CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27569
Giornalista – Nullità dei contratti a tempo determinato – Genericità della causa – Sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato
Rilevato che
1. con sentenza 13 luglio 2016, la Corte d’appello di Roma accertava l’instaurazione dal 30 settembre 1998 tra R.P. e la R. – s.p.a. di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, tuttora vigente, con il diritto della prima al trattamento economico e normativo di redattore con meno di trenta mesi di anzianità professionale fino al 31 marzo 2000 e di redattore ordinario per il periodo successivo e condannava la R. a corrisponderle, per indennizzo a norma dell’art. 32 I. 183/2010, una somma pari a sei mensilità della retribuzione globale di fatto, oltre interessi legali e rivalutazione dalla sentenza e la somma di € 156.046,14 a titolo di differenze retributive, oltre interessi legali e rivalutazione dalla maturazione del diritto al saldo;
2. tale pronuncia riformava quella di primo grado, di inammissibilità della domanda relativa ai primi tre contratti (dal 30 settembre 1998 al 30 giugno 1999, con riferimento all’accordo 5 aprile 1997, in relazione all’art. 23 I. 56/1987; dal 4 ottobre 1999 al 30 giugno 2000, con riferimento all’art. 1, lett. b I. 230/1962; dal 15 settembre 2000 al 31 maggio 2001, con riferimento all’accordo 5 aprile 1997, in relazione all’art. 23 I. 56/1987), per risoluzione del rapporto per mutuo consenso; di riconoscimento dello svolgimento dalla lavoratrice di mansioni di giornalista (e non di programmista regista come qualificata nei contratti); di successivi, per genericità della causa e pertanto di esistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato dal 6 settembre 2002; di condanna della datrice al pagamento, in favore della predetta per i periodi lavorati, della somma di € 120.072,78, nei limiti della prescrizione quinquennale e detratte le somme percepite;
3. preliminarmente esclusa la risoluzione per mutuo consenso dei primi tre contratti, in assenza di indici idonei all’integrazione di una volontà comune delle parti non ricavabile da un’inerzia significativa della lavoratrice, la Corte territoriale, pur ritenuti legittimi i due contratti richiamanti l’accordo 5 aprile 1997 in relazione all’art. 23 I. 56/1987, per la sufficienza in essi, ai fini dell’assunzione di personale, dell’individuazione e indicazione del programma (o dei programmi), ne riteneva tuttavia la nullità per la mancata prova, nell’onere datoriale, del rispetto del limite di contingentamento; accertava invece la nullità del contratto dal 4 ottobre 1999 al 30 giugno 2000, con riferimento all’art. 1, lett. b) I. 230/1962, in difetto di prova della specificità della causale. Infine, ribadiva la nullità, per genericità della causale, dei quattro più recenti (dal 14 settembre 2004 all’8 agosto 2005; dal 28 novembre 2005 al 25 giugno 2006; dal 9 ottobre 2005 al 25 giugno 2007; dal 4 settembre 2007 al 30 maggio 2008), tutti ai sensi dell’art. 1 d.lg. 368/2001;
4. così riconosciuta la decorrenza dell’unico rapporto di lavoro subordinato dal 30 settembre 1998, essa condivideva il riconoscimento dell’inquadramento della lavoratrice come redattore ordinario in base al CCNL Giornalisti e agli accordi aziendali, avendo collaborato ai programmi R., per cui precariamente assunta, con contributi giornalistici, interviste e servizi;
5. infine, la Corte capitolina condannava la società al pagamento, in favore della predetta: dell’indennità risarcitoria, ai sensi dell’art. 32, quinto comma I. 183/2010, liquidata in misura di sei mensilità, per il periodo tra la scadenza del termine e la pronuncia di conversione del rapporto di lavoro; delle retribuzioni successivamente maturate nella misura suindicata, coerente con il trattamento contrattuale, comprensivo degli aumenti di anzianità limitatamente ai periodi lavorati (non assorbiti dall’indennità risarcitoria), non decorrendo prescrizione nel corso del rapporto, per il metus della lavoratrice, tipico dei rapporti privi di stabilità; e ribadiva: la spettanza dell’indennità sostitutiva delle ferie maturate e non godute, come ritenuto dal Tribunale, senza censura, per fatto imputabile alla datrice, quale l’illegittima apposizione di una clausola di durata al rapporto; l’esclusione dell’indennità di qualificazione professionale, in difetto delle condizioni oggettive e soggettive previste dall’art. 16 dell’Accordo integrativo R. – USIGR.;
