CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 novembre 2021, n. 33594

Fallimento ed altre procedure concorsuali – Concordato cd. “prenotativo” – Diritto all’assegnazione giudiziale di termine per il deposito della proposta di concordato, del piano e dei documenti – Impresa in contabilità semplificata

Rilevato che

1. Con sentenza emessa il 7 dicembre 2016 la Corte di appello di Catanzaro rigettò il reclamo proposto da M.D.P. per la riforma della sentenza con cui, il 5 gennaio 2016, il Tribunale di Vibo Valentia: dichiarò inammissibile la domanda di concordato preventivo, con riserva di presentazione della proposta e del piano (art. 161, sesto comma, l.fall.), proposta da D. con ricorso depositato l’8 ottobre 2015, nel corso di procedimento per la dichiarazione del suo fallimento promosso dal pubblico ministero presso detto Tribunale; dichiarò il fallimento dello stesso D.

1.1 La motivazione di tali decisioni può essere cosi sintetizzata: la domanda contenuta nel ricorso presentato in applicazione dell’art. 161, sesto comma, l.fall. è soggetta a preliminare accertamento di ammissibilità da parte del tribunale prima della assegnazione all’imprenditore ricorrente del termine previsto dalla stessa disposizione di legge per il deposito della proposta di concordato, del piano e dei documenti indicati dai commi secondo e terzo dello stesso art. 161; è condivisibile pertanto la censura rivolta al ricorrente dalla sentenza di primo grado in ordine alla “mancata esibizione dei bilanci o comunque delle scritture contabili indicate nell’art. 2214 c.c.”; la giurisprudenza di legittimità formatasi in tema di bancarotta fraudolenta documentale ha costantemente affermato che l’imprenditore che si avvale del regime tributario di contabilità semplificata è comunque obbligato a tenere le scritture contabili previste dall’art. 2214 cod. civ.; anche la giurisprudenza civile di legittimità formatasi in riferimento alla disciplina del concordato preventivo anteriore alla riforma del 2005 era in senso sostanzialmente conforme e tali argomentazioni valgono anche nel vigore attuale di tale disciplina, “permanendo la necessità per l’accesso all’alternativa fallimentare di prospettare e documentare in maniera compiuta la stato economico dell’impresa”; sussiste poi “una chiara contraddizione in termini tra la volontà del reclamante di accedere al rimedio del concordato, che presuppone un soggetto commerciale, come tale fallibile, e l’assunto di essere un imprenditore agricolo come tale non fallibile”; premesso che, sotto il profilo della connessione fra attività di trasformazione e commercializzazione di prodotti agricoli e attività ex se agraria (coltivazione e allevamento), l’onere della prova è di colui che invoca l’esenzione dal fallimento in quanto imprenditore agricolo, D. “non ha fornito una tale prova neanche nella presente fase di giudizio”; risultando peraltro dalle informazioni ritraibili dal registro delle imprese che egli svolge attività di “commercio su aree pubbliche di prodotti non alimentari”, di “produzione di olio di oliva da olive prevalentemente non di produzione propria” e di “commercio al dettaglio ambulante”; tali attività “esulano chiaramente da quella agricola per le quali risulta difficile ipotizzare alcun collegamento con lo sfruttamento della terra”; sussiste poi lo stato di insolvenza del reclamante, desumibile dalla consistente esposizione debitoria, dalla presenza di protesti e dalla richiesta di essere ammesso a concordato preventivo di natura liquidatoria, cui sono da aggiungere “la lunga serie di ipoteche legali accese sul patrimonio immobiliare della ditta individuale e la mancanza di crediti verso terzi”; a fronte dunque “di una consistente ed allarmante esposizione debitoria”, il reclamante non è stato “in grado di abbattere sensibilmente le passività” neppure utilizzando gli aiuti finanziari comunitari che egli afferma avere ricevuto.

2. Per la cassazione di tale sentenza D. ha proposto ricorso contenente quattro motivi di impugnazione, assistito da memoria.

