CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 maggio 2018, n. 11439
Tributi – Imposta di registro – Determinazione della base imponibile – Cessione di immobile – Modifica dell’art. 39 del DPR n. 600 del 1973 – Determinazione del valore – Apprezzamento del giudice di merito – Criteri
Ritenuto che
C.G.V., C.L. e C.C.I., innanzi alla CTP di Milano, un avviso di rettifica e liquidazione relativo ad un atto di vendita stipulato in data 30 giugno 2008, di un immobile sito nel Comune di Monza utilizzato come magazzino, e di appezzamenti di terreno, siti in zona classificata nel Piano Regolatore Generale “CD Polifunzionale”, con cui l’Agenzia delle entrate rettificava il valore finale dichiarato In complessivi euro 2.591.575,00. I contribuenti lamentavano il difetto di motivazione dell’atto impugnato, la violazione dell’art. 52, comma 2 bis, del d.P.R. n. 131 del 1986 e la violazione dell’art. 7 legge n. 212 del 2000. La CTP accoglieva il ricorso. L’Agenzia delle entrate impugnava la sentenza innanzi alla CTR della Lombardia, lamentando carenza di motivazione con riferimento all’utilizzo dei parametri espressi dall’OMI. La CTR rigettava l’appello, ritenendo che l’Ufficio avesse fondato le rettifiche su elementi generici, riferiti a listini dei valori dell’OMI e della F.I.M.A.A., senza effettuare alcun sopralluogo. Ricorre per la cassazione della sentenza l’Agenzia delle entrate, svolgendo tre motivi. I contribuenti si sono costituiti con controricorso, illustrato con memorie.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza Impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione degli artt. 51 e 52 del d.P.R. n. 131 del 1986 e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c., atteso che la CTR avrebbe errato laddove ha censurato il metodo utilizzato dall’Ufficio per rideterminare il valore dell’immobile, a suo dire generico ed insufficiente rispetto alle argomentazioni di controparte, affermandone una sostanziale inconcludenza per aver operato un calcolo “senza effettuare alcun sopralluogo”, mentre l’Ufficio aveva posto in evidenza le caratteristiche del bene acquistato per la determinazione del valore venale, ovvero la qualità dell’edificio, l’ubicazione, lo stato di conservazione e l’epoca di costruzione, procedendo alla rideterminazione del valore dei beni venduti dai contribuenti, confrontandoli con i valori OMI.
2. Con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando omessa o comunque insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., costituito dal valore dell’immobile oggetto di cessione, atteso che la sentenza impugnata sarebbe erronea anche in punto di motivazione con riferimento alle statuizioni concernenti la valenza da attribuire ai valori OMI e FIMAA posti a base dell’avviso di liquidazione. Si lamenta che la CTR avrebbe condiviso le conclusioni dei contribuenti senza illustrarne le ragioni, nonostante le articolate argomentazioni a contrario addotte dall’Ufficio.
3. Con il terzo motivo di ricorso si censura la sentenza impugnata, denunciando insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., posto che la CTR avrebbe erroneamente motivato con riferimento ad altra sentenza non definitiva della CTP di Milano, la n. 117/05/2011, che aveva accolto il ricorso della parte acquirente I.S.M. s.r.l. e che era stata successivamente riformata.
4. Preliminarmente va rigettata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalle parti contribuenti con controricorso, per violazione dell’art. 348 ter, comma 5, c.p.c., dovendosi applicare l’orientamento sostenuto da questa Corte secondo cui: “La previsione di inammissibilità del ricorso per cassazione, di cui all’art. 348 ter, quinto comma, c.p.c., che esclude che possa essere impugnata ex art. 360, n. 5, c.p.c., la sentenza di appello che conferma la decisione di primo grado, non si applica, agii effetti dell’art. 54, comma 2, dei d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, per i giudizi di appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione anteriormente all’11 settembre 2012”. (Cass. 26860/14)
Nella specie, si evince dalla intestazione della sentenza impugnata che l’appello avverso la sentenza della CTP di Milano n. 262/42/11 è stato depositato in data 26.4.2012.