6. con atto notificato il 12 luglio 2017, R. s.p.a. ricorreva per cassazione con dieci motivi, cui la lavoratrice resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.;
Considerato che
1. la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e violazione degli artt. 1362, 1372, primo comma c.c., per erronea esclusione di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro tra le parti dopo il terzo contratto a tempo determinato tra le stesse (scaduto il 31 maggio 2001), per la valutazione atomistica del solo intervallo temporale (quindici mesi), senza un apprezzamento globale degli indici di mancata prestazione della lavoratrice, di offerte lavorative della R., di complessiva inerzia della lavoratrice medesima, senza tenersi a disposizione della società e di sua accettazione del T.f.r., pure con omissione di esame della lettera della R., da lei sottoscritta, di anticipata (il 28 giugno 2000: data di cessazione del programma televisivo) e consensuale risoluzione del secondo contratto di lavoro a termine, avente termine di scadenza il 30 giugno 2000 (primo motivo);
2. esso è inammissibile;
2.1. secondo indirizzo ormai consolidato di questa Corte, in tema di contratti a tempo determinato, l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici, giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, secondo le rigorose regole sui motivi che possono essere fatti valere al fine di incrinare la ricostruzione di ogni vicenda storica antecedente al contenzioso giudiziale, previste dall’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., tempo per tempo vigente (Cass. 12 dicembre 2017, n. 29781; Cass. 30 maggio 2018, n. 13660; Cass. 13 agosto 2020, n. 17110);
2.2. nel caso di specie, la Corte d’appello ha compiuto un accertamento in fatto congruamente argomentato (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 5 al secondo di pg. 6 della sentenza), pertanto insindacabile in sede di legittimità;
3. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 111 Cost., 115, 421 c.p.c., per ritenuta illegittimità del primo, terzo, quarto e quinto contratto a termine, tutti stipulati ai sensi dell’art. 23 I. 56/1987 (il primo e il terzo in base all’accordo 5 aprile 1997, il quarto e il quinto all’accordo 8 giugno 2000), per mancato rispetto della clausola cd. di contingentamento, sull’erroneo presupposto del difetto di una compiuta allegazione e di prova, nonostante la disponibilità della R. a fornire chiarimenti, la deduzione di un capitolo di prova non ammesso senza giustificazione, con lesione del diritto di difesa e di prova, violazione del principio del giusto processo e di non contestazione, per la generica opposizione della lavoratrice sul punto (secondo motivo);
4. esso è infondato;
4.1. in tema di clausola di contingentamento dei contratti di lavoro a termine regolati dall’art. 23 l. 56/1987, l’onere della prova dell’osservanza del rapporto percentuale, tra lavoratori stabili e a termine, previsto dalla contrattazione collettiva, da verificarsi necessariamente sulla base dell’indicazione del numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato, è a carico del datore di lavoro, sul quale incombe la dimostrazione, in forza dell’art. 3 l. 230/1962, dell’oggettiva esistenza delle condizioni che giustificano l’apposizione di un termine al contratto di lavoro (Cass. 17 marzo 2014, n. 6108; Cass. 10 marzo 2015, n. 4764; Cass. 17 aprile 2018, n. 9403; Cass. 21 novembre 2019, n. 30484);
4.2. nel caso di specie, la Corte capitolina ha correttamente applicato il suenunciato principio di diritto, avendo accertato il difetto di un’adeguata allegazione e parimenti di offerta di prova, non rimediabile dall’esercizio dei poteri officiosi del giudice (in assenza della condizione, in particolare, di opportuna integrazione di un quadro probatorio tempestivamente delineato dalle parti, solo per colmare eventuali lacune delle risultanze di causa, senza con ciò supplire ad una carenza probatoria totale sui fatti costitutivi della domanda: Cass. 11 marzo 2011, n. 5878; Cass. 27 ottobre 2020, n. 23605): ritenendole pertanto inidonee a consentire una compiuta verifica del dato percentuale, correttamente calcolato secondo i suddetti parametri interpretativi, con ragionamento congruamente argomentato (per le ragioni illustrate dal terzo capoverso di pg. 8 al terzo di pg. 9 della sentenza);
5. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’artt. 1, secondo comma, lett. b) l. 230/1962, per la legittimità del (secondo) contratto a termine, ai sensi della norma denunciata, esigente la sola specificità del programma, puntualmente indicato (“Rototre”), senza ulteriori connotati di straordinarietà né di atipicità, illustrata anche con la peculiare professionalità della lavoratrice per esso ingaggiata, documentata dal prodotto (e trascritto) curriculum (terzo motivo); violazione e falsa applicazione degli artt. 1 d.lg. 368/2001, 41 Cost., per la legittimità degli ultimi quattro contratti a termine stipulati (il 13 settembre 2004, il 24 ottobre 2005, il 3 ottobre 2006, il 29 agosto 2007) ai sensi della norma denunciata, alla sola condizione di specificazione delle ragioni giustificatrici per indicazione non solo diretta, ma anche indiretta e per relationem ad altri testi, puntualmente soddisfatta mediante il riferimento alla partecipazione della lavoratrice alla realizzazione di specifici programmi (rispettivamente: “B. 04/05”, “R.V.” e “R.V. sera”) ed alle mansioni da svolgere (quarto motivo);
6. la ribadita illegittimità dei contratti a tempo determinato scrutinati con il precedente mezzo (e in particolare del primo, per effetto della quale il rapporto di lavoro subordinato tra le parti si è convertito a tempo indeterminato fino dalla sua stipulazione del 30 settembre 1998) comporta l’assorbimento dei due motivi: secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, secondo cui, in presenza di una pluralità di contratti a tempo determinato, qualora il primo contratto della serie sia dichiarato illegittimo, con conseguente trasformazione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato, la stipulazione dei successivi contratti non incide sulla già intervenuta trasformazione del rapporto, salva la prova di una novazione ovvero di una risoluzione anche tacita del medesimo (circostanze nel caso di specie non ricorrenti): sicché, una volta accertata con sentenza passata in giudicato la sussistenza tra le parti di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, ogni successiva stipulazione di contratti a termine intervenuta medio tempore, così come il contenzioso giudiziale pendente relativo ad essi, non può incidere su detto accertamento (Cass. 9 marzo 2018, n. 5714; conff.: Cass. 21 marzo 2005, n. 6017; Cass. 17 gennaio 2014, n. 903; Cass. 8 settembre 2015, n. 17765);
6.1. in ogni caso, essi sono pure infondati:
a) il primo (id est: terzo motivo), perché, in tema di assunzione a termine di dipendenti R., l’art. 1, secondo comma, lett. e) I. 230/1962, come modificato dalla l. 266/1977, consente l’assunzione a termine di personale per più spettacoli o programmi radiofonici o televisivi, purché ricorrano una pluralità di requisiti, riferibili alla specificità e temporaneità dello spettacolo e dell’esigenza lavorativa, quali la durata limitata e la singolarità dell’evento, nell’ambito della complessiva programmazione, nonché il vincolo di necessità diretta tra il contributo professionale del lavoratore assunto e le caratteristiche del programma a cui ha collaborato (Cass. 1 febbraio 2016, n. 1841; Cass. 4 ottobre 2019, n. 24879); ed avendo la Corte territoriale esattamente applicato il suenunciato principio di diritto, con accertamento di merito in ordine alla concreta ricorrenza dei requisiti di legittimità dell’apposizione del termine (Cass. 4 ottobre 2019, n. 24879), insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente argomentato (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 9 al secondo di pg. 10 della sentenza);
b) il secondo (id est: quarto motivo), perché, in tema di assunzione a termine di dipendente R., il requisito di specificità della causale giustificativa previsto dall’art. 1, secondo comma d.lg. 368/2001, nel quadro normativo ratione temporis applicabile, non è soddisfatto dalla sola indicazione del programma e della stagione televisiva di adibizione del lavoratore poiché la realizzazione di programmi radiotelevisivi costituisce la normale attività imprenditoriale della datrice di lavoro (Cass. 10 novembre 2015, n. 22931; Cass. 16 agosto 2017, n 20113; Cass. 4 aprile 2019, n. 9474; Cass. 19 dicembre 2019, n. 34123); e parimenti il principio di diritto è stato esattamente applicato dalla Corte capitolina, con argomentazione congrua (per le ragioni esposte dall’ultimo capoverso di pg. 10 al primo di pg. 11 della sentenza);
