CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 novembre 2021, n. 33300
Tributi – Accertamento analitico induttivo – Verifica cd. a tavolino – Obbligo di contraddittorio endoprocedimentale – Ai fini IRPEF e IRAP – Esclusione – Ai fini IVA – Sussiste – Onere della cd. “prova di resistenza”
Rilevato che
1. con sentenza n. 125/01/11 del 01/07/2011 la Commissione tributaria regionale dell’Umbria (di seguito CTR) ha respinto l’appello proposto da F. M. avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Perugia (di seguito CTP) n. 229/07/09, la quale aveva rigettato il ricorso della società contribuente nei confronti dell’avviso di accertamento per IRPEF, IRAP e IVA relative all’anno d’imposta 2005;
1.1. come si evince anche dalla sentenza della CTR, con l’avviso di accertamento era stata contestata la deducibilità dei costi relativi ad alcune fatture emesse dalla ditta C. L. per prestazioni tecniche (calcoli strutturali, contabilità lavori) rese in favore del contribuente nell’ambito dell’attività di ristrutturazione immobiliare da lui svolta in Foligno;
1.2. la CTR rigettava l’appello di F. M. evidenziando che: a) sussistevano numerosi elementi indiziari che deponevano nel senso che la ditta C. fosse una “cartiera” (assenza di una posizione INPS, mancanza di dichiarazioni fin dal 1992 e mancati versamenti di imposte, assenza di atti giuridicamente rilevanti e di beni intestati, cancellazione d’ufficio della ditta Caruso per assenza di operazioni nel triennio); b) il contribuente non aveva fornito la prova dell’effettiva esecuzione delle prestazioni oggetto di fattura, non potendo ritenersi tali la scrittura inter partes e i contratti di subappalto, privi di data certa, né le quietanze di pagamento di cui alle fatture, in assenza di valida documentazione a corredo; c) era rimasto indimostrato che i prelievi operati sui conti correnti fossero imputabili all’attività imprenditoriale e professionale di M., con conseguente indeducibilità delle relative spese; d) non vi era stato alcun accesso dei verificatori, sicché era infondato il motivo di appello concernente la violazione del contraddittorio endoprocedimentale;
2. avverso la sentenza della CTR F. M. proponeva ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi;
3. l’Agenzia delle entrate resisteva con controricorso.
4. con nota depositata il 16/11/2018 il contribuente chiedeva la sospensione del giudizio ai sensi dell’art. 6, comma 10, del d.l. 23 ottobre 2018, n. 119, conv. con modif. nella I. 17 dicembre 2018, n. 136 e, quindi, a seguito di rinvio a nuovo ruolo disposto da questa Corte con ordinanza resa all’udienza del 28/11/2018, veniva chiesta la trattazione della causa con istanza del 21/12/2020.
Considerato che
1. con il primo motivo di ricorso F. M. contesta violazione e falsa applicazione dell’art. 12, commi 2 e 7, della I. 27 luglio 2000, n. 212, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., per avere la CTR erroneamente escluso l’applicabilità, nella specie, delle tutele previste dalle richiamate norme;
1.1. il motivo è infondato;
1.2. la CTR ha debitamente accertato che la verifica oggetto del presente procedimento è stata effettuata senza accesso presso la sede dell’impresa (cd. verifiche a tavolino) e tale accertamento non può essere posto in discussione con la proposizione di una censura di violazione di legge;
1.3. ciò premesso, con riferimento alle verifiche a tavolino, non trovano applicazione le garanzie procedimentali previste dai menzionati commi dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000, atteso che dette garanzie riguardano unicamente gli accertamenti effettuati presso la sede dell’impresa (Cass. n. 24636 del 19/10/2017; si vedano anche Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015; Cass. n. 701 del 15/01/2019);
1.4. per il resto, come evidenziato dalla S.C., «l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purché il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicché esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito» (Cass. S.U. n. 24823 del 2015, cit.; conf. Cass. n. 11560 del 11/05/2018; Cass. n. 27421 del 29/10/2018);
1.5. ne consegue che, per quanto riguarda l’accertamento relativo ad IRPEF ed IRAP, non c’è alcun obbligo generalizzato di contraddittorio e, quindi, non sussiste nemmeno l’obbligo di redazione di un processo verbale di chiusura delle operazioni e di emissione dell’avviso di accertamento decorsi sessanta giorni da tale redazione, diversamente da quanto sostenuto dal contribuente;
1.6. per l’IVA, invece, trattandosi di tributo cd. “armonizzato”, il contraddittorio è obbligatorio, come osservato dalle Sezioni Unite menzionate, in conformità al consolidato orientamento della Corte di giustizia della UE, ma il contribuente deve assolvere all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere in quella sede, così da dimostrare di non avere proposto una opposizione meramente pretestuosa (cd. prova di resistenza);
