CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 febbraio 2021, n. 3462
Tributi – IRPEF – Corrispettivo di transazione relativa a procedimento espropriativo – Plusvalenza tassabile – Principio di cassa – Ritardo ingiustificato nella liquidazione dell’indennizzo – Esenzioni – Tutela dei diritti fondamentali dell’individuo
Rilevato che
1. C.T. impugnò innanzi alla Commissione tributaria provinciale di Benevento l’avviso di accertamento che recuperava a tassazione, ai sensi dell’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (t.u.i.r.), somme percepite dal contribuente, nel 2005, in qualità di erede della zia A.T., a titolo di ristoro per l’espropriazione di un terreno;
2. la C.T.P. di Benevento rigettò il ricorso, con sentenza n. 357/2/2011, confermata dalla sentenza della Commissione tributaria regionale della Campania, la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, innanzitutto, ha ritenuto applicabile, alla fattispecie concreta, l’art. 6, comma 2, t.u.i.r., che qualifica come plusvalenza, soggetta a tassazione separata, il corrispettivo di una transazione avvenuta nel corso di un procedimento espropriativo; in secondo luogo, ha richiamato l’orientamento della Cassazione (Cass. n. 10218/2003), per il quale, ai sensi dell’art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, in caso di pagamenti avvenuti a partire dal 1° gennaio 1992, occorre fare riferimento al solo momento impositivo della “percezione” o della “corresponsione” delle somme costituenti plusvalenze;
3. il contribuente ricorre per cassazione, con tre motivi, illustrati con una memoria; l’Agenzia resiste con controricorso;
Considerato che
1. con il primo motivo del ricorso [«Violazione e falsa applicazione degli artt. 112 c.p.c.e 6 del dpr 917/1986»], il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere violato il principio della corrispondenza tra “chiesto” e “pronunciato”; assume, sul punto, che l’avviso di accertamento era fondato sull’art. 6, comma 2, del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sul presupposto che il contribuente avesse realizzato una plusvalenza, tassabile, determinata dalla differenza tra il corrispettivo percepito per la vendita del terreno ed il prezzo di acquisto dello stesso, in quanto, in base all’art. 6, cit., le indennità risarcitone costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti; aggiunge che, in realtà, la somma ripresa a tassazione derivava dalla transazione che aveva posto fine ad un contenzioso civile, nel quale la Corte d’appello di Napoli, con due diverse sentenze, aveva condannato una cooperativa edilizia, delegata all’espropriazione dal Comune di Benevento, al risarcimento dei danni per illegittima espropriazione di un fondo, già di proprietà di A.T., quale importo spettante al contribuente in quanto erede della proprietaria;
ascrive alla C.T.R. di non essersi limitata a stabilire se l’accertamento poggiante sull’art. 6, cit., fosse o meno legittimo, ma di essere incorsa nel vizio di ultrapetizione, per avere diversamente qualificato la fattispecie, ritenendo che ad essa si dovesse applicare l’art. 11, comma 5, della legge 31 dicembre 1991, n. 413;
1.1. il motivo non è fondato;
in disparte la prospettabile inammissibilità della doglianza in esso contenuta, che pare discostarsi dal canone dell’autosufficienza in quanto, in assenza della riproduzione, nel testo del ricorso per cassazione, almeno in forma sintetica, nelle parti essenziali, dell’avviso di accertamento (del quale, a pag. 3 del ricorso per cassazione, sono trascritte poche righe), è difficile verificare se la C.T.R. abbia reputato legittima la pretesa impositiva in base ad una giustificazione causale diversa da quella su cui si fondava l’atto impositivo;
