CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 luglio 2022, n. 21871
Giornalisti – Natura subordinata del rapporto di lavoro – Accertamento ispettivo – Omissioni contributive INPGI – Termine di prescrizione quinquennale
Rilevato che
la Corte d’appello di Roma, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, confermata la natura subordinata dei rapporti di lavoro intercorsi tra alcuni giornalisti, svolgenti mansioni di corrispondente ai sensi dell’art. 12 C.C.N.L., e la R.Q. s.p.a., ha rigettato l’opposizione della società proposta avverso il decreto ingiuntivo con cui l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) le aveva ingiunto il pagamento di Euro 746.977 a titolo di contributi evasi e sanzioni civili, relativi alla posizione contributiva dei giornalisti accertata con verbale ispettivo n. 52 del 2008; la cassazione della sentenza è domandata dalla società R.Q. s.p.a. (ora R.M. s.p.a.) sulla base di sette motivi; l’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) ha depositato controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
Considerato che
col primo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.5 cod. proc. civ., parte ricorrente lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio in ordine all’autonomia del rapporto intercorso.
Sul preteso inquadramento come “corrispondenti” ex art. 12 CCNLG dei signori B., C., D.F., F., G., M., N. e F. “; critica l’accertamento istruttorio svolto nel giudizio di appello circa la natura dei rapporti di lavoro quali subordinati con qualifica di corrispondenti e non invece autonomi;
col secondo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.5 cod. proc. civ., contesta “Violazione degli artt. 2094 c.c., art.12 CCNLG, art. 1362, art. 1363”; oggetto del motivo è l’esito dell’istruttoria testimoniale compiuta dal giudice di secondo grado con riferimento all’individuazione degli elementi necessari alla configurazione del vincolo di subordinazione; segnatamente, la ricorrente ritiene che l’elemento dell’organico inserimento dei professionisti nell’attività di redazione non sia stato oggetto di specifico accertamento e, soprattutto, non abbia tenuto conto della particolarità del lavoro giornalistico, che postula che tale elemento sintomatico della subordinazione venga provato con riferimento all’esigenza di “copertura” delle singole zone di riferimento da parte degli addetti all’informazione;
col terzo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n.4 e n. 5 cod. proc. civ., denuncia “Nullità della sentenza e del procedimento; violazione dell’art. 112 c.p.c. – contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia” per avere la Corte territoriale rigettato la richiesta della società di acquisire ulteriori testimonianze con riferimento in particolare alle posizioni di due dei giornalisti, B. e C., per i quali ha invece ritenuto raggiunta la prova della subordinazione;
col quarto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 5 cod. proc. civ., lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio. Sulla mancata audizione orale della società nel procedimento amministrativo”; contesta il valore probatorio attribuito al verbale ispettivo, sì come basato unicamente sulle dichiarazioni delle parti interessate e non su accertamenti diretti svolti dall’Ispettore;
col quinto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., deduce “Violazione e falsa applicazione della legge in relazione alla L. n. 388/2000. I conteggi ed il regime sanzionatorio applicato dall’INPGI – Delibere dell’INPGI, Corte di Cassazione, Consiglio di Stato. Accordo FNSI e FIEG”; denuncia che l’ammontare delle sanzioni civili, applicate a beneficio dell’INPGI, sia eccedente rispetto a quanto stabilito dall’art.116 della I. n. 388 del 2000, entrata in vigore prima della redazione del verbale ispettivo;
col sesto motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 3 cod. proc. civ., prospetta “Eccezione preliminare di prescrizione quinquennale – Violazione e falsa applicazione della legge, in relazione alla L. 8 agosto 1995 n.335”; contesta la mancata applicazione del termine di prescrizione quinquennale introdotto dalla I. n. 335 del 1995, in relazione alle posizioni contributive risalenti al periodo precedente il quinquennio dalla notifica del ricorso per decreto ingiuntivo o del verbale di accertamento, per le quali il termine sarebbe già decorso in assenza di atti interruttivi e di procedure precedentemente avviate;
col settimo ed ultimo motivo, formulato ai sensi dell’art. 360, co.1, n. 5 cod. proc. civ., lamenta “Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio – Eccezione di compensazione”;
la Corte non avrebbe tenuto conto di quanto già versato dalla società alla gestione separata; sostiene che la motivazione del rigetto dell’eccezione di compensazione in base alla sola presunta genericità e alla mancata prova di tale circostanza da parte della società, non sarebbe idonea a giustificare le conclusioni raggiunte dai giudici del merito;
il primo motivo è inammissibile; le Sezioni Unite di questa Corte hanno precisato che «nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Sez. Un. n. 8053/2014); la formulazione della doglianza da parte della ricorrente finisce per denunciare non già l’omesso esame di un fatto storico decisivo, bensì la mancata valorizzazione di risultanze istruttorie, che si assumono erroneamente valutate dalla Corte territoriale.
