CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2021, n. 3459
Tributi – Imposta di registro – Registrazione sentenza del tribunale – Ricognizione di credito e revoca di decreto ingiuntivo per pagamento in corso di causa – Applicazione imposta proporzionale
Rilevato che
La “C. S.p.A.” ricorre per la cassazione della sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Regionale di Sicilia il 5 febbraio 2018 n. 524/07/2018, non notificata, che, in controversia su impugnazione di avviso di liquidazione per l’omesso pagamento dell’imposta di registro e dei relativi accessori per la registrazione di una sentenza resa dal Tribunale di Enna all’esito di opposizione a decreto ingiuntivo emesso in suo favore, ha accolto l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti della medesima avverso la sentenza depositata dalla Commissione Tributaria Provinciale di Enna il 30 maggio 2014 n. 599/01/2014, con condanna alla rifusione delle spese di lite. La Commissione Tributaria Regionale ha riformato la decisione di primo grado, sul presupposto che l’imposta di registro dovesse applicarsi in misura proporzionale con l’aliquota dell’1% in relazione alla pronunzia di ricognizione del credito che era stata adottata contestualmente alla revoca del decreto ingiuntivo dopo il pagamento eseguito in corso di causa.
L’Agenzia delle Entrate si è costituita con controricorso.
Considerato che
1. Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 20 e 37 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nonché dell’art. 8, comma 1, lett. d, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, degli artt. 115, 633 e 645 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente ritenuto che la sentenza resa sull’opposizione a decreto ingiuntivo con pronunzia ricognitiva dell’esistenza del credito ingiunto fosse soggetta all’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1%, anziché ad imposta di registro in misura fissa.
2. Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 40 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, nonché della nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente escluso che la sentenza resa sull’opposizione a decreto ingiuntivo con pronunzia ricognitiva dell’esistenza del credito ingiunto riguardasse prestazioni soggette ad I.V.A. e non potesse essere soggetta anche ad imposta proporzionale di registro.
3. Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 91 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ., per aver erroneamente statuito la condanna della contribuente alla rifusione delle spese giudiziali in favore dell’amministrazione finanziaria, nonostante quest’ultima fosse stata rappresentata in giudizio da funzionari e non da avvocati.
Ritenuto che
1. Il primo motivo ed il secondo motivo – la cui stretta ed intima connessione suggerisce l’esame congiunto – sono infondati.
1.1 La ricorrente contesta l’applicazione dell’imposta di registro nella misura proporzionale dell’1% ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, in relazione alla pronunzia di accertamento dell’esistenza del credito ingiunto, che era stata (a suo dire, impropriamente) adottata dal Tribunale di Enna, contestualmente alla revoca del decreto ingiuntivo, a seguito del pagamento effettuato in corso di causa, con la sentenza resa all’esito del giudizio di opposizione.
Secondo la prospettazione contenuta nel ricorso introduttivo, interpretandone il contenuto «secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto presentato alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente, sulla base degli elementi desumibili dall’atto medesimo» (art. 20 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, di cui è pacifica l’applicazione anche agli atti giudiziari: Cass., Sez. 5^, 19 gennaio 2018, n. 1342), tale pronunzia dovrebbe intendersi alla stregua di una mera absolutio ab instantia sulla base del sopravvenuto pagamento del debito in corso di causa e della conseguente revoca del decreto ingiuntivo, per cui l’imposta di registro avrebbe dovuto applicarsi in misura fissa a norma dell’art. 8, comma 1, lett. d, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131.
1.2 Ora, per quanto il pagamento del debito in corso di causa comporti normalmente la pronunzia della revoca del decreto ingiuntivo e della cessazione della materia del contendere sulla domanda originaria, non si può declassare, con un’operazione di pura e semplice ermeneutica, la dichiarazione di accertamento del credito (il cui tenore è riportato sia alle pagine 4 e 5 del ricorso, che alla pagina 3 del controricorso), ancorché adottata dal giudice dell’opposizione a decreto ingiunto in carenza di una specifica ed autonoma domanda (ultra petitum), ad una statuizione di carattere meramente processuale, anche in considerazione dell’eterogeneità funzionale delle tipologie provvedimentali. Per cui, era onere delle parti impugnare in parte qua la sentenza per ottenere la riforma della pronuncia erroneamente adottata nel merito.
1.3 Ciò posto, la pronunzia di accertamento del credito non si prestava ad una diversa imposizione, anche considerando la soggezione ad I.V.A. delle prestazioni eseguite in corso di causa.
Infatti, la nota II all’art. 8 della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 limita ai soli «atti di cui al comma 1, lettera b)», cioè agli atti giudiziari «recanti condanna al pagamento di somme o valori, ad altre prestazioni o alla consegna di beni di qualsiasi natura», l’esonero dall’imposta proporzionale di registro «per la parte in cui dispongono il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti all’imposta sul valore aggiunto ai sensi dell’art. 40 del Testo unico».
Per cui, è evidente l’eccezionalità della disposizione derogatoria, che non può essere estesa in via interpretativa agli «atti di cui al comma 1, lettera c)», cioè agli atti giudiziari «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale».
