CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2020, n. 3283
Licenziamento – Assenza ingiustificata dal servizio – Proporzione della sanzione – Assistenza in favore del convivente – Prova documentale
Rilevato che
1. La Corte di appello di Bologna ha confermato la illegittimità del licenziamento intimato da G.G. ad E.l. in relazione alla contestata assenza ingiustificata dal servizio per cinque giorni ed ha riformato la sentenza di primo grado limitatamente alla misura dell’indennità liquidata ai sensi dell’art. 8 della legge n. 604 del 1966 quale obbligazione alternativa alla riassunzione in servizio della lavoratrice.
2. Il giudice di secondo grado ha ritenuto che, pur ingiustificata l’assenza dal servizio, tuttavia la sanzione irrogata, anche se prevista dalla contrattazione collettiva, era comunque sproporzionata. La Corte di appello ha rammentato che, pur a fronte di una tipizzazione della condotta da parte della contrattazione collettiva, al giudice è demandato di verificare la proporzionalità della sanzione prevista. Ha quindi accertato che nella specie si trattava di un rapporto di lavoro iniziato anni prima e senza alcun precedente disciplinare. Che non era stato allegato alcun danno. Ha evidenziato che era stata documentalmente provata l’esigenza dell’assistenza in favore del convivente e l’esistenza del conseguente dovere solidaristico. In tale situazione quindi la Corte di merito ha ritenuto sproporzionata la sanzione espulsiva irrogata in relazione alla condotta complessivamente tenuta.
3. Per la cassazione della sentenza ricorre G.G. sulla base di un unico articolato motivo. E.l. è rimasta intimata.
Considerato che
4. Con il suo unico articolato motivo G.G. denuncia la violazione dell’art. 2119 cod. civ., dell’art. 30 comma 3 della legge n. 183 del 2010 e la violazione dell’art. 88 comma E del c.c.n.l. per i lavoratori delle imprese artigiane e delle piccole e medie imprese industriali dell’edilizia e affini del 1 ottobre 2004 oltre che l’irrazionalità illogicità contraddittorietà della motivazione in contrasto con le emergenze istruttorie, la violazione dei principi del giusto processo e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti.
4.1. Osserva il ricorrente che la Corte sebbene abbia ritenuto provata l’assenza ingiustificata dal servizio per cinque giorni, condotta punita dal c.c.n.l. col licenziamento, ha poi erroneamente ritenuto sproporzionata la sanzione irrogata. Così facendo il giudice di appello avrebbe trascurato di considerare che il datore di lavoro si era attenuto al dettato del contratto, espressione della volontà delle parti collettive, le quali avevano individuato nell’assenza ingiustificata per tre giorni consecutivi o per complessivi cinque giorni in un anno la condotta sanzionabile con il licenziamento in tronco. Rileva inoltre il ricorrente che il giudice di appello avrebbe erroneamente interpretato l’art. 30 comma 3 della legge n. 183 del 2010 attribuendo alla disposizione un significato opposto a quello che si trae dalla lettera della norma.
Ritiene che l’anzianità di servizio valorizzata dal giudice in senso assolutorio avrebbe dovuto invece condurre ad una diversa e più grave valutazione della condotta atteso che ne risultava comprovata, in relazione ad essa, la consapevolezza e la gravità dell’insubordinazione. Sostiene che erroneamente era stata esclusa l’esistenza di un pregiudizio in danno del datore di lavoro che, invece, era insito proprio nell’impossibilità di fare affidamento sulla presenza in servizio della dipendente. Evidenzia che la Corte di merito avrebbe trascurato di valutare la circostanza, emersa nel corso del giudizio, che, come risulta dalla lettera di dimissione ospedaliera, non vi era alcuna necessità di assistenza al convivente.