7. la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c. e violazione e falsa applicazione degli artt. 24, 111 Cost., 115, 421 c.p.c., per omessa pronuncia, non giustificata, in ordine alla mancata ammissione di mezzi di prova orale (già non ammessi genericamente dal primo giudice) puntualmente indicati (e debitamente trascritti), finalizzati alla dimostrazione della specificità dei programmi da realizzare e dell’indisponibilità di personale di analoga professionalità della lavoratrice, con lesione dei propri diritti di difesa, alla prova e al giusto processo (quinto motivo);
8. esso è infondato;
8.1. è noto che il vizio di omessa pronuncia ricorra in assenza di qualsiasi decisione su un capo di domanda, per tale intendendosi ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica sulla quale debba essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (Cass. 16 maggio 2012, n. 7653; Cass. 27 novembre 2017, n. 28308; Cass. 16 luglio 2018, n. 18797): il che non si verifica certamente nel caso di specie, relativo a deduzione di mezzi di prova non ammessi, senza alcuna lesione dei principi denunciati come violati;
8.2. in realtà il mezzo esprime una contestazione della valutazione di merito della Corte territoriale, insindacabile in sede di legittimità, siccome congruamente argomentata per le ragioni già indicate;
9. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione delle norme sull’ordinamento della professione di giornalista (legge n. 69/1963) ed omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per l’erronea qualificazione dell’attività prestata dalla lavoratrice come giornalistica (nell’irrilevanza della sua iscrizione al relativo albo professionale), in quanto al di fuori di una testata, regolarmente registrata e con un Direttore responsabile, non rientrando i programmi per cui era stata assunta né strutturalmente né per assimilazione nell’organizzazione dei telegiornali o dei giornali radio, neppure avendo natura di informazione giornalistica, per composizione del gruppo di lavoro né per contenuto; neppure infine consistendo in un’espressione originale o in una rielaborazione critica del pensiero (sesto motivo);
10. anch’esso è infondato;
10.1. il profilo di vizio motivo per omesso esame nel caso di specie è inammissibile, essendo stato il capo di sentenza così impugnato oggetto di c.d. “doppia conforme”, ipotesi prevista dall’art. 348ter, quinto comma c.p.c., applicabile ratione temporis, per la quale il ricorrente in cassazione, al fine di evitare l’inammissibilità del motivo dedotto ai sensi del novellato art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrandone la diversità tra loro (Cass. 22 dicembre 2016, n. 26774; Cass. 6 agosto 2019, n. 20994): ciò che la ricorrente non ha fatto;
10.2. quanto alla violazione di norme di diritto, occorre ribadire che le prestazioni lavorative dei dipendenti R. possono essere ritenute di natura giornalistica ove siano accertati i requisiti dell’autonoma elaborazione delle notizie, con valutazione della loro rilevanza in relazione ai destinatari e della predisposizione di un messaggio comunicativo contraddistinto da apporto creativo, ben potendo l’attività giornalistica radiotelevisiva rientrare anche in programmi di intrattenimento o di svago, purché a contenuto propriamente informativo, mentre non assume rilievo, a tali fini, sia la legge 69/1963 sull’ordinamento della professione di giornalista (che presuppone soltanto, ma non definisce l’attività giornalistica: Cass. 29 agosto 2011, n. 17723), sia la struttura aziendale dell’ente di prestazione della sua attività, atteso che quello che conta è il peculiare carattere informativo delle mansioni svolte (Cass. 27 giugno 2013, n. 16229; Cass. 16 dicembre 2013, n. 28035; Cass. 19 gennaio 2016, n. 830); sicché, l’attività giornalistica radio televisiva non può iscriversi, in maniera riduttiva, soltanto nell’ambito dei radio o telegiornali o nelle testate tipicamente giornalistiche e di informazione (come ultimamente ribadito da Cass. 29 novembre 2018, n. 30915);