3. Il Fallimento di D. ha resistito con controricorso e ha depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Prioritario è, secondo logica giuridica, l’esame del terzo motivo di ricorso con cui si deduce che la sentenza è caratterizzata da errata applicazione degli artt. 2135 e 2221 cod. civ., nonché da omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, oggetto di controversia fra le relative parti, in quanto, secondo il ricorrente, la Corte di appello ha omesso l’esame dei “documenti acquisiti” (il cui contenuto è nel ricorso sommariamente indicato), dai quali risulterebbe la natura agricola (art. 2135 cod. civ.) dell’attività da lui esercitata.

1.1.Il motivo è inammissibile.

2. La non assoggettabilità dell’imprenditore agricolo (per come definito dall’art. 2135 cod. civ.) al fallimento e al concordato preventivo è desumibile, a contrario, dalla dizione degli artt. 1 l.fall. e 2221 cod. civ. (recante la definizione di imprenditore commerciale da intendere, appunto, contrapposto all’imprenditore agricolo).

Al riguardo, è da ribadire il principio (fatto proprio dalla sentenza impugnata), secondo cui l’esenzione dell’imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo ovvero quando le attività connesse di cui al terzo comma dell’art. 2135 cod. civ. assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura; gravando su chi invochi l’esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attività di trasformazione e commercializzazione dei prodotti agricoli e quella tipica di coltivazione del fondo (art. 2135, primo comma, cod. civ.), il corrispondente onere probatorio, nel rispetto del canone di prossimità della prova che identifica nell’imprenditore la parte onerata dalla dimostrazione di fatti o qualità esimenti a lui propri (in questo senso, cfr. Cass. n. 16614 del 2016).

La sentenza impugnata si conforma a tali principi, avendo, da un lato, tratto dalla presentazione da parte del ricorrente di domanda di concordato c.d. “con riserva” (in quanto l’art. 1, primo comma, l.fall. assoggetta alle disposizioni sul concordato preventivo gli imprenditori che esercitano un’attività commerciale) e dalle indicazioni risultanti dal registro delle imprese indizi significativi (tali indicazioni hanno natura meramente indiziaria dello svolgimento delle attività nello stesso registro descritte, peraltro su indicazione dell’imprenditore) dello svolgimento da parte del ricorrente di attività di commercio e di produzione di olio di oliva derivante dalla trasformazione di olive “non di produzione propria” e, dall’altro, affermato che il ricorrente non ha dato prova, neppure nel giudizio di reclamo, dello svolgimento di attività inquadrabile nella fattispecie descritta nell’art. 2135 cod. civ.

E’ vero che il ricorrente censura la sentenza per non avere esaminato il contenuto di documenti (“relazione della Guardia di Finanza, che a sua volta si basa sull’accesso ispettivo del 14.07.2014”; “documentazione Equitalia”) che, a suo dire, proverebbero che egli “coltiva quasi cento ettari di uliveto, di cui 30 di sua esclusiva proprietà e la restante parte provenienti dai contratti di fitto del frutto pendente”.

E’ però altrettanto vero che il motivo non è sul punto autosufficiente, non essendo in esso indicando con precisione quali siano i documenti depositati, quale fosse specificamente il relativo contenuto, quando il relativo deposito sarebbe avvenuto nei due gradi del giudizio di merito.

Invero l’art. 366, n. 6), cod. proc. civ., che impone la specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti, costituisce espressione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione qualora sia dedotta l’omessa ovvero viziata valutazione del contenuto di documenti, con la conseguenza che il ricorrente deve procedere a un sintetico ma completo resoconto dei relativi contenuti e indicare specificamente in quale sede processuale tali documenti, pur nel ricorso indicati, risultino depositati, in quanto indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, dire dove nel processo è rintracciabile (in questo senso, cfr., fra le molte: Cass. S.U. n. 28547 del 2008; Cass. S.U. n. 7161 del 2010; Cass. n. 5478 del 2018; Cass. n. 28712 del 2019; Cass. n. 9341 del 2020).

3. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 161 l.fall., nonché per “difetto assoluto di motivazione”, in quanto la sentenza equipara, in buona sostanza, la domanda di concordato di cui all’art. 161, sesto comma l.fall. a quella prevista dai primi due commi dello stesso articolo, avendo affermato che gli effetti della prima domanda “sono uguali a quelli che derivano dalla presentazione di una ordinaria domanda di concordato” e che il successivo art. 162, secondo comma, della stessa legge (relativo alla declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo) “prevede espressamente non solo la verifica dei presupposti di cui all’art. 160 commi primo e secondo, ma anche e integralmente dell’art. 161”.

