CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2020, n. 6965
Demansionamento – Risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale – Non possibile prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio professionale – Risarcimento del danno biologico subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accettabile – Danno esistenziale, da intendere come ogni pregiudizio oggettivamente accettabile, provocato sul fare non reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri – Dimostrazione in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, con precipuo rilievo della prova per presunzioni
Rilevato che
La Corte di appello di Reggio Calabria, in sede di giudizio di rinvio (Cass. n. 3474/2015), con la sentenza n. 463/2016, definitivamente pronunciando, aveva accolto l’appello della R. spa avverso la decisione del Tribunale, conseguentemente rigettato l’originaria domanda di B.F. diretta al risarcimento del danno subito a seguito del demansionamento, ed aveva infine condannato gli eredi dello stesso a restituire la somma erogata dalla R. (E. 19.460,00) in ottemperanza della sentenza impugnata. La Corte territoriale, pur avendo dato conto della presenza di giudicato inerente il demansionamento, rilevava la carenza di prova relativa al danno conseguente così riformando la decisione sul punto del tribunale.
Avverso detta decisione proponevano ricorso F.L. affidato a un motivo cui resisteva con controricorso la R. spa.
Con ordinanza interlocutoria n. 31908/2018 questa Corte disponeva la integrazione del contraddittorio nei confronti di B.A. e B.C. quali coeredi di L.F..
Veniva depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio;
R. spa depositava successiva memoria.
Considerato che
1) con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 c.c. e degli artt. 324 e 394 c.p.c. e dell’art. 115 c.p.c in relazione all’art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. ed omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c., in ordine alla omessa pronuncia circa l’esistenza del diritto al risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale.
Parte ricorrente lamenta la violazione dei principi in materia di giudicato con riguardo alla pronuncia del Giudice di legittimità sull’accertato demansionamento. Rileva che in sede di rinvio la corte territoriale avrebbe dovuto , in relazione all’acclarato danno professionale ed all’immagine, quantificarne il risarcimento.
Il motivo è infondato.
Deve richiamarsi quanto statuito da questa corte in sede di ordinanza di rinvio allorché ha rilevato che “la sentenza impugnata non ha fornito alcuna congrua e sufficiente motivazione sia in termini di individuazione della loro natura che della loro sussistenza, la cui prova deve essere fornita dal danneggiato nel rispetto dei consolidati principi giurisprudenziali sull’onere della prova di ogni genere di danno anche attraverso presunzioni (cfr. per tutti Cass. 23 marzo 2012 n. 4712; Cass. 17 settembre 2010 n. 19785 ed in precedenza Cass. Sez. Un., 27 marzo 2006 n. 6572, che ha statuito che in tema di demansionamento e di dequalificazione, il riconoscimento del diritto del lavoratore al risarcimento del danno professionale, biologico o esistenziale, che asseritamente ne deriva – non ricorrendo automaticamente in tutti i casi di inadempimento datoriale – non può prescindere da una specifica allegazione, nel ricorso introduttivo del giudizio, della natura e delle caratteristiche del pregiudizio medesimo, e che mentre il risarcimento del danno biologico è subordinato all’esistenza di una lesione dell’integrità psico-fisica medicalmente accettabile, il danno esistenziale – da intendere come ogni pregiudizio oggettivamente accettabile – provocato sul fare non reddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli assetti relazionali propri – va dimostrato in giudizio con tutti i mezzi consentiti dall’ordinamento, assumendo peraltro precipuo rilievo la prova per presunzioni. La sentenza impugnata viene dunque cassata in relazione ai motivi di ricorso accolti, con rinvio alla Corte d’appello di Reggio Calabria che provvedere alla liquidazione del risarcimento del danno secondo i principi di diritto sopra ricordati”.
I passaggi riportati della decisione assunta in sede di rinvio evidenziano come, stabilita l’esistenza del demansionamento, debba essere accertato, dal giudice del merito, non solo il quantum ma anche l’an del danno sulla base dei principi, richiamati, degli oneri allegatori e probatori ricadenti sulle parti.
Alcuna violazione di giudicato è quindi riscontrabile nella decisione della corte territoriale, in quanto demandato alla stessa il compito di valutare l’esistenza e l’entità delle conseguenze dannose dell’accertato demansionamento, le ha escluse sulla base delle risultanze istruttorie. Invero il giudice d’appello, valutando l’esito della attività istruttoria ed in particolare della prova testimoniale, ha rilevato la carenza di prova circa il lamentato danno all’immagine, anche valutando che la riduzione degli incarichi non equivalesse a totale privazione delle mansioni soprattutto se collocato nel periodo estivo in cui gli ascolti sono notoriamente inferiori. Ha poi escluso anche il danno all’immagine nei confronti dei colleghi della redazione, avendo, questi ultimi, mantenuto la medesima considerazione del Bruno anche negli otto mesi oggetto del presente giudizio.
Per le indicate ragioni il motivo deve quindi essere rigettato.
2) Inammissibile risulta invece il secondo profilo della censura in ordine alla omessa pronuncia circa l’esistenza del diritto al risarcimento del danno professionale, biologico ed esistenziale.
A riguardo va evidenziato che il vizio denunciato è estraneo alla nuova formulazione dell’art. 360 co. 1 n. 5 c.p.c. Questa Corte ha in proposito chiarito che “L’ omessa pronuncia su alcuni dei motivi di appello – così come, in genere, l’ omessa pronuncia su domanda, eccezione o istanza ritualmente introdotta in giudizio – risolvendosi nella violazione della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, integra un difetto di attività del giudice di secondo grado, che deve essere fatto valere dal ricorrente non con la denuncia della violazione di una norma di diritto sostanziale ex art. 360 n.3 cod. proc. civ. o del vizio di motivazione ex art. 360 n.5. cod. proc. civ., in quanto siffatte censure presuppongono che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto ovvero senza giustificare (o non giustificando adeguatamente) la decisione al riguardo resa, ma attraverso la specifica deduzione del relativo “error in procedendo” – ovverosia della violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art.360 n.4 cod. proc. civ. – la quale soltanto consente alla parte di chiedere e al giudice di legittimità – in tal caso giudice anche del fatto processuale – di effettuare I’ esame, altrimenti precluso, degli atti del giudizio di merito e, così, anche dell’atto di appello. La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito e impedendo il riscontro “ex actis” dell’assunta omissione, rende, pertanto, inammissibile il motivo (Cass. n. 1755/2006; conf. Cass.n. 22759/2014; Cass. n. 25259/2017).
Il motivo è dunque inammissibile ed il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 2.500,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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