10.3. la Corte capitolina ha esattamente applicato i principi di diritto enunciati, con un accertamento in fatto congruamente argomentato (per le ragioni dal terzultimo capoverso di pg. 11 al primo periodo di pg. 14 della sentenza), insindacabile in sede di legittimità, nella cui contestazione sostanzialmente si risolve la censura;
11. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c., per erronea esclusione della decorrenza della prescrizione quinquennale, per i compensi periodici ad anno o a termine inferiore nella cessazione, in corso di rapporto per il metus del lavoratore in assenza di stabilizzazione del rapporto, inconfigurabile nella successione di plurimi contratti a tempo determinato tra le stesse parti (settimo motivo);
12. anch’esso è infondato;
12.1. secondo indirizzo consolidato di questa Corte, meritevole di continuità in quanto condiviso, nel caso di una serie di contratti di lavoro a tempo determinato, dei quali sia accertata l’illegittimità (in particolare per stipulazione in frode alla legge ai sensi dell’art. 2, secondo comma, ultima parte l. 230/1962), con la loro conseguente conversione in unico contratto a tempo indeterminato, la prescrizione dei crediti da esso derivanti non decorre in costanza di tale rapporto, anche se soggetto alla garanzia della stabilità reale; ai fini del decorso della prescrizione durante il rapporto di lavoro deve, infatti, essere considerata la situazione psicologica del lavoratore relativa al timore del licenziamento, da valutare non in base alla successiva declaratoria con effetto retroattivo di conversione dei rapporti in unico rapporto a tempo indeterminato, ma con riferimento alla serie di contratti a termine, durante la quale il lavoratore non ha mai la certezza della continuazione della serie stessa e si trova quindi nella situazione di metus nei confronti del datore di lavoro tipica dei rapporti senza stabilità (Cass. 19 aprile 1991, n. 4220; Cass. 13 agosto 1997, n. 7565; Cass. 3 ottobre 2000, n. 13122; Cass. 17 marzo 2001, n. 3869; Cass. 7 settembre 2012, n. 14996);
12.2. da ultimo, questa Corte ha ulteriormente esplicitato come, in tale ipotesi, la prescrizione dei crediti derivanti dal rapporto non decorra dalla scadenza dei singoli contratti a termine ma resti sospesa sino alla cessazione del rapporto lavorativo, non rilevando che a seguito della conversione il rapporto medesimo risulti assistito dalla garanzia della stabilità reale (Cass. 7 giugno 2018, n. 14827). Con tale pronuncia, essa ha ben chiarito come il principio di diritto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 575 del 2003 (poi ribadito da Cass. n. 19351/2003, Cass. n. 6322/2004 e da Cass. n. 22146/2014) sia riferito a fattispecie non assimilabili a quella oggetto di causa perché in quei casi venivano in rilievo più contratti di lavoro a termine “ciascuno dei quali legittimo ed efficace”.
Si è osservato, in particolare, che il metus presuppone l’esistenza di un rapporto a tempo indeterminato nel quale non sia prevista alcuna garanzia di continuità. Invece, nel contratto a termine legittimamente stipulato, poiché il lavoratore ha solo diritto a che il rapporto venga mantenuto in vita sino alla scadenza concordata e l’eventuale risoluzione ante tempus non fa venir meno alcuno dei diritti derivanti dal contratto, non è configurabile quel metus costituente ragione giustificatrice della regolamentazione della prescrizione nel rapporto a tempo indeterminato non assistito dal regime di stabilità reale. Peraltro, le Sezioni Unite hanno precisato in motivazione che il principio affermato non opera invece nei casi di successione di contratti a termine stipulati in frode alla legge o in violazione dei limiti posti dalla legge n. 230/1962 perché in detta diversa fattispecie si opera una conversione dei diversi contratti in un unico rapporto a tempo indeterminato e, quindi, “seppure per una fictio iuris, si presentano tutti i presupposti (esistenza di un unico rapporto lavorativo a tempo indeterminato e metus) che portano ad escludere … la decorrenza della prescrizione sino alla cessazione del rapporto lavorativo; momento che funge da dies a quo per la decorrenza dei termine prescrizionale potendo il lavoratore da detto momento fare valere ex art. 2935 c.c. (anche previo accertamento incidentale dell’unicità del rapporto lavorativo attraverso la conversione dei contratti a termine) i propri diritti senza alcun condizionamento psicologico.