5. Il primo motivo di ricorso è infondato. L’Agenzia delle entrate denuncia violazione di legge, lamentando che i giudici di appello avrebbero errato nel censurare il metodo utilizzato dall’Ufficio per rideterminare il valore dell’immobile, ritenuto viziato da genericità. Invero, questa Corte, con indirizzo costante, ritiene che le quotazioni OMI, risultanti dal sito Web dell’Agenzia delle entrate, ove sono gratuitamente e liberamente consultabili, non costituiscono fonte tipica di prova, ma strumento di ausilio ed indirizzo per l’esercizio della potestà di valutazione estimativa, sicché quali nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza, sono idonee solamente a “condurre ad indicazioni di valori di larga massima” (Cass. n. 25707 del 2015). Il riferimento alle stime effettuato sulla base dei valori OMI, per aree edificabili nel medesimo comune, non è quindi idoneo e sufficiente a rettificare il valore dell’immobile, tenuto conto che il valore dello stesso può variare in funzione di molteplici parametri quali l’ubicazione, la superficie, la collocazione nello strumento urbanistico, nonché lo stato delle opere di urbanizzazione (Cass. n. 18651 del 2016).
Come è stato osservato, l’art. 24, comma 5, legge n. 88 del 2009 (legge comunitaria 2008), ha modificato l’art. 39 del d.P.R. n. 600 del 1973 (così come l’omologo art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA), eliminando le disposizioni introdotte dall’art. 35 d.l. 4 luglio 2006, n. 223, convertito dalla legge 4 agosto 2006, n. 248: ciò a seguito di un parere motivato del 19 marzo 2009 della Commissione europea, la quale, nell’ambito del procedimento di infrazione n. 2007/4575, aveva rilevato l’incompatibilità, in relazione specificamente all’IVA, ma con valutazione ritenuta estensibile dal legislatore nazionale anche alle imposte dirette, di tali disposizioni con il diritto comunitario. E’ stato così ripristinato il quadro normativo anteriore al luglio 2006, sopprimendo la presunzione legale (ovviamente relativa) di corrispondenza del corrispettivo effettivo al valore normale del bene, con la conseguenza che tutto è tornato ad essere rimesso alla valutazione del giudice, il quale può, in generale, desumere l’esistenza di attività non dichiarate “anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”: e ciò, deve intendersi, con effetto retroattivo, stante la finalità di adeguamento al diritto comunitario che ha spinto il legislatore nazionale del 2009 ad intervenire (v. Cass. 21/12/2016, n. 26487; Cass. 26.9.2014, n. 20419; cfr. anche circ. Agenzia entrate 14 aprile 2010, n. 18).
Premesso ciò in diritto, la sentenza della CTR non merita censura, avendo il giudice di appello correttamente applicato le disposizioni legislative che si assumono violate. Appare, invece, che la parte ricorrente, sotto le spoglie della violazione di legge, intenda chiedere alla Corte l’espressione di un giudizio sostitutivo, che rinnovi il potere di governo del materiale probatorio, riservato al giudice del merito e perciò inammissibilmente stimolato. Il giudicante non ha fatto mostra di ignorare gli elementi che la parte ricorrente ha addotto come base per il raggiungimento del convincimento giudiziale ma, dando maggiore rilevanza ad altri contrastanti elementi di convincimento offerti dai contribuenti, ne ha ridotto la significatività ai fini della soluzione della lite, senza che ciò possa costituire ragione di violazione delle norme dalla ricorrente vagamente invocate.
6. Il secondo motivo è inammissibile nella parte in cui richiede, nella sostanza, una nuova valutazione in fatto, proponendo una diversa interpretazione e valutazione delle risultanze processuali rispetto a quella effettuata dal giudice del merito preclusa in sede di legittimità, tra l’altro riferita ai criteri OMI non dirimenti.
7. Anche il terzo motivo di ricorso è infondato, tenuto conto che fa riferimento alla riforma, sfavorevole ai contribuenti, della sentenza della CTP di Milano, la n. 117/05/2011, intercorsa nei confronti di un soggetto diverso (la parte acquirente), con conseguente insussistenza di qualsiasi vincolo valutativo, a sfavore, in capo alla CTR. Quest’ultima non è del resto incorsa in omesso esame, prendendo in considerazione tutti gli aspetti estimativi risultanti dal quadro istruttorio, e mostrando di fondare il proprio convincimento su una fonte autonoma e diversa dall’esito di altro giudizio.
8. Da siffatti rilievi consegue il rigetto del ricorso. Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la parte soccombente al pagamento delle spese di lite, che liquida in complessivi euro 5000,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
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