CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 maggio 2022, n. 15008
Ferrovie dello Stato – Rapporto di lavoro – Computo dell’E.D.R. nell’assegno personale pensionabile – Indennità di buonuscita – Differenze a saldo – Efficacia del giudicato
Rilevato che
1. Con sentenza n. 270 depositata il 22.10.2019, la Corte d’appello di Ancona, confermando la pronuncia di primo grado, ha respinto l’appello proposto da Rete Ferroviaria Italiana s.p.a. accogliendo la domanda di A. P., ex dipendente delle società, di liquidazione dell’assegno personale pensionabile (inclusivo dell’elemento distinto della retribuzione-E.D.R.) di cui all’art. 82 del CCNL 96/99 e dell’indennità di buonuscita (da calcolarsi sulla base dell’importo dell’ultima retribuzione erogata all’1.9.2006, giorno di cessazione del rapporto di lavoro);
2. la Corte territoriale, per quel che interessa, ha escluso ogni duplicazione di pagamento (rispetto al T.F.R. corrisposto per il periodo 1.1.1996-2002/2004) rilevando che le differenze retributive pretese rappresentavano il differenziale tra quanto percepito a titolo di buonuscita (calcolata in base alla mensilità di dicembre 1995) rispetto al maggior importo calcolato sulle voci pertinenti alla retribuzione maturata al settembre 2006, in esecuzione della sentenza n. 527/2012 della medesima Corte territoriale – passata in giudicato – di condanna generica alle “differenze a saldo”; del pari, il computo dell’E.D.R. nell’assegno personale pensionabile era stato sancito dalla sentenza passata in giudicato, che – coprendo il dedotto e il deducibile – non poteva più consentire di accogliere i rilievi della società circa la non computabilità di tale emolumento a partire dal 2004;
3. avverso tale statuizione ha proposto ricorso per cassazione la società deducendo un motivo di censura, illustrato da memoria; il lavoratore ha resistito con controricorso, illustrato da memoria;
Considerato che
1. con l’unico motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 cod.civ. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte territoriale, erroneamente interpretato la sentenza di condanna generica emessa dalla stessa Corte di appello di Ancona n. 527/2012 che non si è occupata delle modalità di calcolo del credito ma si è limitata a riconoscere “una somma pari alla differenza tra l’Assegno personale pensionabile di cui all’art. 82 del COD.CIV.N.L. 69/99 il maggior importo risultante dal computo comprensivo dell’Elemento Distinto della Retribuzione previsto dall’accordo congiunto del 8/11/1995, con interessi legali e rivalutazione maturati sui singoli ratei scaduti, e le condanne altresì al pagamento dell’Indennità di buonuscita nell’ammontare risultante dall’importo dell’ultima retribuzione pagata”. Invero, la società ha già versato al lavoratore le somme dovute a titolo di buonuscita mediante la corresponsione del T.F.R., che ha sostituito la buonuscita a seguito della privatizzazione di Ferrovie dello Stato;
2. il motivo di ricorso è inammissibile;
3. pur tralasciando i profili di inammissibilità del ricorso elaborato con modalità non conformi al principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione dettato dagli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod.pro.civ. (secondo cui parte ricorrente avrebbe dovuto, quantomeno, trascrivere nel ricorso il contenuto integrale della sentenza n. 527/2012, al fine di far comprendere esattamente la domanda ivi proposta dal lavoratore nonché il supporto argomentativo posto dal giudice alla base dell’accoglimento del diritto retributivo, in modo da ricostruire esattamente gli effetti prodotti oltre i confini della specifica fattispecie; cfr. sulla rilevanza della conoscenza delle argomentazioni sviluppate, Cass. n.18041 del 2009), la sentenza impugnata ha correttamente valutato i limiti oggettivi del giudicato, costituiti dai suoi elementi costitutivi, ossia il titolo della stessa azione (causa petendi), e il bene della vita che ne formava oggetto (petitum mediato);
4. il giudicato esplicito, invero, come trascritto (parzialmente) dalla sentenza impugnata, copre l’accertamento del diritto ad una differenza a saldo tra la buonuscita erogata ai lavoratori (calcolata in base alla mensilità di dicembre 1995) e il T.F.R. liquidato nel 2006 nonché il computo dell’E.D.R. (previsto dall’Accordo congiunto dell’8/11/1995) nell’Assegno personale pensionabile;
5. le questioni dell’inclusione delle voci retributive (E.R.I. e E.D.R.) nell’indennità di buonuscita (nonostante la loro considerazione nel calcolo del T.F.R. e la eventuale duplicazione di erogazione) e della non computabilità dell’E.D.R. a partire dal 2004 non attengono al mero calcolo delle somme accertate con sentenza di condanna generica bensì rientrano nell’ambito del giudicato esplicito (delineando il fatto giuridico su cui l’azione si fondava) che ha accertato il diritto dei lavoratori alla corresponsione di tali emolumenti, senza limitazioni temporali e quali diritti a somme differenziale rispetto agli importi già erogati dalla società (nello stesso senso e sulla medesima questione, cfr. Cass. 36620 del 2021, Cass. n. 4042 del 2022);
6. la Corte territoriale ha correttamente interpretato i confini del giudicato della sentenza n. 527/2012 rilevando che oggetto di quell’azione giudiziaria erano le “differenze a saldo” tra quanto erogato a titolo di buonuscita e di T.F.R. in ragione del mancato computo di alcuni istituti retributivi pertinenti all’ultima mensilità percepita (nel 2006), dovendosi ritenere ormai preclusa ogni questione relativa all’inclusione o meno dell’E.D.R. nel conteggio in forza dell’applicazione di Accordi sindacali e COD.CIV.N.L. che ne avevano delimitato il computo solamente a determinati anni, non potendosi più mettere in discussione il diritto già accertato a favore del lavoratore;
7. invero il giudicato “fa stato ad ogni effetto tra le parti, i loro eredi o aventi causa” (ai sensi dell’articolo 2909 cod.civ.) entro i limiti oggettivi, che sono segnati – secondo la giurisprudenza di questa Corte (vedi, per tutte, le sentenze nn. 11483 del 2004, 14414 del 2002, 14477 del 1999) – dagli elementi costitutivi, come tali rilevanti per l’identificazione, dell’azione giudiziaria sulla quale il giudicato si forma;
8. in conclusione, il ricorso è inammissibile e le spese di lite sono regolate in base al criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.; non sussistono i requisiti della mala fede e della colpa grave per procedere alla condanna della parte soccombente ai sensi dell’art. 96 cod.proc.civ.;
9. sussistono le condizioni di cui all’art. 13, comma 1 quater, d.P.R.115 del 2002;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidandole in euro 200,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali pari al 15% e accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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