13. la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, per mancata esclusione dal conteggio riconosciuto dalla Corte d’appello in funzione della liquidazione delle differenze retributive spettanti alla lavoratrice di plurime voci, come evidenziato “nelle note difensive di primo grado” (in riferimento particolare a: importo retributivo di settembre 1998, di aprile 2000, minimi» anno 2006 e primi quattro mesi 2007, lavoro notturno, giornate festive e domenicali, premio di risultato, rateo di tredicesima, indicazione del percepito in tutti gli anni specificamente indicati), in difetto di prova della loro spettanza o per non correttezza del conteggio (ottavo motivo);
14. esso è inammissibile;
14.1. non si configura l’omissione di esame di fatti, per carenza del carattere della decisività proprio per la deduzione della loro pluralità, che esclude ex se la portata risolutiva di ciascuno (Cass. 5 luglio 2016, n. 13676; Cass. 28 maggio 2018, n. 13625), così collocandosi il vizio denunciato al di fuori del più circoscritto ambito devolutivo del nuovo art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c.;
14.2. inoltre, esso non è formulato secondo il paradigma deduttivo stabilito dalla suddetta norma in riferimento specifico al “quando” (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 26 giugno 2015, n. 13189; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439; Cass. 12 ottobre 2017, n. 23940), non avendo la ricorrente indicato la reiterazione delle circostanze anche in grado di appello;
14.2. in ogni caso, la censura non è dedotta in modo pertinente, relativamente alle doglianze di carenza di prova di spettanza di emolumenti compresi nel conteggio e di erroneità nella composizione e nel computo relativi;
15. la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 13 (ex 12) dell’accordo integrativo R.-USIGR., per la riconosciuta indennità di ferie non godute (liquidata nel complessivo importo di € 21.389,15), contestata “sia nel ricorso in appello sia nelle successive note difensive del 18.2.2016”, in quanto non spettante, dovendo le ferie essere fruite e non sostituite dal relativo trattamento economico, a norma della disposizione contrattuale denunciata (nono motivo);
16. anch’esso è inammissibile;
16.1. il motivo difetta di specificità, in violazione del principio prescritto dall’art. 366, primo comma, n. 4 e n. 6 c.p.c., per la duplice mancata trascrizione dell’atto nella quale sarebbe contenuta la censura esclusa dalla Corte territoriale (“Spetta … la indennità sostitutiva … come ritenuto in sentenza, senza specifica censura così ai primi due alinea del secondo capoverso di pg. 15 della sentenza) e del testo della norma denunciata dell’accordo integrativo, neppure essendo di questo indicata la sede di produzione (Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; Cass. 27 luglio 2017, n. 18679);
17. infine, la ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, puntualmente evidenziato nelle memorie difensive del 18 febbraio 2016 né contestato, in riferimento alle somme già corrisposte alla lavoratrice con la busta paga del mese di maggio 2011, pari a € 98.584,20 al lordo, per il periodo dal 23 novembre 2002 al 31 marzo 2008, in esecuzione della sentenza del Tribunale di Roma 5 gennaio 2010, n. 20205, pertanto da detrarre dall’importo liquidato (decimo motivo);
18. esso è fondato;
18.1. non vi è, infatti, contestazione in ordine all’avvenuta corresponsione dalla società datrice alla lavoratrice delle somme dovutele in esecuzione della sentenza di primo grado, oggetto della “distinta competenze” del mese di aprile 2011 (trascritta a pgg. 69 e 70 del ricorso); anzi, la percezione della somma è esplicitamente ammessa, come risulta dalla richiesta dei suoi difensori “ben prima della notifica del ricorso avversario cui ora si replica” di “pagamento delle sole differenze tra quanto indicato in detta sentenza” (di appello) “e quanto aveva costituito oggetto di pagamento a seguito della sentenza di primo grado” (così al primo capoverso di pg. 29 del controricorso): ciò risultando “dalla lettera in data 21.3.2016 … inviata via mail all’Avv. S.T. dello Studio dell’Avv. R.S.” (così al secondo capoverso di pg. 29 del controricorso), recante appunto la richiesta degli importi relativi alla sentenza di primo grado (voci sub a, b, c) indicati alla stregua di “differenze tra dovuto e corrisposto in virtù della sentenza di I grado” (come da lettera trascritta a pg. 37 del controricorso);
19. per le suesposte ragioni il decimo motivo deve essere accolto, rigettati gli altri, con la cassazione della sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvio, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione;
P.Q.M.
Accoglie il decimo motivo, rigettati gli altri; cassa la sentenza, in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione.
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