4. Premesso che, in ragione del giorno in cui il ricorso per concordato c.d. “prenotativo” venne presentato dal ricorrente (8 ottobre 2015), al caso di specie trovano applicazione le disposizioni della legge fallimentare in tema di concordato preventivo risultanti dalle modificazioni a esse recate dal d.l. n.83 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 132 del 2015, la censura, per come dedotta, è manifestamente infondata, in quanto nella sentenza impugnata: non si afferma punto che la domanda di concordato preventivo c.d. prenotativo è equiparabile a domanda di concordato preventivo contenente proposta e piano, ma solo, con affermazioni conformi a diritto, che: a) gli effetti verso i terzi della pubblicazione del ricorso contenente la prima nel registro delle imprese sono i medesimi di quelli della iscrizione del ricorso contenente la seconda nel medesimo registro (artt. 161, quinto comma e 168 l.fall.); b) dopo il deposito del ricorso e fino al decreto di ammissione dell’imprenditore ricorrente alla procedura di concordato preventivo (art. 163 l.fall.) detto debitore può compiere atti di ordinaria amministrazione dell’impresa e può compiere atti urgenti di straordinaria amministrazione solo previa autorizzazione del tribunale sia che abbia presentato la domanda c.d. “prenotativa” che quella contenente proposta e piano (art. 162, settimo comma, l.fall.); c) la disciplina del codice civile relativa alla riduzione o perdita del capitale sociale, compresa quella di scioglimento delle società di capitali per riduzione o perdita del capitale non si applica dalla data di deposito della domanda di concordato preventivo, proposta anche a norma dell’art. 162, sesto comma l.fall. (art. 182-sexies l.fall.); d) la disciplina relativa all’autorizzazione giudiziale a contrarre finanziamenti prededucibili ovvero a pagare crediti per prestazioni di beni o servizi anteriori al deposito del ricorso contenente la domanda (art. 182-quinquies, commi primo, terzo e quinto, l.fall., ove il riferimento è sempre alla domanda di ammissione al concordato preventivo “anche ai sensi dell’art. 161, sesto comma”) ovvero ancora allo scioglimento o alla sospensione dell’esecuzione dei contratti in corso si riferisce anche alla domanda presentata in applicazione dell’art. 161, sesto comma, l.fall.(art. 169-bis l.fall.);

l’affermazione, in sé alquanto criptica, della sentenza impugnata, secondo cui l’art. 162, secondo comma, l.fall. (relativo alla declaratoria di inammissibilità della domanda di concordato preventivo) “prevede espressamente non solo la verifica dei presupposti di cui all’art. 160 commi primo e secondo, ma anche, e integralmente, dell’art. 161”, significa, in buona sostanza, che prima di dichiarare l’inammissibilità di domanda di concordato preventivo, anche a contenuto prenotativo (per quanto specificato in risposta al secondo motivo di ricorso), il tribunale che rileva una causa di inammissibilità della domanda può assegnare al ricorrente termine per fornire chiarimenti ovvero depositare nuovi documenti e ha, comunque, l’obbligo di sentire il debitore in camera di consiglio su quanto dallo stesso tribunale evidenziato quanto al profilo di inammissibilità della domanda medesima e tale interpretazione è conforme a diritto; con la conseguenza che all’esito di tale udienza il tribunale potrà dichiarare l’inammissibilità della domanda e, accertati i presupposti di cui agli artt. 1 e 5 l.fall., dichiarare il fallimento dell’imprenditore nella riscontrata presenza di istanze in tal senso avanzate da creditore ovvero dal pubblico ministero.

5. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza deducendo che la stessa ha fatto erronea applicazione dell’art. 161 l.fall. in quanto: l’art. 161, nono comma, l.fall. prevede espressamente che la domanda di concordato c.d. “prenotativo” è inammissibile solo quando nei due anni precedenti il deposito del ricorso contenente tale domanda l’imprenditore ha presentato altra domanda ai sensi del sesto comma del medesimo art. 161 alla quale non abbia fatto seguito l’ammissione alla procedura di concordato preventivo ovvero l’omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti; questa è l’unica causa di inammissibilità della domanda di concordato c.d. “prenotativo” prevista dalla legge, con la conseguenza che ove detta evenienza non sussista, l’imprenditore ha diritto all’assegnazione giudiziale di termine per il deposito della proposta di concordato, del piano e dei documenti previsti dal secondo comma dell’art. 161 l.fall.; esso ricorrente inoltre aveva optato per il regime di contabilità semplificata previsto dalla vigente legislazione tributaria e, pertanto, non era tenuto “al deposito obbligatorio del bilancio di esercizio, né era tenuto ad avere il libro degli inventari ex art. 2217 c.c.”.