Ed in tal senso questa Corte si è espressa con riguardo all’opposizione allo stato passivo del fallimento ex art. 98 del R.D. 16 marzo 1942 n. 267 (prima della dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 8, comma 1, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 da parte della sentenza della Corte Costituzionale n. 177 del 13 luglio 2017, nella parte in cui assoggetta all’imposta di registro proporzionale, anziché in misura fissa, anche le pronunce che definiscono i giudizi di opposizione allo stato passivo del fallimento con l’accertamento di crediti derivanti da operazioni soggette all’imposta sul valore aggiunto – in tema: Cass., Sez. 5^, 5 dicembre 2018, n. 31409), affermando che la tariffa agevolata non può trovare applicazione, poiché essa è governata dal principio di alternatività nei soli casi indicati all’art. 8, comma 1, lett. b, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 e questo principio, ancorché di natura generale, opera in relazione all’imposta controversa solo con riguardo agli specifici atti individuati tassativamente nella norma citata, e non è suscettibile di applicazione al di fuori delle ipotesi contemplate, stante, peraltro, il suo contenuto agevolativo, che lo rende di stretta interpretazione, alla strenua del chiaro disposto dell’art. 15 disp. prel. cod. civ. che esclude l’interpretazione estensiva delle norme speciali (in termini: Cass., Sez. 5^, 27 settembre 2017, n. 22502).
In tale direzione, si è anche affermato che la sentenza che accerta l’esistenza o l’ammontare del credito pignorato, definendo il giudizio di cognizione instaurato, a norma dell’art. 548 cod. proc. civ., in caso di mancata o contestata dichiarazione del terzo, è compresa fra gli atti dell’autorità giudiziaria «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale», di cui all’art. 8, comma 1, lett c) della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, assoggettati all’imposta di registro nella misura proporzionale dell’ 1%, e non all’imposta nella misura fissa, riferendosi la norma non soltanto all’accertamento costitutivo, ma anche a quei provvedimenti privi di contenuto traslativo o ablatorio, che si risolvono in un accertamento dell’esistenza di ricchezza (in termini: Cass., Sez. 5^, 26 giugno 2009, n. 15159).
Analogamente, si è detto che la sentenza di accertamento dell’obbligo del terzo nei confronti del debitore esecutato ex art. 549 cod. proc. civ., è assoggettata, ex art. 8, comma 1, lett. c), della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, ad imposta di registro in misura proporzionale e non fissa, in quanto è una decisione di mero accertamento e non di condanna sottoposta, in via alternativa, ad I.V.A. (in termini: Cass., Sez. 5^, 19 aprile 2019, n. 11036).
1.4 Né si profila una irragionevole disparità di trattamento tra le distinte fattispecie di cui all’art. 8, lett. b e lett. c, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131 (pronunzie di condanna e pronunzie di accertamento) ai fini dell’eventuale prospettazione di una questione di legittimità costituzionale per violazione dell’art. 3 Cost..
Difatti, secondo l’apprezzamento già manifestato dal giudice delle leggi (sempre con riguardo all’opposizione allo stato passivo del fallimento, ma con argomentazione perfettamente attagliantesi alla vicenda in esame), «il fatto che l’accertamento del diritto di credito costituisca il necessario antecedente logico-giuridico della condanna non rende omogenee le fattispecie messe a confronto, neppure ai fini del regime tributario agevolato. E evidente, infatti, la diversità degli effetti che derivano dai due tipi di pronunce, quanto alla realizzazione degli interessi del creditore, perché solo quelle di condanna sono suscettibili di esecuzione forzata, rientrando così nell’ambito di applicazione dell’I. V.A. qualora dispongano il pagamento di corrispettivi o prestazioni soggetti a tale imposta» (sentenza della Corte Costituzionale n. 177 del 13 luglio 2017).
1.5 Va, quindi, riaffermato e ribadito il principio per cui gli atti giudiziari «di accertamento di diritti a contenuto patrimoniale» sono soggetti ad imposta di registro in misura proporzionale dell’1%, ai sensi dell’art. 8, comma 1, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131, anche nel caso in cui essi riguardino corrispettivi o prestazioni soggetti ad I.V.A., non applicandosi il principio di alternatività di cui all’art. 40 del D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131.
1.6 Sotto tale aspetto, dunque, la Commissione Tributaria Regionale si è attenuta al principio enunciato, valutando che la statuizione dichiarativa dell’esistenza del credito era riconducibile alla sfera applicativa dell’art. 8, lett. c, della tariffa – parte prima allegata al D.P.R. 26 aprile 1986 n. 131.
2. Parimenti, anche il terzo motivo è infondato.
2.1 Secondo la ricorrente, la costituzione in giudizio dell’amministrazione finanziaria a mezzo dei propri funzionari dovrebbe escludere la condanna della contribuente alle spese giudiziali.
2.2 L’assunto è privo di fondamento. Difatti, in tema di contenzioso tributario, all’amministrazione finanziaria assistita in giudizio dai propri funzionari, in caso di vittoria nella lite, spetta, ai sensi dell’art. 15, comma 2-sexies (in origine, comma 2-bis), del D.L.vo 31 dicembre 1992 n. 546 (quale novellato dall’art. 9, comma 1, lett. f, n. 2, del D.L.vo 24 settembre 2015 n. 156), la liquidazione delle spese che va effettuata secondo le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato, quale rimborso per la sottrazione di attività lavorativa dei funzionali medesimi, utilizzabile altrimenti in compiti interni di ufficio e tenuto conto dell’identità della prestazione professionale profusa dal funzionario rispetto a quella del difensore abilitato (ex plurimis: L Cass., Sez. 5^, 23 novembre 2011, n. 24675; Cass., Sez. 5^, 17 settembre 2019, n. 23055).
3. In conclusione, stante l’infondatezza dei motivi dedotti, il ricorso deve essere rigettato.
4. Le spese giudiziali seguono la soccombenza e sono liquidate nella misura fissata in dispositivo.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente alla rifusione delle spese giudiziali in favore della controricorrente, che liquida nella somma complessiva di € 4.000,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito; dà atto dell’obbligo, a carico della ricorrente, di pagare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
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