d’altra parte, anche prescindendo da tale carenza formale, questa Corte rileva che là dove la Commissione regionale ha ravvisato la tassabilità della somma in contestazione, costituente il pagamento, avvenuto a partire dal 1°/01/1992, in dipendenza di una procedura espropriativa che, così si è espressa la C.T.R., secondo l’univoco orientamento di legittimità, è soggetto a tassazione ai sensi dell’art. 11, comma 5, della legge 31 dicembre 1991, n. 413, essa non ha illegittimamente varcato il confine del thema decidendum, ma ha statuito su uno specifico motivo d’appello del contribuente. Questi, infatti, come argomentato difensivo subordinato, sosteneva che le somme che aveva percepito non fossero imponibili in quanto l’espropriazione del terreno era risalente al 1981, ossia ad un’epoca anteriore al 31/12/1988, il che ne escludeva la rilevanza fiscale, ai sensi dell’art. 11, comma 9, della legge n. 413 del 1991;
2. con il secondo motivo [«Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 comma 5 per ingiustificato ritardo nel pagamento da parte della P.A.»], il ricorrente – nell’ipotesi, denegata, che questa Corte ritenga applicabile alla fattispecie concreta l’art. 11, della legge n. 413/1991 – testualmente: «chiede di essere esonerato dal pagamento del predetto tributo atteso che, pur risalendo agli anni settanta la occupazione, [il ricorrente], a causa del comportamento illegittimo della P.A., ha ricevuto il ristoro dei danni solo nel 2005»;
2.1. il motivo è fondato;
2.1.1. è utile illustrare, in forma schematica, il dato normativo e le tappe essenziali del percorso ermeneutico della Cassazione:
(a) l’art. 11 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, confluito nell’art. 35 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, prevede la tassazione delle somme percepite a titolo di indennità di esproprio (o di cessione volontaria) a seguito di procedimento espropriativo. L’articolo, infatti, definisce plusvalenze, che costituiscono reddito imponibile e che concorrono alla formazione dei «redditi diversi» di cui all’art. 81 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non solo le indennità di espropriazione, ma anche «le somme comunque dovute per effetto di acquisizione coattiva conseguente ad occupazioni di urgenza divenute illegittime relativamente ai terreni destinati ad opere pubbliche» e prevede, al settimo comma, che le plusvalenze da esproprio conseguenti alla percezione di dette somme, da parte di soggetti che non esercitano imprese commerciali, siano sottoposte ad una ritenuta a titolo di imposta del 20 per cento, che viene applicata dall’ente espropriante in qualità di sostituto d’imposta al momento del pagamento dell’indennizzo, salva la facoltà del contribuente di optare, in sede di dichiarazione annuale dei redditi, per la tassazione ordinaria, nel qual caso la ritenuta si considera effettuata a titolo di acconto;
(b) in passato, occupandosi della tassazione delle plusvalenze conseguenti ad indennità di esproprio (e somme ad esse assimilate), questa Corte (Cass. 16/02/2012, n. 2194), inaugurando un orientamento confermato negli anni successivi (Cass. 25/03/2015, n. 5962; 07/05/2015, n. 9173; 11/5/2015, n. 9441; 20/1/2016, n. 910), ha enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma 5, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto prima del 1° gennaio 1989. Né tale disciplina pone dubbi di legittimità costituzionale in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., sul rilievo che essa determinerebbe una ingiustificata differenziazione di situazioni omogenee o una lesione del diritto di difesa rispetto alle espropriazioni che, invece, rimarrebbero indenni da tassazione, solo perché l’Amministrazione ha corrisposto indennità prima del 31 dicembre 1991 o perché l’eventuale giudizio si sia chiuso a quella data, in quanto, sotto il profilo impositivo, l’unico momento rilevante è quello della percezione della plusvalenza ed il diverso trattamento costituisce un effetto tipico della disciplina della successione delle leggi nel tempo, il cui decorso costituisce, di per sé, elemento diversificatore»;