1.7. nel caso di specie, pertanto, l’obbligo di contraddittorio preventivo deve escludersi senz’altro per IRPEF e IRAP; ma è insussistente anche con riferimento all’IVA, atteso che F. M. non solo non ha dedotto specificamente le ragioni che avrebbe potuto fare valere in sede di contraddittorio e che non siano state già accolte dalla CTR, ma addirittura ha avuto un’attiva interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria in data antecedente all’emissione dell’avviso di accertamento;
1.8. ne consegue che, correttamente la CTR ha escluso ogni violazione dell’art. 12 della l. n. 212 del 2000;
2. con il secondo complesso motivo di ricorso si contesta: 1) violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2727 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che gli elementi indiziari forniti dall’Agenzia delle entrate non avrebbero i requisiti della gravità, precisione e concordanza necessari al fine di determinare l’inversione dell’onere della prova in capo al contribuente e, comunque, la CTR non avrebbe correttamente valutato le prove prodotte dal ricorrente, in primo luogo le scritture private regolanti il rapporto inter partes e la documentazione concernente l’effettivo svolgimento delle prestazioni; 2) insufficiente motivazione della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., non avendo la CTR tenuto debitamente conto degli elementi probatori forniti dal contribuente; 3) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non essendosi la CTR pronunciata sulla richiesta di consulenza tecnica d’ufficio in ordine ad un CD-Rom prodotto in giudizio al fine di comprovare l’esecuzione dei lavori;
2.1. il motivo è in parte infondato e in parte inammissibile;
2.2. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «in tema di accertamento tributario relativo sia all’imposizione diretta che all’IVA, la legge – rispettivamente art. 39, comma 1, del d.P.R. n. 600 del 1973 (richiamato dal successivo art. 40 per quanto riguarda la rettifica delle dichiarazioni di soggetti diversi dalle persone fisiche) ed art. 54 del d.P.R. n. 633 del 1972 – dispone che l’inesistenza di passività dichiarate, nel primo caso, o le false indicazioni, nel secondo, possono essere desunte anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, senza necessità che l’Ufficio fornisca prove “certe”. Pertanto, il giudice tributario di merito, investito della controversia sulla legittimità e fondatezza dell’atto impositivo, è tenuto a valutare, singolarmente e complessivamente, gli elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione, dando atto in motivazione dei risultati del proprio giudizio (impugnabile in cassazione non per il merito, ma esclusivamente per inadeguatezza o incongruità logica dei motivi che lo sorreggono) e solo in un secondo momento, ove ritenga tali elementi dotati dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, deve dare ingresso alla valutazione della prova contraria offerta dal contribuente, che ne è onerato ai sensi degli artt. 2727 e ss. e 2697, comma 2, c.c.» (Cass. n. 14237 del 07/06/2017; Cass. n. 9784 del 23/04/2010);
2.3. come si evince dallo stesso ricorso introduttivo (pag. 7), l’accertamento condotto dall’Amministrazione finanziaria è proprio un accertamento analitico induttivo, e, a fronte dell’impugnazione dello stesso da parte del contribuente, la CTR ha legittimamente svolto il compito alla stessa affidato;
2.3.1. in particolare, la sentenza impugnata: a) ha valorizzato gli elementi presuntivi dedotti in sede di avviso di accertamento in ordine alla inesistenza delle operazioni contestate, così ritenendo assolto l’onere probatorio gravante sull’Amministrazione finanziaria; b) ha correttamente ritenuto che, alla luce di tali elementi presuntivi, la prova della effettiva esistenza delle operazioni gravi sul contribuente; c) ha escluso che l’onere probatorio sia stato da quest’ultimo assolto;
2.4. F.M., contesta: 1) sotto il profilo della violazione di legge, che le presunzioni indicate dall’Ufficio siano gravi precise e concordanti e, conseguentemente, l’esistenza di un onere probatorio a suo carico, che comunque sarebbe stato assolto ove la CTR avesse correttamente valutato le prove da lui allegate; 2) sotto il profilo del vizio di motivazione, l’omessa valutazione di elementi probatori decisivi; 3) sotto il profilo dell’omessa pronuncia, il mancato espletamento della richiesta consulenza tecnica d’ufficio;
2.5. orbene, «una volta assolta da parte dell’Amministrazione finanziaria la prova (ad esempio, mediante la dimostrazione che l’emittente è una “cartiera” o una società “fantasma”) dell’oggettiva inesistenza delle operazioni, spetta al contribuente, ai fini della detrazione dell’IVA e/o della deduzione dei relativi costi, provare l’effettiva esistenza delle operazioni contestate, senza che, tuttavia, tale onere possa ritenersi assolto con l’esibizione della fattura ovvero in ragione della regolarità formale delle scritture contabili o dei mezzi di pagamento adoperati, che vengono di regola utilizzati proprio allo scopo di far apparire reale un’operazione fittizia» (Cass. n. 17619 del 05/07/2018; conf. Cass. n. 27554 del 30/10/2018; si veda anche Cass. n. 25778 del 05/12/2014);
