CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 giugno 2019, n. 15615
Attività di lavoro subordinato nel corso di due distinti rapporti di lavoro – Differenze retributive – TFR – Accertamento
Rilevato
che, con la sentenza n. 2807/2013, la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma della pronuncia resa il 14.6.2010 dal Tribunale di Termini Imerese, ha dichiarato che: a) L. E. F. aveva prestato attività di lavoro subordinato in favore di N. C. srl nel corso di due distinti rapporti di lavoro, il primo dei quali si era svolto dal 19.1.2005 al 30.9.2006 ed il secondo dal luglio 2007 al gennaio 2008; b) che la N. C. srl era obbligata al pagamento, nei confronti della F., dell’importo di euro 7.170,45, a titolo di differenze retributive e di TFR per il rapporto intercorso dal 19.1.2005 al 30.9.2005, comprensivi di accessori fino al novembre 2013; dell’importo di euro 6.992,86 a titolo di differenze retributive e di TFR per il rapporto di lavoro intercorso tra le parti, dal 21.7.2007 al 10.1.2008, sempre a titolo di differenze retributive e di TFR, comprensivi di accessori fino al novembre 2013; c) la N. C. srl era creditrice nei confronti della F. dell’importo di euro 2.800,00, compensando la detta somma con quelle dovute dalla società e condannando quest’ultima al pagamento dell’importo residuo nonché a corrispondere, in favore dell’INPS, le relative differenze retributive, con riguardo ai sopra indicati rapporti di lavoro, con le sanzioni civili e gli ulteriori accessori;
che avverso la decisione di 2° grado ha proposto ricorso per cassazione la N. C. srl affidato a due motivi;
che L. E. F. e l’INPS, quest’ultimo resistente con mandato, non hanno svolto attività difensiva;
che il PG non ha formulato richieste.
Considerato
che, con il ricorso per cassazione, in sintesi, si censura:
1) ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., la nullità della sentenza impugnata e del procedimento di appello per la mancata trattazione di parte dei motivi di appello nonché la contraddittorietà della sentenza, per avere la Corte di merito omesso di effettuare una valutazione complessiva sull’attendibilità dei testi S. e C., che si imponeva in relazione alla macroscopica e massima incongruenza comune alle due deposizioni con riguardo a specifici punti della controversia;
2) ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio ed oggetto di discussione tra le parti e, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 2730 c.c. e 2734 cc, nonché la violazione e falsa applicazione degli artt. 115, 116 e 117 c.p.c. e degli artt. 2094 cc, 1363 cc, 1366 cc, 2697 cc, perché, sugli stessi fatti storici su cui le deposizioni dei testi avrebbero dovuto essere valutate in relazione alla loro attendibilità, erano stati male interpretati ed accertati dalla Corte di merito, in modo illogico ed isolando non correttamente, da un punto di vista giuridico, alcune affermazioni testimoniali, senza attribuire alle stesse il loro effettivo significato; che il primo motivo è inammissibile.
In primo luogo va esclusa la denunziata nullità della sentenza perché la Corte territoriale ha effettuato in più occasioni una adeguata e congruamente motivata valutazione sull’attendibilità di un teste anziché di un altro, ponendo a base di tale accertamento riscontri oggettivi individuati sulla più lunga esperienza lavorativa, sulle modalità di conoscenza delle circostanze ovvero sulla acquisizione diretta o de relato dei fatti. In secondo luogo, deve sottolinearsi che il giudizio di attendibilità dei testi, come la scelta tra le varie risultanze probatorie di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, senza essere tenuto ad una esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (cfr. Cass. 4.7.2017 n. 16467; Cass. 2.8.2016 n. 16056); che il secondo motivo è, invece, infondato perché, da un lato, giova precisare che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa – come si evince dalla stessa formulazione della censura – sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. 22.9.2014 n. 19881); dall’altro, va rilevato che le censure, ancorché svolte sotto il profilo della violazione di legge, si sostanziano in una critica sulla ricostruzione dei fatti operata dalla Corte di merito che è stata adeguatamente motivata: con la proposizione del ricorso per cassazione, infatti, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento di fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente, atteso che l’apprezzamento dei fatti e delle prove è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che, nell’ambito di quest’ultimo, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito (Cass. 7.4.2017 n. 9097; Cass. 6.4.2011 n. 7921).
Nel caso in esame, la sentenza impugnata ha offerto motivatamente una propria versione dei fatti oggetto della lite e, in particolare sulla data dell’inizio del primo rapporto lavorativo e ha argomentato di conseguenza esaminando le risultanze istruttorie, cosicché, sotto tale profilo, risulta incensurabile in questa sede;
che, alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere rigettato; che nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo l’intimata e l’INPS svolto attività difensiva; ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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