(c) il principio di cassa, sotto il profilo impositivo, con riferimento a tale tipologia di atti (indennità di esproprio o corrispettivo pattuito etc.), però, investe il rapporto tra la CEDU e – appunto – le disposizioni nazionali in materia di tassazione delle plusvalenze derivanti da procedimenti espropriativi, sicché esso è stato meglio precisato dalla successiva giurisprudenza di questa Corte (Cass. 22/01/2013, n. 1429, di cui il ricorrente invoca l’applicazione, alla quale ha aderito Cass. 12/01/2016, n. 265), che ha stabilito che: «In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma quinto, della legge 30 dicembre 1991, n. 413, è sufficiente che la percezione della somma, che realizzi una plusvalenza in dipendenza di procedimenti espropriativi, sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente, ed in particolare prima del 1° gennaio 1989. Tuttavia qualora il decreto di esproprio, la cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della legge n. 413 del 1991, la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento della plusvalenza»;
(d) mantenendosi nella scia di tale fondamentale pronuncia, questa Sezione tributaria (Cass. 04/08/2020, n. 16629), di recente, ha ulteriormente affinato tale principio, alla luce dei precetti costituzionali e delle disposizioni della CEDU, enunciando la regola di diritto, alla quale va data continuità, secondo cui: «In tema di imposte sui redditi, ai fini del prelievo fiscale di cui all’art. 11, comma 5, l. n. 413 del 1991, è sufficiente che la percezione della plusvalenza derivante dall’espropriazione di beni sia avvenuta dopo l’entrata in vigore della legge anzidetta, a nulla rilevando che il trasferimento del bene sia intervenuto precedentemente; tuttavia qualora il decreto di esproprio, cessione volontaria o l’occupazione acquisitiva siano intervenuti prima del 31 dicembre 1988, ma il pagamento sia intervenuto dopo l’entrata in vigore della l. n. 413 cit., la plusvalenza non è imponibile nel caso di ingiustificato ritardo della P.A. nel pagamento dell’indennizzo, ponendosi una diversa interpretazione in contrasto con i principi costituzionali e convenzionali di cui agli artt. 97, 117, comma 1, e 111, comma 1 e 2, Cost. e 1, prot. 1, CEDU, da ritenersi violati ove l’applicazione retroattiva del regime fiscale non abbia garantito quel giusto equilibrio tra l’interesse generale e la tutela dei diritti fondamentali dell’individuo»;
2.1.2. quest’ultima decisione si attaglia al caso in esame, nel quale la Commissione “regionale” si è limitata a confermare l’assoggettamento a tassazione della plusvalenza realizzata in dipendenza dell’espropriazione, secondo il principio di cassa, omettendo però di valutare (com’è richiesto dalla giurisprudenza sopra richiamata) se nel comportamento della Pubblica amministrazione fosse ravvisabile un ritardo ingiustificato nella liquidazione dell’indennizzo che rendesse non imponibile la plusvalenza derivante dal procedimento ablativo;
3. con il terzo motivo [«Violazione e falsa applicazione dell’art. 11 L. 413/91»], il ricorrente premette che, in via subordinata, in entrambi i gradi del giudizio, aveva dedotto che, in tema di tassazione delle plusvalenze derivanti da espropriazione, l’art. 11, comma 7, della legge n. 413/1991, prevede che gli enti eroganti le somme lato sensu risarcitorie operino una ritenuta del 20%, a titolo d’imposta, onde egli aveva chiesto che sulla somma percepita venisse applicata l’aliquota d’imposta prevista dalla legge; imputa alla sentenza della “regionale” di avere omesso di pronunciarsi sul punto e, quindi, insiste per l’applicazione dell’aliquota del 20% (in luogo di quella del 30%), con esclusione delle sanzioni di legge, a causa sia del comportamento del sostituto d’imposta (che aveva omesso di operare la ritenuta) che dell’illegittimità dell’avviso di accertamento;
3.1. il motivo resta assorbito dall’accoglimento di quello precedente;
4. ne consegue che, accolto il secondo motivo, assorbito il terzo, e rigettato il primo motivo, la sentenza è cassata, in relazione al secondo motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo, dichiara assorbito il terzo motivo, e rigetta il primo motivo; cassa la sentenza impugnata, in relazione al secondo motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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