risoluzioni, non vincola né i contribuenti né i giudici, né costituisce fonte di diritto.
Conseguentemente a detti atti ministeriali non si estende il controllo di legittimità esercitato dalla Corte di Cassazione – ex artt. 111 Cost. e 360 c.p.c. – , in quanto essi non sono manifestazione di attività normativa, bensì atti interni della medesima Pubblica Amministrazione destinati ad esercitare una funzione direttiva nei confronti degli uffici dipendenti ma inidonei ad incidere sul rapporto tributario”).
Il terzo motivo è del pari inammissibile, in primo luogo perché formulato come vizio di motivazione rilevante ai sensi del testo precedente dell’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., mentre la nuova versione del predetto articolo consente di censurare l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio e trascurato dal giudice di merito (cfr., tra le altre, Cass. n. 27415/2018); in secondo, perché il ricorso in appello è stato depositato successivamente all’11 settembre 2012, onde valgono i limiti della c.d. “doppia conforme” ex art. 348 ter, ult. comma, c.p.c., avendo entrambi i giudici ritenuto non fornita dalla ricorrente – a seguito di esame e valutazione della documentazione prodotta – la prova liberatoria ex art. 38 del d.P.R. n. 600 del 1973, non integrata, così come evidenziato nella motivazione della sentenza impugnata, dalla mera disponibilità di proventi monetari (del resto, nell’ipotesi di doppia conforme, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c., il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse”; così Cass. n. 26774/2016).
Senza contare, infine, che la doglianza si risolve, comunque, in una censura di merito sulle valutazioni delle risultanze istruttorie effettuate dal giudice di appello, non ammessa nel giudizio di legittimità.
Al rigetto del ricorso segue il pagamento delle spese di lite, determinate come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
P.Q.M.
rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite in favore dell’Agenzia delle Entrate, liquidate in €: 3.000,00, oltre spese prenotate a debito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.