CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 giugno 2018, n. 15175
Rapporto di lavoro giornalistico – Inpgi – Omissione contributiva – Verbale di accertamento – Dichiarazioni dei lavoratori – Valore probatorio
Rilevato
che, con sentenza del 20 settembre 2016, la Corte di Appello di Roma confermava la decisione del primo giudice di accoglimento dell’opposizione proposta dalla Provincia di Brescia avverso il verbale di accertamento n. 40/99 con il quale le era stato intimato il pagamento in favore dell’INPGI della somma di euro 128.430,00 quali contributi assicurativi omessi (e sanzioni) in relazione all’attività resa dall’addetta stampa della Presidenza della Provincia W. N., qualificata dagli ispettori come attività giornalistica;
che, ad avviso della Corte territoriale, l’INPGI non aveva fornito la prova dei fatti costitutivi del credito contributivo in quanto le dichiarazioni del lavoratore o dei lavoratori raccolte in sede ispettiva non avevano un particolare valore probatorio a fronte della prova testimoniale assunta da cui non era emersa la ricorrenza, riguardo al rapporto di lavoro intercorso tra la Provincia di Brescia e la N., degli elementi tipici della subordinazione ciò anche in considerazione della particolare natura dell’attività giornalistica e del nomen iuris dato dalle parti al rapporto, utile in una fattispecie quale quella all’esame in cui l’individuazione dei tratti distintivi tra lavoro autonomo e subordinato risultava difficile;
che per la cassazione di tale decisione propone ricorso l’INPGI affidato a tre motivi cui resiste con controricorso la Provincia di Brescia mentre il Comitato Regionale per i rapporti di lavoro presso la Direzione Interregionale del Lavoro di Roma è rimasto intimato;
che è stata depositata la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ., ritualmente comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
che l’INPGI ha depositato memoria ex art. 380 bis cod. proc. civ. in cui dissente dalla proposta del relatore insistendo per l’accoglimento del ricorso;
Considerato
che:
– con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 115, primo comma, 116, primo comma, cod. proc. civ. e 2697 cod. civ. (in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) per non avere la Corte di merito preso in alcuna considerazione i verbali ispettivi il cui contenuto, invece, doveva essere liberamente valutato dal giudice in relazione alle altre risultanze istruttorie e, in particolare, nel caso in cui i verbali degli ispettori riguardanti le dichiarazioni rese dai terzi in sede ispettiva erano stati prodotti in giudizio, il loro contenuto doveva essere infirmato solo da una rigorosa prova contraria incombente sulla datrice di lavoro che, nel caso in esame, non poteva essere costituita dalle deposizioni dei testi escussi da cui, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, erano emersi i tratti tipici della subordinazione;
– con il secondo motivo le argomentazioni di cui al primo motivo si ripropongono ma sotto il profilo dell’ omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.);
– con il terzo motivo viene dedotta violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 cod. proc. civ. ( in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.) avendo il giudice del gravame affermato la insussistenza di un rapporto di lavoro subordinato prescindendo dalla particolare natura dell’attività giornalistica in cui la soggezione del prestatore di lavoro al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro elemento è molto più sfumata con la conseguente necessità di ricorrere ad indici rivelatori quali lo svolgimento di un’attività non occasionale rivolta ad assicurare le esigenze informative riguardanti uno specifico settore, la sistematica redazione di articoli, la persistenza nell’intervallo tra una prestazione e l’altra dell’impegno di porre la propria opera a disposizione del datore di lavoro, indici tutti presenti nel caso in esame; che il primo è in parte infondato ed in parte inammissibile:
– è infondato in quanto una violazione o falsa applicazione di norme di legge, sostanziale o processuale, non può dipendere o essere in qualche modo dimostrata dall’erronea valutazione del materiale probatorio. Al contrario, un’autonoma questione di malgoverno degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ. e dell’art. 2697 cod. civ. può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito: – abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti ovvero disposte d’ufficio al di fuori o al di là dei limiti in cui ciò è consentito dalla legge; – abbia fatto ricorso alla propria scienza privata ovvero ritenuto necessitanti di prova fatti dati per pacifici; – abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione; – abbia invertito gli oneri