5. Il ricorso è infondato.
5.1. Il giudice di appello si è infatti attenuto ai principi più volte affermati da questa Corte (cfr. Cass. 26/03/2018 n. 7426, 13/12/2010 n. 25144 e recentemente Cass. 20/05/2019 n. 13533), secondo il quale i concetti di giusta causa di licenziamento e di proporzionalità della sanzione disciplinare costituiscono clausole generali, vale a dire disposizioni di limitato contenuto che richiedono di essere concretizzate dall’interprete tramite valorizzazione sia di fattori esterni relativi alla coscienza generale, sia di principi tacitamente richiamati dalla norma, quindi mediante specificazioni che hanno natura giuridica e la cui disapplicazione è deducibile in sede di legittimità come violazione di legge, a condizione però che la contestazione in tale sede contenga una specifica denuncia di incoerenza del giudizio rispetto agli “standards” esistenti nella realtà sociale e non si traduca in una richiesta di accertamento della concreta ricorrenza degli elementi fattuali che integrano il parametro normativo, accertamento che è riservato ai giudici di merito (cfr. Cass. n. 13533 del 2019 cit.). Il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della sanzione all’illecito commesso si sostanzia nella valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto rapporto ed a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la circostanza che l’inadempimento, ove provato dal datore di lavoro in assolvimento dell’onere su di lui incombente L. n. 604 del 1966, ex art. 5 deve essere valutato tenendo conto della specificazione in senso accentuativo a tutela del lavoratore rispetto alla regola generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 cod. civ., sicché l’irrogazione della massima sanzione disciplinare risulta giustificata solamente in presenza di un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione neppure provvisoria – durante il periodo di preavviso – del rapporto ( cfr. Cass. 21/06/2011 n. 13574 ed ivi le citate Cass. 14/01/2003 n. 444, 25/02/2005 n. 3994, 16/05/2006 n. 11430, 24/07/2006 n. 16864, 10/12/2007 n. 25743, 22/03/2010 n. 6848. V. anche Cass. 18/09/2012 n. 15654).
5.2. Orbene la sentenza impugnata, pur riconoscendo l’oggettivo disvalore della condotta tenuta dalla dipendente ha ritenuto, tuttavia, che nel valutare la stessa si doveva tenere conto di altri fattori che contribuivano a connotarne la gravità. Da un canto il generale dovere di assistenza gravante sulla lemmi in favore del suo convivente reduce da un incidente stradale; dall’altro la circostanza che la condotta era unica nel quadro di un rapporto di lavoro di lunga durata. Infine la circostanza che il datore di lavoro non avesse neppure ipotizzato di aver subito un danno per effetto dell’assenza ingiustificata della lavoratrice. In definitiva il giudice di merito, con valutazione delle complesse circostanze di fatto che avevano connotato la condotta, ha escluso che il comportamento della dipendente potesse integrare quel notevole inadempimento e determinare quella lesione del vincolo fiduciario che avrebbe giustificato il recesso dal rapporto di lavoro seppure con preavviso.
5.3. In sostanza la Corte di appello non pone in discussione, sul piano oggettivo, il disvalore della condotta ascritta, ma, piuttosto, in esito ad un accertamento di fatto, che il giudice di merito è tenuto ad effettuare con riferimento alle circostanze del caso concreto, ha escluso che la sanzione prevista dalla contrattazione collettiva fosse, nel caso concreto ed alla luce delle circostanze in cui si era sviluppata la condotta, di tale gravità sia sotto il profilo oggettivo che sotto il profilo soggettivo, da giustificare il recesso.
5.4. Quanto all’art. 30 della legge n. 183 del 2010 va rilevato che la disposizione che impone al giudice, nel valutare le motivazioni poste a base del licenziamento, di tenere conto “delle tipizzazioni di giusta causa e di giustificato motivo presenti nei contratti collettivi di lavoro stipulati dai sindacati comparativamente più rappresentativi ovvero nei contratti individuali di lavoro (…)” e nel “definire le conseguenze da riconnettere al licenziamento ai sensi dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, e successive modificazioni” di tenere egualmente conto di elementi e di parametri fissati dai predetti contratti, e comunque di considerare le dimensioni e le condizioni dell’attività esercitata dal datore di lavoro, la situazione del mercato del lavoro locale, l’anzianità e le condizioni del lavoratore, nonchè il comportamento delle parti anche prima del licenziamento, non esclude che il giudice possa verificare la proporzionalità della sanzione rispetto alla condotta in concreto tenuta. La disposizione non incide sulla regola che, allorquando il lavoratore impugni un provvedimento disciplinare escludendo la sussistenza di una sua responsabilità tale da giustificare il provvedimento stesso, il giudice debba procedere all’accertamento della complessa fattispecie che quella responsabilità determini, anche sotto il profilo della proporzionalità della sanzione. Il catalogo contrattuale delle giuste cause o dei giustificati motivi può – a seconda dei casi – essere esteso oltre i meri esempi del CCNL (se si tratta di condotte comunque rispondenti al modello di giusta causa o giustificato motivo) o ridotto (se tra le esemplificazioni contrattuali ve ne sono talune non rispondenti a tale modello legale. In tal caso la relativa clausola sarà nulla per violazione di norma imperativa di legge) (Cass. 16/03/2018 n. 6606).
6. In conclusione, per le ragioni esposte, il ricorso deve essere rigettato e la sentenza confermata. Non occorre provvedere sulle spese del giudizio di legittimità stante la mancata costituzione della l. rimasta intimata. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.