il secondo motivo è inammissibile; le prospettazioni della ricorrente deducono solo apparentemente una violazione di legge, là dove mirano, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito; va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa “…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito.” (Cass. n.18721 del 2018; Cass. n.8758 del 2017);
il terzo motivo è inammissibile; questa Corte ritiene che non sia configurabile il vizio di omesso esame di una questione sollevata dalla difesa o di un’eccezione di nullità (anche sollevabile d’ufficio), quando debba ritenersi che tali questioni od eccezioni siano state esaminate e decise implicitamente (Cass. n.7406 del 2014; Cass. n. 20191 del 2017);
sulla base del principio di diritto affermato da questa Corte (cfr. ex multis, Cass. n.7406 del 2014), il mancato esame da parte del giudice, sollecitatone dalla parte, di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio di omessa pronunzia, il quale ultimo può configurarsi in relazione alle sole domande di merito, e non può assurgere quindi a causa autonoma di nullità della sentenza, potendosi profilare al riguardo una nullità (propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme diverse dall’art. 112 cod. proc. civ., in quanto sia errata la soluzione implicitamente data dal giudice alla questione sollevata dalla parte;
in sintesi, in base al principio di diritto affermato da questa Corte, il vizio di omessa pronuncia non ricorre, nonostante la mancata decisione su un punto specifico, quando la decisione adottata comporti una statuizione implicita di rigetto sul medesimo (ex multis cfr. Cass. n. 20191 del 2017);
il quarto motivo è inammissibile; non si vede come possa affermarsi che vi sia stato omesso esame della prospettata questione di inammissibilità del decreto ingiuntivo per mancata audizione della società, a fronte di una diffusa motivazione sul punto, contenuta a pag. 6 del provvedimento impugnato;
inoltre, in ogni caso l’eventuale vizio sarebbe irrilevante, in quanto la ricorrente non ne prova la decisività ai fini dell’accertamento dell’obbligo contributivo; soccorre, in proposito, il Supremo insegnamento di questa Corte, la quale ha chiarito come nel rigoroso rispetto delle previsioni di cui agli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente sia tenuto ad indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività” (Cass. n. 8053 del 2014);
il quinto motivo è infondato; secondo il consolidato orientamento di legittimità in caso di omesso o ritardato pagamento di contributi previdenziali all’ Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI), privatizzato ai sensi del d.lgs. n.509 del 1994, la disciplina sanzionatoria prevista dall’art. 116 della legge n. 388 del 2000 non si applica automaticamente, poiché l’istituto, per assicurare l’equilibrio del proprio bilancio (obbligo previsto dall’art. 2 del citato D.Lgs.), ha il potere di adottare autonome deliberazioni in materia di regime sanzionatorio e di condono per inadempienze contributive (ed in questo quadro rientra anche la possibilità di modulare il contenuto ed il tempo iniziale di efficacia del predetto art. 116) – deliberazioni da assoggettare ad approvazione ministeriale ai sensi dell’art.3, comma 7 del d.lgs. n.509 (art.4, Comma sesto-bis della legge n.140 del 1997) – pur avendo l’istituto l’obbligo, alla stregua dell’art.76 della predetta legge n.388 del 2000, di coordinare l’esercizio di questo potere con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, sia generali che sostitutive (Cass. n. 11023 del 2006; Cass. n. 12208 del 2011; Cass. n. 838 del 2016);
il sesto motivo merita accoglimento; la Corte territoriale (p. 6) ha affermato la fondatezza della pretesa dell’INPGI in ordine alla prescrizione dei contributi e delle sanzioni dovuti in riferimento alla posizione del giornalista C.M. per la mensilità di aprile 2003, atteso che quest’ultimo, in data 31.3.2008; aveva presentato denuncia per il recupero dei contributi; in altri termini, la Corte territoriale, diversamente dal primo giudice, ha ritenuto di conferire rilievo alla denuncia del lavoratore ai fini del mantenimento temporaneo del termine decennale di prescrizione ai sensi dell’art. 3, comma 9, della l. n. 335 del 1995;
tuttavia, il raddoppio del termine quinquennale, è sì previsto per il caso di denuncia del lavoratore, ma solo limitatamente ai crediti maturati anteriormente all’entrata in vigore della legge n. 335;- mentre non trova applicazione rispetto a quelli maturati in epoca successiva; questa Corte, nel ricostruire il meccanismo introdotto dal legislatore per una gestione graduale del passaggio dalla vecchia alla nuova normativa, che abbrevia in modo “secco” la durata della prescrizione estintiva da dieci a cinque anni, ha attribuito alla denuncia la mera funzione di produrre il mantenimento del termine decennale nel periodo transitorio di applicazione della nuova disciplina, in modo da attenuare gli effetti derivanti dal repentino passaggio da un termine di prescrizione decennale al ben più breve termine quinquennale;
ha, infine, negato che alla predetta denuncia possa essere attribuito il valore di atto interruttivo della prescrizione, ritenendo che di ciò non possa trarsi argomento da nessuna delle norme costituenti il complessivo quadro normativo di riferimento, né dalla ratio legis che da esso si evince (Cfr. per tutte, Cass. n. 5820 del 2021;
il settimo motivo è inammissibilmente prospettato poiché la deduzione del vizio di motivazione non esonera, comunque, la parte ricorrente dall’allegazione della circostanza di fatto la cui valutazione si assume omessa da parte del giudice (nella specie il documento che proverebbe l’avvenuto versamento nella gestione separata);
in conformità a quanto ripetutamente affermato da questa Corte, il ricorso per cassazione, in ragione dei principi di specificità e di allegazione di cui agli artt. 366 n. 4 e 369 n. 6 cod. proc. civ., deve contenere in sé tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito ed, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi od atti attinenti al pregresso giudizio di merito (cfr. Cass. n.11603 del 2018; Cass. n. 27209 del 2017; Cass. n. 12362 del 2006);
in definitiva, accolto il sesto motivo, dichiarato infondato il quinto ed inammissibili tutti gli altri, il ricorso va accolto;
la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale statuirà anche in merito alle spese del giudizio di legittimità; in considerazione dell’esito del giudizio, dà atto che non sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.
P.Q.M.
Accoglie il sesto motivo di ricorso, dichiara infondato il quinto motivo ed inammissibili tutti gli altri. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale statuirà anche in merito alle spese del giudizio di legittimità.
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