CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 giugno 2020, n. 11231
Tributi – Accertamento – Documenti extracontabili rinvenuti presso terzi – Dichiarazioni del terzo – Acquisti in nero – Situazione di incongruità con gli studi di settore – Determinazione maggiori ricavi – Legittimità
Rilevato che
– con sentenza n. 33/01/2012, depositata in data 27 febbraio 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Basilicata, accoglieva l’appello proposto da G.P. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, avverso la sentenza n. 190/03/09 della Commissione tributaria provinciale di Matera che aveva rigettato il ricorso proposto dal contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio di Pisticci, a seguito di indagini effettuate presso un soggetto terzo, aveva contestato nei confronti di quest’ultimo, esercente attività di installazione di impianti elettrici, ai sensi degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973 e 62sexies del d.l. n. 331 del 1993, maggiori ricavi occultati, ai fini Irpef, Irap e Iva, per l’anno 2002, in relazione ad asserite operazioni di acquisto di merci “non fatturate” intercorse con la ditta S. di S.F.C. con conseguente ritenuta grave incongruità dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desumibili dallo studio di settore rielaborato in base agli emersi costi;
– la CTR, in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che:l) l’Ufficio non aveva provveduto a recuperare a tassazione il ricarico che sarebbe conseguito ove i costi accertati fossero stati contabilizzati ma aveva utilizzato tali elementi per verificare la congruità dei ricavi dichiarati alla luce degli studi di settore, con violazione degli artt. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993; 2) in mancanza di ulteriori elementi, le dichiarazioni rese dal terzo- acquisite nel corso di una ispezione e trasfuse nel p.v.c. recepito dall’avviso di accertamento- in quanto relative anche a preventivi e non ad operazioni effettivamente avvenute sebbene “in nero” non assurgevano neanche a elemento indiziario in quanto il preventivo non era indice di alcuna operazione imponibile effettivamente realizzata; 3) ugualmente anche la valenza della fattura rinvenuta presso il soggetto terzo avrebbe dovuto essere corroborata da ulteriori indagini presso il P. atteso che la mera formazione cartacea di un documento non inserito nella contabilità dell’emittente né in quella del ricevente non poteva da sola provare l’esistenza di ricavi occultati; 4) l’avviso di accertamento in questione era illegittimo in quanto non provato nei suoi presupposti fattuali e non corretto nella determinazione della base imponibile che era stata ottenuta mediante un metodo ibrido – analitico nella parte in cui si erano recuperati le operazioni asseritamente non contabilizzate e, secondo gli studi di settore, nella parte in cui erano stati posti a fondamento dello stesso non i dati dichiarati ma gli importi relativi ai costi accertati;
– avverso la sentenza della CTR, l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; rimane intimato il contribuente;
– il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380-bis. 1 cod. proc. civ., introdotti dall’art. 1 -bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
– con il primo la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, 62 sexies del d.l. n. 331 del 1993, 54, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, 2697, 2727 e 2729 c.c. 7, comma 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere la CTR ritenuto illegittimo l’accertamento in questione, ancorché quest’ultimo fosse basato su documenti extracontabili rinvenuti presso terzi e ulteriormente suffragati dalle dichiarazioni del terzo (F.S.) nonché dalla situazione di incongruità con gli studi di settore;
– con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la CTR – incorrendo nel vizio di ultrapetizione- affermato la mancanza di prova dei presupposti fattuali e, comunque, l’erroneità del calcolo della base imponibile ancorché tale doglianza non fosse stata dedotta dal contribuente nei gradi di merito;
– con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. per avere la CTR, nel dichiarare illegittimo l’accertamento in questione, omesso di fare ricadere sul contribuente- a fronte della dimostrazione da parte dell’Amministrazione dei fatti costitutivi della maggiore pretesa tributaria- l’onere della prova a contrario della congruità dei ricavi dichiarati;
