CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27535
Rapporto di lavoro – Personale ricercatore – Contratto a termine – Nullità del patto di prova – Risarcimento
Rilevato che
1. La Corte di Appello di Trento, con la sentenza n. 97/2019, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede n. 222/18, ha condannato FBK – Fondazione B.K. al risarcimento del danno, in favore di A.L. liquidato nelle retribuzioni che sarebbero maturate dall’1.10.2017 alla data di scadenza del contratto a termine (30.3.2020), di cui era stata dichiarata la nullità del patto di prova apposto, detratto quanto percepito nelle tre settimane di occupazione dal 30.9.2017 e in ragione del contratto a termine stipulato per la collaborazione presso la Commissione Europea dal 16.1.2019 al 15.1.2020.
2. I giudici di seconde cure,5fondamento della decisione, hanno rilevato, per quello che interessa in questa sede, che: a) l’art. 4 del RDL n.1825/1924 conv. nella legge n. 562/26, da ritenersi ancora vigente anche a seguito dei provvedimenti di semplificazione legislativa del 2009, non poteva considerarsi né implicitamente abrogato né superato dagli artt. 10 e 12 della legge n. 604/1966 né, infine, poteva reputarsi derogabile dalla contrattazione collettiva; b) le posizioni professionali previste dalla suddetta disposizione dovevano ritenersi ancora attuali; c) l’eccezione sull’aliunde perceptum risultava provata dalle dichiarazioni rese nell’interrogatorio libero da A. L.; d) l’eccezione sull’aliunde percipiendum era, invece, generica e basata su affermazioni apodittiche.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione FBK – affidato a quattro motivi, cui ha resistito con controricorso A.L..
4. La proposta del relatore è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, ai sensi dell’art. 380 bis cpc.
5. La ricorrente ha depositato memoria.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia, ai sensi dell’art. 360 co. n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2096 cc e art. 98 disp. att. cc, nonché degli artt. 10 e 12 della legge n. 604/1966, per avere erroneamente la Corte territoriale ritenuto non condivisibili le argomentazioni in merito al superamento del RDL n. 1825 del 1924 ad opera del codice civile e della legge n. 604/1966.
3. Con il secondo motivo si censura, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 4 RDL n. 1825 del 1924, per avere erroneamente ritenuto i giudici del merito inderogabile la suddetta disposizione, avente natura imperativa, mentre essa, invece, poteva essere derogata dalla contrattazione collettiva.
4. Con il terzo motivo la ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, della violazione e falsa applicazione della L.P. n. 14 del 2005 e del CCPL delle Fondazioni (all. A al ricorso) di cui alla L.P. n. 14/2005 perché la Corte territoriale non aveva considerato che il CCLP, che derogava in sostanza al citato art. 4, trovava il suo fondamento nella legge della Provincia autonoma di Trento che riconosceva appunto alla Provincia la possibilità di concorrere con le fondazioni e le organizzazioni sindacali rappresentative alla stipula di una intesa riguardante l’individuazione dei contratti collettivi applicabili al personale ricercatore ivi impiegato.
5. Con il quarto motivo la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, la violazione e falsa applicazione dell’art. 1223 cc, per avere erroneamente ritenuto la Corte di merito generica l’eccezione sull’aliunde percipiendum quando, invece, essa era fondata su circostanze oggettive da cui desumere che il lavoratore avrebbe potuto trovare una occupazione alternativa.
6. I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati.
7. La Corte territoriale correttamente si è adeguata, richiamandoli espressamente, ai condivisibili principi statuiti in sede di legittimità (Cass. n. 21874/2015, Cass. n. 1017/1985), cui si intende dare seguito, secondo i quali l’art. 4 del r.d.l. n. 1825 del 1924, convertito dalla l. n. 562 del 1926, la cui disciplina sui più ampi limiti temporali del patto di prova per i dirigenti nell’impiego privato si estende solo agli impiegati con equivalenti mansioni decisionali, non è derogabile dalla contrattazione collettiva in quanto norma imperativa, e non può ritenersi abrogato né dalle sopravvenute norme del codice civile, né dall’art. 10 della l. n. 604 del 1966, che – nel definire il suo ambito applicativo quale riferito a tutti i prestatori di lavoro ovvero, per quelli assunti in prova, dal momento in cui l’assunzione divenga definitiva e in ogni caso decorsi sei mesi dall’inizio del rapporto di lavoro – non ha inteso dettare una nuova disciplina del contratto di assunzione in prova o fissare un nuovo termine alla sua durata, tale da rendere inoperante il previgente regime.