6. Il motivo è solo parzialmente fondato.

L’art. 161, settimo comma, l.fall. prevede espressamente, per quanto qui specificamente interessa, che “l’imprenditore può depositare il ricorso contenente la domanda di concordato unitamente ai bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e all’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti, riservandosi di presentare la proposta il piano e la documentazione di cui ai commi secondo e terzo entro un termine fissato dal giudice”.

Tale disposizione non è anche, quanto alle società di capitali e cooperative, integrata dal precetto di cui all’art. 152, secondo comma, lett. b) e terzo comma, l.fall. (secondo cui “la proposta e le condizioni del concordato” sono, salva diversa disposizione dello statuto, deliberate dagli amministratori in atto redatto da notaio depositato e iscritto nel registro delle imprese), in quanto: il quarto comma dell’art. 161 l.fall. riferisce tale requisito formale alla proposta di concordato preventivo indicata dal precedente primo comma; nella domanda di concordato c.d. “con riserva” non si ha alcuna proposta di concordato, essendo scisso il momento della presentazione della domanda (che può essere sottoscritta dal solo difensore con procura della società) da quello di deposito della proposta di concordato, del piano e dei documenti previsti dai commi primo, secondo e terzo dello stesso art. 161 (in questo senso, cfr.: Cass. n. 598 e n. 20725 del 2017).

Secondo l’interpretazione della giurisprudenza di legittimità, il diritto dell’imprenditore ricorrente alla concessione da parte del tribunale di termine per la presentazione della proposta di concordato, del piano e dei documenti in discorso trova il suo necessario presupposto: nel deposito, unitamente, al ricorso dei bilanci relativi agli ultimi tre esercizi e dell’elenco nominativo dei creditori con l’indicazione dei rispettivi crediti; nella non qualificabilità della domanda in termini di atto costituente abuso del diritto di azione.

Invero, Cass. n. 7117 del 2020 ha avuto modo di precisare che: la presentazione da parte dell’imprenditore di una domanda di concordato c.d. “con riserva” in pendenza di procedimento per la dichiarazione del suo fallimento non impone in ogni caso al tribunale la concessione del termine di cui all’art. 161, sesto e decimo comma, l.fall.;

il diritto al termine processuale trova infatti il proprio limite nell’abuso del processo (cfr. per tutte, sull’abuso della domanda di concordato preventivo, anche con riserva: Cass. S.U. n. 9935 del 2015);

il tribunale non ha margini di discrezionalità quanto alla misura del termine da assegnare (essendo escluso che, in pendenza di procedimento per la dichiarazione di fallimento dell’imprenditore che abbia presentato domanda di concordato preventivo con riserva, il tribunale possa legittimamente concedere un termine maggiore di quello indicato dall’art. 161, decimo comma, l.fall. (cfr. Cass. S.U. n. 9935 del 2015, cit. ; Cass. n 25602 del 2018) ovvero rispetto all’adesione alla richiesta, «a patto però che la stessa sia accompagnata dal rituale deposito di tutta la documentazione prevista dall’art. 161, comma 6, legge fall, e non emergano, fin da quel frangente, profili di abuso del diritto».

Dunque, in contrario a quanto dal ricorrente dedotto, l’inammissibilità della domanda di concordato preventivo c.d. “con riserva” ben può essere pronunciata dal tribunale, all’esito del procedimento camerale di cui all’art. 162, secondo comma, l.fall., non solo nella ricorrenza dei casi previsti dal nono comma del precedente art. 161, ma anche nei casi in cui: al ricorso che tale domanda contiene non siano allegati, prima di tale decisione, i documenti previsti dal sesto comma dello stesso articolo; la domanda non costituisca atto qualificabile come abuso del diritto all’azione.

