CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2021, n. 6864

Tributi – Accertamento – Operazioni soggettivamente inesistenti – Difetto di prova di diligenza e buona fede da parte del cessionario – Deducibilità dei costi – Art. 8, co. 1 del D.L. n. 16 del 2012

Rilevato che

la A.C. S.r.l. impugnava l’avviso di accertamento ai fini IVA, IRES, IRAP (anno di imposta 2006) emesso dall’Agenzia delle Entrate e fondato su p.v.c. della Guardia di Finanza, da cui emergeva una frode fiscale – alla quale la ricorrente, non coinvolta nel procedimento penale, protestava la propria estraneità – per operazioni soggettivamente inesistenti con fatture emesse da una società “cartiera”;

la C.T.P. di Brescia rigettava il ricorso e la C.T.R. della Lombardia, con la sentenza n. 169/66/13 del 18/9/2013, respingeva l’appello, così confermando la decisione di primo grado;

avverso tale decisione la A.C. S.r.l. propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi;

resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

Considerato che

1. Col primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) dell’art. 112 cod. proc. civ. per non avere la C.T.R. esaminato il motivo d’appello col quale si era dedotta la nullità della sentenza della C.T.P. perché priva di motivazione.

Il motivo è inammissibile.

Infatti, in violazione dell’art. 366 cod. proc. civ., il ricorso non illustra i termini con cui al giudice d’appello sarebbe stato prospettato un motivo autonomamente apprezzabile, ritualmente ed inequivocabilmente formulato.

In ogni caso, la censura difetta di decisività, posto che l’eventuale carenza di motivazione della pronuncia di primo grado non determina ex se la caducazione della sentenza, ma, piuttosto, l’esigenza, per il giudice d’appello, di colmare le lacune fornendo un adeguato supporto argomentativo alla decisione confermata.

2. Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) dell’art. 8, comma 1, del d.l. n. 16 del 2012, conv. dalla l. n. 44 del 2012, per avere la C.T.R. escluso, in relazione alle operazioni soggettivamente inesistenti, la deducibilità dei costi sostenuti dal cessionario in difetto di prova, da parte del medesimo, della sua diligenza e buona fede.

Il motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa stessa Sezione, «In tema di imposte sui redditi, l’art. 14, comma 4 bis, l. n. 537 del 1993, nella formulazione introdotta dall’art. 8, comma 1, d.l. n. 16 del 2012, conv. in l. n. 44 del 2012, che, in caso di operazioni soggettivamente inesistenti, consente all’acquirente, anche quando consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, di dedurre i costi di beni e servizi non utilizzati direttamente “al fine di commettere il reato”, ma per essere commercializzati, a meno che non contrastino coi principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, si applica, ai sensi dell’art. 8, comma 3, d.l. cit. anche ad atti, fatti o attività posti in essere prima della sua entrata in vigore» (tra le altre, Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 4645 del 21/02/2020, Rv. 657347-02).

La norma invocata dalla ricorrente, applicabile anche alle fattispecie anteriori alla sua entrata in vigore, manifesta l’errore in cui è incorsa la C.T.R., poiché, per dedurre i costi, non occorre che il cessionario fosse ignaro della frode, ma piuttosto che, a prescindere dall’eventuale falsità ideologica delle relative fatture, si tratti di costi effettivamente sostenuti e correttamente imputati al conto economico dell’esercizio di competenza, ovverosia di elementi negativi concorrenti a determinare il reddito netto dell’impresa.

È perciò necessario accertare, con verifica impossibile in sede di legittimità e devoluta al giudice di merito in sede di rinvio, che si tratti di costi che, a norma del T.U.I.R., siano concretamente rispettosi dei principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità.

3. Col terzo motivo la A.C. deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) dell’art. 2697 cod. civ. per aver ritenuto che fosse il contribuente a dover dimostrare la propria buona fede, anziché l’Agenzia delle Entrate a provare la frode fiscale.

Il motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Infatti, la C.T.R. ha fatto corretta applicazione del principio giurisprudenziale secondo cui «In tema di IVA, qualora l’Amministrazione finanziaria contesti che la fatturazione attiene ad operazioni soggettivamente inesistenti, inserite o meno nell’ambito di una frode carosello, incombe sulla stessa l’onere di provare la consapevolezza del destinatario che l’operazione si inseriva in una evasione dell’imposta dimostrando, anche in via presuntiva, in base ad elementi oggettivi specifici, che il contribuente fosse a conoscenza, o avrebbe dovuto esserlo usando l’ordinaria diligenza in ragione della qualità professionale ricoperta, della sostanziale inesistenza del contraente; ove l’Amministrazione assolva a detto incombente istruttorio, grava sul contribuente la prova contraria di avere adoperato, per non essere coinvolto in un’operazione volta ad evadere l’imposta, la diligenza massima esigibile da un operatore accorto, secondo criteri di ragionevolezza e di proporzionalità in rapporto alle circostanze del caso concreto.» (da ultimo, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 15369 del 20/07/2020, Rv. 658429-01).

Il giudice d’appello ha puntualmente illustrato (elencandoli alle pagine 6 e 7 della sentenza) gli elementi che sono stati considerati per la decisione di escludere, con ragionamento presuntivo, la buona fede del contribuente, il quale non ha fornito la prova contraria nel giudizio di merito; inammissibile è la sottoposizione a questa Corte di censure che involgono una rivalutazione del materiale probatorio.

3. In accoglimento del secondo motivo di ricorso, dunque, la sentenza deve essere cassata con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso; rigetta gli altri cassa la decisione impugnata con rinvio alla C.T.R. della Lombardia, in diversa composizione, anche per la statuizione sulle spese del giudizio di legittimità.