– con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. l’insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio nonché la violazione dell’art. 115 c.p.c., per avere la CTR – a fronte del fondamento dell’accertamento in questione sulla documentazione contabile ed extracontabile (fatture, preventivi e documenti di trasporto) rinvenuta presso la sede del terzo (ditta S. di F.C.S.)- omesso di considerare complessivamente tutti gli elementi indiziari (fatture, preventivi, documenti di trasporto, dichiarazione del terzo S.F. circa il carattere “in nero” delle operazioni intercorse con il P.);
– i motivi primo, terzo e quarto – da trattarsi congiuntamente per connessione- sono fondati per le ragioni di seguito indicate;
– dalla stessa sentenza impugnata si evince che, nella specie, l’Ufficio ha proceduto induttivamente alla ricostruzione di maggiori costi sostenuti dal contribuente in base a documentazione extracontabile rivenuta presso un soggetto terzo (ditta S. di F.C.S.) per poi inserire l’importo degli emersi componenti negativi nella procedura di calcolo degli studi di settore e ricalcolare i maggiori ricavi, non essendo quelli dichiarati congrui con quelli risultanti da questi ultimi; è chiaro, dunque, essersi trattato di accertamento analitico-induttivo fondato su una varietà di elementi e per il quale il ricorso allo studio di settore è stato effettuato quale criterio di giudizio per la rideterminazione, in termini oggettivi e comparabili, del reddito d’impresa;
– l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d), del d. P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata (ex multisi Cass., sez. 5, n. 33508 del 2018; n. 20060 del 2014);
– è stato, poi, ulteriormente specificato che, a norma del D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, comma 3, convertito nella L. n. 427 del 1993
– “gli accertamenti di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), (…) e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 54, (…) possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62 bis, del presente decreto (id est, D.L. n. 331 del 1993)”, nel quale ultimo caso l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti per uno studio generale di settore, potendosi basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente. (Cass. n. 16430/2011). Questa Corte ha poi precisato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema unitario, che non si colloca all’interno della procedura di accertamento di cui al D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, ma la affianca, essendo indipendente dall’analisi dei risultati delle scritture contabili, la cui regolarità, per i contribuenti in contabilità semplificata, non impedisce l’applicabilità dello “standard”, né costituisce una valida prova contraria, laddove, per i contribuenti in contabilità ordinaria, l’irregolarità della stessa costituisce esclusivamente condizione per la legittima attivazione della procedura standardizzata (Cass., sez. un., n. 26635/2009);
– quanto al denunciato vizio motivazionale, per insegnamento consolidato di questa Corte la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, oppure quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento (Cass., sez. un., 25 ottobre 2013, n. 24148; Cass. n. 10211 del 2018); ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (Cass. 30822 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017);
– la CTR, non facendo buon governo dei principi sopra richiamati, con una motivazione incongrua e affetta da vizi logici-giuridici – a fronte dell’accertamento dei maggiori ricavi asseritamente occultati fondato sulla previa ricostruzione (analitico) induttiva dei maggiori costi in base a documentazione extracontabile acquisita nel corso di una verifica fiscale parziale nei confronti della ditta S. di F.C.S. e costituita da fatture, preventivi e documenti di trasporto emessi nei confronti di G.P. nonché in base alla dichiarazione del terzo F.S. circa il compimento di “operazioni in nero” con la ditta P.G. (p.v.c. della G.d.F. Di Montegiordano a carico della ditta S. richiamato nel p.v.c. della G.d.F. di Policoro del 14 ottobre 2006, riportato in ricorso pagg. 8-9) – erroneamente definendo l’operazione un “ibrido”, ha ritenuto illegittimo l’avviso, da un lato, valutando isolatamente la dichiarazione del terzo (F.S.) – che ha stimato non assurgere neanche ad indizio – e verificandone, peraltro, la portata soltanto con riferimento ai preventivi e non anche in relazione agli altri elementi indiziari (fatture e documenti di trasporto) posti dall’Ufficio a fondamento dell’accertamento e, peraltro, considerati tutti nella dichiarazione medesima (v. p.v.c. della G.d.F. di Montegiordano richiamato nel p.v.c. della G.d.F. di Policoro nei confronti del contribuente) affermando erroneamente, sul punto, che tali ulteriori elementi