CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2018, n. 25217
Reddito d’impresa – Tributi – Accertamento – Riscossione – Registrazioni contabili – Imputazione temporale dei componenti di reddito – Principio di competenza economica
Rilevato che
nella controversia originata dall’impugnazione da parte della T.C. s.r.l. di avviso di accertamento relativo ad Iva, Irpeg e Irap dell’anno di imposta 2003 (con il quale erano stati disconosciuti costi non documentati e ripresi a tassazione ricavi non dichiarati), detta Società, in persona del legale rappresentante, propone ricorso, su cinque motivi, avverso la sentenza, indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, rigettandone l’appello, aveva confermato la decisione di primo grado, solo parzialmente favorevole;
in particolare, il Giudice di appello ribadiva la piena legittimità dell’operato dell’Amministrazione erariale, considerato che i costi relativi ad un contratto di servizi in essere con altra Società dello stesso gruppo cui apparteneva la contribuente non erano stati documentati né da fatture né da altri documenti contabili mentre, da altro lato, sempre secondo la Commissione regionale, l’evidente antieconomicità dell’operazione relativa al suddetto contratto (con costi elevati a fronte di esigui ricavi dichiarati) legittimava il ricorso all’accertamento ex art. 39, 1 comma, lett. d) d.p.r.. 600/1973;
l’Agenzia delle entrate ha depositato” atto di costituzione” ai fini dell’eventuale partecipazione all’udienza;
il ricorso è stato fissato in camera di consiglio ai sensi dell’art. 375, secondo comma, e dell’art. 380 bis 1 cod.proc.civ., introdotti dall’art.1bis del d.l. 31 agosto 2016 n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016 n. 197.
Considerato che
con il primo motivo si eccepisce l’esistenza di giudicato interno relativamente al capo delle sentenza di primo grado che aveva riconosciuto il diritto della Società all’utilizzo delle perdite fiscali pregresse ai fini della determinazione dell’IRPEG;
in particolare, la ricorrente -premesso che, avverso tale capo della sentenza di primo grado, l’Agenzia delle entrate, pur essendo soccombente, non aveva proposto uno specifico e tempestivo motivo di impugnazione- chiede, qualora questa Corte dovesse rigettare i motivi di ricorso e confermare, quindi, le riprese fiscali a tassazione ancora in contestazione, che si scomputi dal maggior reddito imponibile accertato l’ormai incontrovertibile diritto della Società all’utilizzo delle perdite fiscali pregresse;
con il secondo motivo si deduce la violazione dell’art. 75, co 2, lett.b., d.p.r. n. 917/1986, laddove la C.T.R. aveva ritenuto necessaria, ai fini della deduzione del costo derivante dal contratto di prestazioni di servizi (avente ad oggetto l’utilizzo in via esclusiva del Castello di Santa Maria Novella) che lo stesso fosse provato attraverso fatture o altri documenti contabili;
con il terzo motivo si denunzia la sentenza impugnata, ai sensi del n.5, 1 comma, dell’art. 360 cod.proc.civ., di omesso esame di elementi decisivi laddove la C.T.R., nell’affermare che la mera stipula di un contratto di servizi non costituisce idonea prova della reale esistenza ed effettività dei costi, essendo necessario, invece, aldilà della volontà delle parti ….che risulti anche la concreta realizzazione dell’oggetto contrattuale documentata attraverso fatture o altri documenti contabili, non aveva tenuto conto di numerosi fatti decisivi quale l’avvenuta contabilizzazione di tale costo in bilancio, l’emissione di fattura in epoca successiva, il fortissimo interesse commerciale all’uso in via esclusiva del Castello, la circostanza che la stessa società proprietaria dell’immobile avesse iscritto in bilancio per la medesima annualità l’intero corrispettivo tra i ricavi;
le censure, esaminate congiuntamente, siccome vertenti sullo stesso capo di sentenza, sono fondate;
ai sensi dell’art. 75 D.P.R. n. 917/1986, applicabile ratione temporis: <<1. I ricavi, le spese e gli altri componenti positivi e negativi.., concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia i ricavi, le spese e gli altri componenti di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni. 2. Ai fini della determinazione dell’esercizio di competenza: ….b) i corrispettivi delle prestazioni di servizi si considerano conseguiti, e le spese di acquisizione dei servizi si considerano sostenute, alla data in cui le prestazioni sono ultimate …»; dette disposizioni normative sono state costantemente interpretate da questa Corte nel senso che in tema di reddito d’impresa, le regole sull’imputazione temporale dei componenti di reddito – inderogabili, sia per il contribuente che per l’ufficio finanziario – seguono il principio di “competenza economica”, stabilito in generale dall’art. 75 del