2.6. nel caso di specie, a fronte degli elementi indiziari forniti dall’Ufficio, tutti deponenti nel senso della oggettiva inesistenza delle prestazioni fornite dalla ditta Caruso, il contribuente, che ha l’onere di fornire la prova della esistenza delle prestazioni, si limita: a) a svalutare la rilevanza dei predetti elementi indiziari singolarmente considerati (indizi già positivamente valutati nel loro complesso dal giudice di appello); b) a chiedere una nuova e diversa valutazione di una documentazione della quale non viene specificato il momento processuale di produzione e di cui, in ogni caso, la CTR ha dimostrato di avere già tenuto conto;
2.6.1. del resto, spetta, in via esclusiva, al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr. Cass. n. 19547 del 04/08/2017);
2.7. in buona sostanza, le richieste del contribuente sono volte essenzialmente ad ottenere, in sede di legittimità, una inammissibile rivalutazione nel merito (Cass. n. 29404 del 07/12/2017) del complessivo accertamento compiuto dalla sentenza impugnata, nonché a contestare – sotto l’erroneo profilo della omessa pronuncia – una scelta del tutto discrezionale del giudice di merito, quale quella di procedere a consulenza tecnica d’ufficio;
3. con il terzo motivo di ricorso si contesta omessa motivazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., con riferimento alla esclusione della deducibilità dei costi, derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti;
3.1. il motivo è inammissibile;
3.2. la sentenza della CTR, aderendo all’impostazione dell’avviso di accertamento, è chiara nel ritenere la oggettiva inesistenza delle prestazioni rese dalla ditta Caruso, sicché non è affatto necessario prendere posizione in ordine alla deducibilità dei costi a seguito della qualificazione come soggettivamente inesistenti delle medesime prestazioni;
3.3. correttamente, pertanto, la CTR ha ritenuto non deducibili i costi afferenti ad operazioni inesistenti, senza che nemmeno venga in rilievo lo ius superveniens costituito dalla previsione dell’art. 8, comma 2, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella l. 26 aprile 2012, n. 44, che riguarda la possibilità, per il contribuente, di provare la natura fittizia dei ricavi direttamente afferenti a costi ritenuti non deducibili (cfr. Cass. n. 33915 del 2019, cit.; Cass. n. 21189 del 08/10/2014; Cass. n. 25967 del 20/11/2013);
4. con il quarto motivo di ricorso si contesta: 1) violazione e falsa applicazione dell’art. 39 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e dell’art. 54 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (Testo Unico delle Imposte sui Redditi – TUIR), nonché degli artt. 3 e 53 Cost., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi come, a fronte di un accertamento induttivo del reddito d’impresa, avrebbero dovuto essere considerati deducibili anche i relativi costi, evidenziati dai prelievi effettuati in conto corrente; 2) violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non avendo la CTR pronunciato in ordine alla questione relativa alla giustificazione di prelevamenti e versamenti in conto corrente per complessivi euro 95.558,35;
4.1. la censura sub 1) è infondata;
4.2. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la considerazione dell’incidenza percentualizzata dei costi corrispondenti alla ricostruzione dei ricavi è applicabile alla rettifica induttiva e non anche a quella fondata su indagini bancarie, atteso che, in questa ipotesi, ai sensi dell’art. 32 del d.P.R. n. 600 del 1973 (e, per l’IVA, dell’art. 51, comma 2, n. 2, del d.P.R. n. 633 del 1972), opera a favore dell’Amministrazione finanziaria una presunzione legale rispetto ai dati emergenti dalle movimentazioni bancarie, che il contribuente ha l’onere di superare» (Cass. n. 24422 del 05/10/2018);
4.3. ne consegue che, correttamente, la CTR ha ritenuto di non applicare, nella determinazione dei ricavi conseguenti all’accertamento bancario, una percentuale forfettaria di costi, costi che il contribuente avrebbe dovuto specificamente comprovare;
4.4. fondato è, invece, il rilievo sub 2);
4.5. in effetti, la CTR ha del tutto omesso di prendere posizione in ordine alla domanda concernente la intervenuta giustificazione di taluni tra i prelevamenti e versamenti contestati in sede di avviso di accertamento, come risulta dalle trascrizioni debitamente effettuate dal ricorrente;
4.6. la sentenza impugnata va, dunque, cassata in parte qua;
5. in conclusione, va accolto in parte il quarto motivo di ricorso, rigettati gli altri; la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo accolto e rinviata alla CTR dell’Umbria, in diversa composizione, per nuovo esame e per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
accoglie nei limiti di cui in motivazione il quarto motivo di ricorso, rigetta gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale dell’Umbria, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
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