In altre parole, sussiste il diritto dell’imprenditore alla concessione, da parte del tribunale, del termine di cui al decimo comma dell’art. 161 quando nei suoi confronti pende procedimento (a istanza di parte a ciò dalla legge fallimentare legittimata) per la dichiarazione di fallimento solo se: il suo ricorso non sia qualificabile in termini di abuso del diritto all’azione; egli abbia depositato, prima della decisione di inammissibilità, i documenti specificamente indicati dal sesto comma dello stesso art. 161.

Per quanto qui specificamente interessa, dalla sentenza impugnata (pag. 2) risulta che il Tribunale di Vibo Valentia dichiarò inammissibile la domanda di concordato c.d. “con riserva” presentata dal ricorrente in quanto: al ricorso vennero allegati tre documenti, rispettivamente intitolati “situazione contabile al 31.12.12, situazione contabile al 31.12.13 e situazione contabile al 31.12.14 contenenti un mero prospetto di costi e ricavi”; nel termine assegnato dal Tribunale il ricorrente depositò “documentazione di contenuto identico a quello della documentazione già depositata con la differenza dell’intestazione che da situazione contabile al 31.12.12 diventava “bilancio 31.12.12”, “bilancio 31.12.13” e “bilancio 31.12.14″”; in sede di audizione nel corso dell’udienza fissata ai sensi dell’art. 162 l.fall. il ricorrente dichiarò che la documentazione depositata era stata l’unica messa a sua disposizione dal commercialista “trattandosi di impresa soggetta a contabilità semplificata”.

I bilanci degli ultimi tre esercizi indicati dall’art. 161, sesto comma, l.fall. come documenti da allegare necessariamente alla domanda di concordato preventivo c.d. “con riserva”, si identificano: per le società per azioni e cooperative (art. 2519 cod. civ.), negli atti redatti in applicazione delle disposizioni recate dagli artt. 2423-2428 cod. civ., approvati con deliberazione dell’assemblea dei soci e depositati nel registro delle imprese (art, 2435 cod. civ.);

per le società a responsabilità limitata, negli atti redatti secondo le prescrizioni delle disposizioni del codice relative alle società per azioni elencate nell’art. 2478- bis, primo comma, cod. civ., approvati dai soci e depositati nel registro delle imprese (art. 2478-bis, secondo comma, cod. civ.);

per le società di persone che svolgono attività commerciale, nei bilanci e nei conti dei profitti di cui all’art. 2217, secondo comma, cod. civ. redatti secondo i criteri dalla legge previsti per le società per azioni in quanto compatibili (cfr. Cass. n. 6524 del 1994; Cass. n. 1240 del 1996), nonché nei rendiconti annuali resi dai relativi soci amministratori ai soci che non partecipano all’amministrazione (art. 2261, secondo comma, cod. civ.) che, secondo la prevalente dottrina e la giurisprudenza di legittimità, devono essere redatti nell’osservanza delle disposizioni generali dettate dal codice civile per la redazione del bilancio delle società di capitali (cfr., in motivazione: Cass. n. 4454 del 1995; Cass. n. 1036 del 2009; Cass. n. 2962 del 2017); con particolare riferimento alla regola della rappresentazione veritiera e corretta della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del risultato economico dell’esercizio;

per l’imprenditore persona fisica, da documenti dallo stesso redatti che abbiano struttura e caratteristiche assimilabili a quelle dei bilanci delle società di capitali, con particolare riferimento all’osservanza dei principi generali dettati dagli artt. 2423 e 2423-bis cod. civ., non essendovi alcuna ragione plausibile per affermare che tali documenti possano offrire informazioni relative alla situazione patrimoniale e finanziaria dell’imprenditore e al risultato economico dell’esercizio di segno diverso da quelle ritraibili dai bilanci delle società di capitali, delle società cooperative e delle di persone che svolgono attività commerciali.

Orbene, la sentenza impugnata afferma di condividere la decisione del giudice di primo grado di affermazione della inammissibilità della domanda del ricorrente in ragione della “mancata esibizione dei bilanci o comunque delle scritture contabili indicate nell’art. 2214 c.c.” e a tale affermazione fa seguire una lunga ricapitolazione dei principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità formatasi in materia di bancarotta fraudolenta documentale, da cui desume che l’imprenditore persona fisica deve, unitamente alla domanda di concordato di cui si discute, depositare le scritture contabili di cui agli artt. 2214-2217 cod. civ.