probatori. Orbene, nel caso in esame l’istituto lamenta una inversione dell’onere della prova che non ricorre in quanto il giudice del gravame ha correttamente applicato i principi affermati da questa Corte in materia di distribuzione di detto onere e di rilevanza da attribuire al verbale ispettivo secondo cui <<In tema di riparto dell’onere della prova ai sensi dell’art. 2697 cod. civ., l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto grava sempre su colui che si afferma titolare del diritto stesso ed intende farlo valere, ancorché sia convenuto in giudizio di accertamento negativo, con la conseguenza che la sussistenza del credito contributivo dell’INPS, preteso sulla base di verbale ispettivo, deve essere comprovata dall’Istituto con riguardo ai fatti costitutivi rispetto ai quali il verbale non riveste efficacia probatoria >> (Cass. n. 22862 del 10/11/2010, per tutte); peraltro, è stato anche precisato come <<Nel giudizio promosso dal contribuente per l’accertamento negativo del credito previdenziale, incombe all’INPS l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa contributiva, che l’Istituto fondi su rapporto ispettivo. A tal fine, il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine (in particolare, mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi), restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori. >> (Cass. n. 14965 del 06/09/2012, ex multis). Ed infatti dalla lettura della impugnata sentenza emerge che il giudice del gravame ha ritenuto di dare la prevalenza al contenuto delle deposizioni testimoniali rispetto alle dichiarazioni raccolte dagli ispettori in sede ispettiva illustrando ampiamente le ragioni per le quali , anche alla luce dei vari contratti con i quali era stato affidato e, poi, prorogato, l’incarico di addetto stampa della Presidenza della Provincia alla N., l’istituto non aveva fornito la prova dei fatti costitutivi della pretesa contributiva;
– è inammissibile laddove lamenta una non adeguata valutazione delle risultanze istruttorie perché finisce con il sollecitare una non consentita rivisitazione del merito;
che il secondo motivo è inammissibile perché non presenta alcuno dei requisiti di ammissibilità richiesti dall’art. 360, secondo comma, n. 5, cod. proc. civ. nella formulazione “ratione temporis” applicabile alla presenta controversia come interpretata dalle Sezioni Unite di questa Corte ( SU n. 8053 del 7 aprile 2014) risolvendosi nella denuncia di una non corretta valutazione del materiale probatorio e, dunque, del merito della controversia;
che, del pari inammissibile è il terzo motivo in quanto – nonostante il richiamo a violazione di legge contenuto nell’intestazione – tende ad una rivisitazione del merito non consentita in questa sede. Invero la denunciata violazioni dell’art. 2094 cod. civ. postula l’erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina: così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla Corte regolatrice di adempiere al proprio compito istituzionale di verifica del fondamento della violazione denunziata (Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010/2012; Cass. n. 12984/2006). Ed allora il motivo che pretenda di desumere tale violazione dall’erronea valutazione del materiale probatorio è già in contrasto con le suddette indicazioni. Peraltro, la qualificazione giuridica del rapporto di lavoro è censurabile in sede di legittimità soltanto limitatamente alla scelta dei parametri normativi di individuazione della natura subordinata o autonoma del rapporto, mentre l’accertamento degli elementi, che rivelino l’effettiva presenza del parametro stesso nel caso concreto attraverso la valutazione delle risultanze processuali e che sono idonei a ricondurre le prestazioni ad uno dei modelli, costituisce apprezzamento di fatto che, se immune da vizi giuridici e adeguatamente motivato, resta insindacabile in Cassazione (v. Cass. 27 luglio 2007, n. 16681; Cass. 23 giugno 2014, n. 14160). A ciò si aggiunga che, come è stato in più occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr, e plurimis, Cass. n. 17097 del 21/07/2010; Cass. n. 12362 del 24/05/2006; Cass. n. 11933 del 07/08/2003);
che, pertanto, in adesione alla proposta del relatore, il ricorso va rigettato;
che le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo in favore della Provincia di Brescia mentre non si provvede in ordine alle spese nei confronti del Comitato Regionale per i rapporti di lavoro rimasto intimato;
che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi);
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della Provincia di Brescia liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre rimborso spese forfetario nella misura del 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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