8. E’, invece, inammissibile la doglianza relativa ai rapporti di gerarchia tra la norma di cui all’art. 4 RDL n. 1825/24 e la L.P. 2.8.2005 perché trattasi di questione nuova, non affrontata dalla sentenza di seconde cure in relazione ai motivi di appello come in essa riportati e con riguardo alla quale non è stato precisato il dove, il come ed il quando la problematica sia stata specificamente sottoposta ai giudici del merito: invero, la questione esaminata dalla Corte territoriale è stata solo quella relativa al rapporto di superamento e/o abrogazione tra l’art. 4 RDL citato e l’art. 10 della legge n. 604/1966.
9. Analogamente è da considerarsi questione nuova e, in quanto tale inammissibile in cassazione, quella riguardante la problematica se fosse più favorevole la disciplina di cui al RDL n. 1825/24 o quella di cui al CCPL, che non risulta essere stata posta come specifico motivo di gravame in seconde cure e non è stata esaminata dalla Corte territoriale.
10. Da ultimo, va evidenziato che il Collegio non ritiene che vi siano i presupposti per rimettere la trattazione della causa in pubblica udienza, non ravvisandosi un contrasto effettivo tra le pronunce di questa Corte n. 22758/2014 e n. 21874/2015.
11. La prima, infatti, non contiene alcuna statuizione -in ordine alla derogabilità dell’art. 4 RDL 1825/24 da parte della contrattazione collettiva caratterizzata dalla sequenza “fatto-norma-effetto” idonea a costituire un giudicato e a rappresentare un principio giurisprudenziale, essendo stata l’argomentazione prospettata effettivamente solo come un “obiter dictum”; ma soprattutto deve sottolinearsi che l’affermazione suddetta riguarda il personale direttivo per il quale il periodo di prova di sei mesi coincide con quello di cui all’art. 10 legge n. 604/1966 e non è pertinente alla fattispecie in esame.
12. Ne consegue che l’unico reale precedente in materia, per il personale non direttivo, rilevante nella soluzione del presente giudizio, è quello costituito dalla pronuncia del 2015, cui in questa sede, per il condivisibile ed autorevole ragionamento giuridico svolto, si intende dare continuità.
13. Il quarto motivo è, infine, inammissibile.
14. In tema di licenziamento illegittimo, il datore di lavoro che affermi la detraibilità dall’indennità risarcitoria prevista dal nuovo testo dell’art. 18, comma 4, St. lav., a titolo di “aliunde percipiendum”, di quanto il lavoratore avrebbe potuto percepire dedicandosi alla ricerca di una nuova occupazione, ha l’onere di allegare le circostanze specifiche riguardanti la situazione del mercato del lavoro in relazione alla professionalità del danneggiato, da cui desumere, anche con ragionamento presuntivo, l’utilizzabilità di tale professionalità per il conseguimento di nuovi guadagni e la riduzione del danno (Cass. n. 17683/2018).
15. Nel caso in esame, la Corte territoriale ha specificato che la eccezione formulata dalla società era del tutto generica e fondata su affermazioni apodittiche, senza riscontro di circostanze di fatto apprezzabili.
16. Orbene, va osservato che, in tema di ricorso per cassazione, l’erronea interpretazione della domande e delle eccezioni non è censurabile ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., perché non pone in discussione il significato della norma ma la sua concreta applicazione operata dal giudice di merito, il cui apprezzamento, al pari di ogni altro giudizio di fatto, può essere esaminato in sede di legittimità soltanto sotto il profilo del vizio di motivazione, ovviamente entro i limiti in cui tale sindacato è ancora consentito dal vigente art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. (Cass. n. 31546/2019): e sotto questo profilo la gravata pronuncia non è censurabile avendo esaminato il tenore della eccezione e avendo fornito adeguata motivazione sul rigetto di essa.
17. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
18. Al rigetto segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo, con distrazione.
19. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge, con distrazione in favore del difensore del controricorrente dichiaratosi antistatario. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.