d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, il quale implica che gli elementi reddituali (attivi e passivi) derivanti da una determinata operazione siano iscritti in bilancio, non già con riferimento alla data del pagamento o dell’incasso materiale del corrispettivo, ma nel momento in cui esso perviene a completa maturazione, appunto con l’ultimazione della prestazione. Il costo, perciò, inerisce temporalmente all’esercizio in corso al momento dell’ultimazione della prestazione, indipendentemente dalla data della fatturazione e dell’effettivo pagamento del corrispettivo imputato nel conto economico»(v. Cass.n. 24474 del 17/11/2006; n. 16253 del 23/07/2007; n. 24055 del 13/11/2009 ed ancora, di recente, Cass. n.ri 3497/2011; 9096/2012; 27296/2014; 11311/2016);
alla luce di detti principi, appare evidente l’errore in diritto in cui è incorsa la Commissione tributaria regionale laddove, con motivazione insufficiente (non tenendo in debito conto gli ulteriori elementi fattuali prospettati dalla Società contribuente) non ha riconosciuto la deducibilità di parte del corrispettivo del contratto di prestazioni di servizi, ritenuto inidoneo a fornire prova del costo, perché non provati i pagamenti, attraverso fatture o altri documenti contabili;
con il quarto motivo si deduce violazione di legge (artt. 2727 e 2729 cod.civ, 39 co 1 lett. d dpr 600/73 e 54 co2 d.p.r 633/72) laddove la C.T.R. aveva ritenuto legittimo il ricorso all’accertamento analitico induttivo con rideterminazione di maggiori ricavi, facendo riferimento all’esistenza di una presunzione pur semplice ma significativa ovvero l’antieconomicità di una sola operazione (il contratto di servizi avente ad oggetto l’uso esclusivo del castello di Santa Maria Novella);
con il quinto motivo si deduce un’omessa e/o insufficiente motivazione laddove il Giudice di appello non aveva tenuto conto nell’asserire l’antieconomicità della condotta di impresa di tutta una serie di elementi di fatto dai quali emergeva che la Società aveva chiuso l’esercizio in attivo e che, pertanto, i ricavi complessivi dichiarati escludevano la presunzione di antieconomicità;
le censure, esaminate congiuntamente siccome vertenti sulla stessa questione, sono fondate;
in materia, secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, «l’accertamento con metodo analitico-induttivo, con quale cui il fisco procede alla rettifica di singoli componenti reddituali, ancorché di rilevante importo, è consentito, ai sensi dell’art. 39, primo comma, lett. d) del d.P.R. del 29 settembre 1973, n. 600, pure in presenza di contabilità formalmente tenuta, giacché la disposizione presuppone, appunto, scritture regolarmente tenute e, tuttavia, contestabili in forza di valutazioni condotte sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti che facciano seriamente dubitare della completezza e fedeltà della contabilità esaminata» (cfr. tra le molte Cass. n. 20060 del 24/09/2014);
egualmente, in materia di IVA, si è statuito che «l’Amministrazione finanziaria, in presenza di contabilità formalmente regolare ma intrinsecamente inattendibile per l’antieconomicità del comportamento del contribuente, può desumere in via induttiva, ai sensi dell’art. 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 54, commi 2 e 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, sulla base di presunzioni semplici, purchè gravi, precise e concordanti, il reddito del contribuente utilizzando le incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, incombendo su quest’ultimo l’onere di fornire la prova contraria e dimostrare la correttezza delle proprie dichiarazioni>> (Cass. Ordinanza n. 26036 del 30/12/2015);
nella specie, la Commissione tributaria regionale, non solo ha erroneamente ritenuto fondato il ricorso all’accertamento analitico-induttivo sulla base di una circostanza, dalla stessa ritenuta presunzione semplice, ovvero l’antieconomicità di una sola operazione posta in essere dalla Società isolandola dal contesto complessivo risultante dalla contabilità sociale (non disconosciuta), ma non ha, altresì, tenuto conto, nella sua valutazione, di tutta una serie di elementi fattuali dai quali si evinceva la complessiva situazione finanziaria positiva della Società (dal chè la fondatezza, anche, del quinto motivo di ricorso);
l’accoglimento del ricorso esonera dall’esame del primo motivo di ricorso, proposto in via subordinata, competendo al giudice del rinvio A la valutazione dell’esistenza e della rilevanza del giudicato interno dedotto dalla Società;
conclusivamente, pertanto, in accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio la quale provvederà al riesame, adeguandosi ai superiori principi, ed al regolamento delle spese processuali di questo giudizio.
P.Q.M.
In accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del giudizio di legittimità.