Tal affermazione è, per un verso, immotivata in fatto, non avendo la corte del merito in alcun modo chiarito perché dai prospetti contabili depositati da D. (successivamente ridenominati bilanci) non potessero trarsi informazioni relative alla situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa analoghe a quelle ritraibili dai bilanci delle società, e, per altro verso, errata in diritto, in quanto le scritture contabili e fiscali che qualunque imprenditore commerciale è per legge obbligato a redigere e conservare debbono da costui essere (eventualmente) consegnate al commissario giudiziale dallo stesso tribunale (eventualmente) nominato con il decreto che assegna al ricorrente il termine per il deposito della proposta, del piano e dei documenti in discorso,

Invero, l’art. 161, sesto comma, l.fall., prevede la facoltà per il tribunale di nominare un commissario giudiziale nella pendenza del termine da lui assegnato e dispone che, ricorrendo tale caso, “si applica l’articolo 170, secondo comma”, secondo cui l’imprenditore deve tenere a disposizione del giudice delegato alla procedura di concordato preventivo (nel caso di domanda c.d. “prenotativa”, del tribunale) e del commissario giudiziale i libri da lui tenuti.

E’ dunque da escludere che le scritture contabili tenute dall’imprenditore persona fisica debbano da questi essere depositate unitamente alla domanda di concordato preventivo prevista dall’art. 161, sesto comma, l.fall.

Vanno in conclusione affermati i seguenti principi di diritto: “la domanda di concordato preventivo con riserva della presentazione della proposta, del piano e dei documenti indicati dall’art. 161, secondo e terzo comma, l.fall. presentata dall’imprenditore nei cui confronti pende procedimento per la dichiarazione di fallimento in applicazione del sesto comma del medesimo art. 161, può dal tribunale essere dichiarata inammissibile, all’esito del procedimento camerale previsto dal successivo art. 162, secondo comma, prima dell’assegnazione del termine previsto dal decimo comma dell’art. 161, quando il ricorrente non abbia depositato, prima della decisione di inammissibilità, documenti qualificabili come bilanci relativi agli ultimi tre esercizi”; “anche l’imprenditore persona fisica che presenta la domanda di cui all’art. 161, sesto comma, l.fall. deve depositare avanti il tribunale documenti contabili relativi agli ultimi tre esercizi, da lui redatti secondo struttura e caratteristiche assimilabili a quelle dei bilanci delle società di capitali, con particolare riferimento all’osservanza dei principi generali dettati dagli artt. 2423e 2423-bis cod. civ.“;

nel caso di domanda di concordato preventivo depositata in applicazione dell’art. 161, sesto comma, l.fall., le scritture contabili che l’imprenditore è obbligato per legge a tenere debbono da lui essere poste a disposizione del tribunale e del commissario giudiziale eventualmente nominato in applicazione del medesimo sesto comma solo dopo l’assegnazione giudiziale di termine per il deposito della proposta di concordato, del piano e dei documenti di cui al secondo e terzo comma del medesimo art. 161“.

7. All’accoglimento, nei termini sopra precisati, del secondo motivo del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte di appello di Catanzaro che, in diversa composizione, in applicazione dei principi indicati nel precedente punto 6., dovrà specificamente accertare se, ai fini dell’ammissibilità della domanda del ricorrente di assegnazione del termine di cui al decimo comma dello stesso art. 161 per il deposito della proposta di concordato, del piano e dei documenti di cui ai primi due commi del medesimo articolo, i documenti dal ricorrente depositati avanti il Tribunale di Vibo Valentia prima della dichiarazione di inammissibilità della stessa domanda siano da qualificare come bilanci relativi ai tre esercizi precedenti il deposito del ricorso contenente la domanda in questione.

8. Resta assorbito il quarto motivo del ricorso, con il quale il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere fatto errata applicazione al caso di specie dell’art. 5 l.fall.

Al giudice di rinvio è demandata la decisione sulla regolamentazione delle spese relative al giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Accoglie il secondo motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione, dichiara inammissibile il terzo motivo e rigetta il primo, assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro, in diversa composizione, cui demanda anche la liquidazione delle spese relative al giudizio di cassazione.