difettassero del tutto; ciò in violazione dell’insegnamento di questa Corte secondo cui “nel processo tributario, il divieto di prova testimoniale posto dall’art. 7, decreto legislativo n. 546/1992, si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, pertanto, l’impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli organi dell’amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere anche ai privati nella fase amministrativa di accertamento che, proprio perché assunte in sede extraprocessuale, rilevano quali elementi indiziari che possono concorrere a formare, unitamente ad altri elementi, il convincimento del giudice” (Cass. civ., 2 ottobre 2019 n. 24531; 16 maggio 2019, n. 13174; Cass. civ., 7 aprile 2017, n. n. 9080); dall’altro, valutando le fatture rinvenute presso il terzo ugualmente isolatamente (“a mera formazione cartacea di un documento non inserito nella contabilità dell’emittente e in quella del ricevente non può da sola provare l’esistenza di ricavi occultati”) senza considerare, nel loro complesso, tutti gli elementi indiziari (preventivi, fatture non contabilizzate e documenti di trasporto, documenti tutti, peraltro, oggetto della dichiarazione del terzo quanto alla affermata riconduzione delle operazioni commerciali intrattenute con P.G. ad “operazioni in nero”) con ciò, dunque, disattendendo il principio di diritto secondo cui «La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice di merito esamini tutti gli indizi di cui disponga non già considerandoli isolatamente, ma valutandoli complessivamente ed alla luce l’uno dell’altro, senza negare valore ad uno o più di essi sol perché equivoci, cosi da stabilire se sia comunque possibile ritenere accettabilmente probabile l’esistenza del fatto da provare» (Cass. sez. 3, n. 5787 del 2014; v. Cass., sez. 6-5, n. 30276 del 2017); in particolare, al riguardo, si osserva che, secondo il consolidato indirizzo giurisprudenziale di questa Corte, nella ricerca e nella valutazione degli elementi presuntivi del proprio convincimento, il giudice del merito è investito del più ampio potere discrezionale, nel senso che è libero di scegliere gli elementi che ritiene maggiormente attendibili e meglio rispondenti all’accertamento del fatto ignoto ed a valutarne la gravità e la concludenza. Tale potere discrezionale vale tuttavia allorché detto giudice giunga alla conclusione della sussistenza del fatto ignoto; quando, invece, perviene a diversa conclusione, non può escludere dalla valutazione quegli elementi di fatto che, se presi in considerazione, avrebbero comportato un differente giudizio. Tuttavia, nella ricerca di tali elementi, il giudice non può trascurare dal prendere in esame quelli che appaiono maggiormente indizianti, salvo che non motivi congruamente e logicamente tale omissione; in ogni caso, deve comunque procedere ad un esame organico e complessivo (globale) degli elementi di fatto presi in considerazione, cioè esprimere un ragionamento non viziato da illogicità o da errori giuridici, quale l’esame isolato dei singoli elementi presuntivi, al fine di ritenerne la irrilevanza caso per caso (Cass. n. 7084-90; n. 6850-82; n. 2002-76). È ovvio poi che, se in tema di prove per presunzione, il controllo della Corte di Cassazione non può riguardare il convincimento del giudice del merito sulla rilevanza probatoria degli elementi indiziari o presuntivi, convincimento che costituisce indubbiamente un giudizio di fatto, può tuttavia incidere sulla congruità e logicità della motivazione posta a base del cennato convincimento (Cass. n. 26923 del 2019); la mancata valutazione complessiva degli elementi indiziari posti dall’Ufficio a fondamento della previa ricostruzione induttiva dei maggiori costi ha comportato, altresì, uno erroneo aggravamento dell’onere probatorio a carico dell’Amministrazione, avendo la CTR affermato che “la valenza probatoria della fattura rinvenuta presso il soggetto terzo avrebbe dovuto essere corroborata da ulteriori indagini”;
– l’accoglimento dei motivi primo, secondo e terzo, rende inutile la trattazione del secondo, con assorbimento dello stesso;
– in conclusione, il ricorso vanno accolti i motivi primo, terzo e quarto, assorbito il secondo, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio- anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità- alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione per un riesame della vicenda nel merito;
P.Q.M.
Accoglie i motivi primo, terzo e quarto; assorbito il secondo; cassa la sentenza impugnata e rinvia – anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità- alla Commissione tributaria regionale della Basilicata, in diversa composizione.