CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 marzo 2021, n. 6866
Tributi – Accertamento – Contestazione di acquisti riferiti a operazioni soggettivamente inesistenti – Pvc redatto da verificatori della Direzione regionale dell’Agenzia delle Entrate – Competenza – Legittimità
Rilevato che
– la R. S.p.A. impugnava l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate – sulla scorta di p.v.c. dei verificatori della Direzione Regionale della Lombardia – recuperava l’IVA 2006 in relazione a fatture emesse dalla F. S.r.l., considerato alla stregua di mero soggetto interposto in una frode fiscale;
– la C.T.P. di Milano accoglieva il ricorso, affermando che l’atto prodromico (il p.v.c.) era stato redatto da organo non abilitato al compimento di verifiche;
– la C.T.R. della Lombardia, con la sentenza n. 171/44/13 del 24/12/2013, accoglieva l’appello dell’Agenzia, respingendo l’originario ricorso della società, affermando che alle Direzioni Regionali deve essere riconosciuto il potere di verifica e di accertamento e rilevando che, in base agli elementi acquisiti, le operazioni erano soggettivamente inesistenti e, conseguentemente, l’IVA non poteva essere portata in detrazione;
– avverso tale decisione propone ricorso per cassazione (basato su tre motivi) la società, che ha depositato memoria difensiva; resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Considerato che
1. Col primo motivo la società ricorrente deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt. 15 (sic) Cost., 23 D.P.R. n. 107 del 2001, 51, 52 e 54 D.P.R. n. 633 del 1972, 56 e 62 D.Lgs. n. 300 del 1999, 27 D.L. n. 185 del 2008, per avere la C.T.R. ritenuto che – prima dell’1/1/2009 – le Direzioni Regionali avessero il potere di effettuare accessi, ispezioni e verifiche, attività che, invece, potevano allora essere svolte soltanto dagli Uffici periferici.
Il motivo è infondato.
Si deve ribadire, infatti, il principio (più volte espresso da questa Corte di legittimità) secondo cui «In tema di accertamenti tributari, il d.l. 29 novembre 2008, n. 185, convertito in legge 28 gennaio 2009, n. 2, non ha attribuito alle Direzioni regionali delle entrate una competenza in materia di accertamento fiscale prima inesistente, ma ha inteso fondare su norma di fonte primaria il riparto delle competenze relative all’attività di verifica fiscale, istituendo una riserva esclusiva di competenza, in relazione alla rilevanza economico fiscale del soggetto accertato, a favore della Direzione regionale, già titolare, per disposizione regolamentare, della competenza a svolgere attività istruttoria, utilizzabile dalle Direzioni provinciali ai fini della emissione degli atti impositivi. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha ritenuto legittimo l’avviso di accertamento emesso in base a processo verbale dalla Direzione regionale delle entrate).» (Cass., Sez. 5, Sentenza n. 20915 del 03/10/2014, Rv. 632908-01; sono conformi Cass., Sez. 5, Sentenza n. 24263 del 27/11/2015, Rv. 637514-01, e Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 33289 del 21/12/2018, Rv. 652121-01)
2. Col secondo motivo si deduce violazione e falsa applicazione (ex art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ.) degli artt. 19 e 54 D.P.R. n. 633 del 1972, 167 ss. Direttiva 2006/112/CE, 2697 cod. civ., per avere la C.T.R. disconosciuto il diritto alla detrazione dell’IVA sugli acquisti in relazione a fatture per operazioni soggettivamente inesistenti.
Il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile.
Difatti, la detrazione dell’imposta non spetta in caso di partecipazione del contribuente alla frode: «In tema di IVA, la volontaria utilizzazione di documentazione fiscale non corrispondente alla realtà economica, configurando nei confronti del contribuente a partecipazione ad una frode fiscale, gli impedisce di avvalersi del principio della tutela del terzo di buona fede, così come delineato dalla giurisprudenza unionale (cfr. CGCE 6 luglio 2009, in cause riunite C-439/04 e C-440/04) e preclude, quindi, la detraibilità dell’imposta risultante dalle fatture.» (tra le altre, Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 17335 del 19/08/2020, Rv. 658559-01).
La decisione della C.T.R. è conforme al principio giurisprudenziale secondo cui «Nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, è onere dell’Amministrazione che contesti il diritto del contribuente a portare in deduzione il costo ovvero in detrazione l’IVA pagata su fatture emesse da un concedente diverso dall’effettivo cedente del bene o servizio, dare la prova che il contribuente, al momento in cui acquistò il bene od il servizio, sapesse o potesse sapere, con l’uso della diligenza media, che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione si è iscritta in un’evasione o in una frode. La dimostrazione può essere data anche attraverso presunzioni semplici, valutati tutti gli elementi indiziari agli atti, attraverso la prova che, al momento in cui ha stipulato il contratto …, il contribuente è stato posto nella disponibilità di elementi sufficienti per un imprenditore onesto che opera sul mercato e mediamente diligente, a comprendere che il soggetto formalmente cedente il bene al concedente aveva, con l’emissione della relativa fattura, evaso l’imposta o compiuto una frode.» (Cass., Sez. 6-5, Ordinanza n. 5873 del 28/02/2019, Rv. 653071-01).
Contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, il giudice d’appello non ha addossato al contribuente una responsabilità oggettiva – ma, anzi, ha indicato gli elementi che l’hanno indotta ad escludere la buona fede della società e a ravvisare una situazione di oggettiva conoscibilità delle operazioni intercorse tra il cedente e il fatturante -, né ha attribuito alla R. l’onere probatorio (violando così l’art. 2697 cod. civ.), avendo piuttosto valutato il materiale probatorio.
È inammissibile la censura con cui la ricorrente vorrebbe sottoporre le risultanze probatorie ad un ulteriore vaglio da parte di questa Corte di legittimità.
3. Col terzo motivo si lamenta (ex art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ.) che la sentenza sarebbe affetta da vizio di motivazione per omesso esame di fatti decisivi costituiti dagli elementi probatori, non considerati (o non adeguatamente valutati) dalla C.T.R.
Il motivo è inammissibile, poiché la ricorrente pretende, in sostanza, la rivalutazione del materiale probatorio, indicandolo quale «fatto omesso» (Cass., Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
4. In conclusione, il ricorso è respinto.
Alla decisione fa seguito la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore dell’Agenzia delle Entrate, delle spese di questo giudizio di cassazione, che sono liquidate nella misura indicata nel dispositivo secondo i vigenti parametri.
5. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente a rifondere all’Agenzia delle Entrate le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 2.300,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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