CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 ottobre 2021, n. 27634
Tributi – TARSU e TIA – Accertamento – Omessa denuncia e omesso versamento – Sanzioni – Legittimità. – Spese processuali – Condanna al pagamento in favore del comune rappresentato da un proprio funzionario – Legittimità
Rilevato che
4 C. s.a.s. di A.F. & C. propone ricorso, affidato a tre motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la Commissione Tributaria Regionale della Basilicata aveva respinto l’appello avverso la sentenza n. 252/2016 della Commissione Tributaria Provinciale di Matera in rigetto del ricorso avverso avviso di accertamento per il recupero imposta TARSU e TIA dovuta al Comune di Scanzano Ionico, annualità 2011-2013;
il Comune resiste con controricorso
Considerato che
1.1. con il primo mezzo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 59 D.Lgs. n. 507/1993, oltre che omesso esame di fatto decisivo per il giudizio, lamentando che la Commissione Tributaria Regionale abbia confermato il rigetto del proposto ricorso senza valutare le risultanze documentali relative alle prodotte fotografie e dichiarazioni di terzi, asseritamente attestanti che nelle annualità in contestazione il servizio di raccolta dei rifiuti solidi urbani non era stato effettuato;
1.2. con il secondo mezzo la ricorrente denuncia ulteriore violazione dell’art. 115 c.p.c. per errata valutazione delle prove relative alla documentazione in atti asseritamente attestanti che il Comune aveva applicato la sanzione per omessa denuncia pur avendo a disposizione gli elementi documentali per i quali era stata contestata l’omessa denuncia;
1.3. con il terzo motivo la ricorrente denuncia violazione dell’art. 91 c.p.c. lamentando la condanna alle spese di lite in favore del Comune sebbene quest’ultimo fosse rappresentato in giudizio da un funzionario amministrativo;
2.1. le censure vanno disattese;
2.2. quanto al primo motivo, la censura è inammissibile per difetto di specificità del ricorso in cassazione, imposto dall’art. 366 c.p.c., nella parte in cui lamenta il mancato esame delle prodotte fotografie, neppure allegate al ricorso né in esso riprodotte o illustrate quanto al loro contenuto;
2.3. va poi ribadito che in tema di processo tributario, al contribuente, oltre che all’Amministrazione finanziaria, è riconosciuta – in attuazione del principio del giusto processo di cui all’art. 6 CEDU, a garanzia della parità delle armi e dell’attuazione del diritto di difesa – la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale aventi, anche per il contribuente, il valore probatorio proprio degli elementi indiziari e che come tali devono essere valutate dal giudice – non potendo costituire da sole il fondamento della decisione – nel contesto probatorio emergente dagli atti e devono pertanto essere necessariamente supportate da riscontri oggettivi (cfr. Cass. nn. 9903/2020, 20028/2011, 5957/2003, 903/2002);
2.3. ne consegue che nel caso di specie le doglianze della contribuente non potevano essere fondate esclusivamente sulle dichiarazioni rese da terzi, peraltro neppure indicati nel ricorso, in assenza di altri elementi probatori che non risultano ritualmente indicati ed illustrati nel presente giudizio, come dianzi illustrato;
2.4. va parimenti disatteso il secondo motivo atteso che, come correttamente rilevato dalla Commissione Tributaria Regionale, non vi è prova che la contribuente abbia ritualmente presentato la presentazione della denuncia prevista ai sensi dell’art. 70 del d.lgs. n. 507 del 1993, ed inoltre, trattandosi di un obbligo formale presidiato da sanzione, in quanto volto a consentire un immediato ed agevole riscontro della natura e dei tempi delle registrazioni, non può essere adempiuto con modalità diverse, soggettivamente ritenute equivalenti dal contribuente;
2.5. è parimenti infondata anche la terza censura, ritenendo il Collegio di dover dare continuità ai principi di diritto da ultimo affermati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. nn. 20590/2021 non mass., 4473/2021);
2.6. l’art. 15 co. 2 bis del D.lgs. n. 546/1992, vigente ratione temporis (in forza delle modifiche apportate dal d.l. 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge 24.3.2012 n. 27), dispone, infatti, che, nel caso in cui la parte pubblica, risultata vittoriosa, sia stata assistita da un proprio funzionario o da un proprio dipendente, si applica per la liquidazione il <<compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo, ivi previsto>>, prevedendo espressamente, pertanto, la liquidazione dei compensi per l’attività difensiva svolta in giudizio (cfr. da ultimo Cass. n. 23055/2019);
2.7. a tale citato orientamento questa Corte intende dare continuità, non tralasciando che, di recente, è intervenuto un diverso orientamento giurisprudenziale sul punto;
2.8. con ordinanza n. 27444/2020, infatti, questa Corte, eliminando la statuizione di condanna alle spese processuali, pronunciata dal giudice di merito nei confronti del contribuente, preso atto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio senza il ministero del difensore, ha escluso che la parte privata potesse essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari;
2.9. la citata ordinanza, ha escluso, in radice la riconoscibilità dei compensi, per il solo fatto che l’Agenzia delle Entrate era stata in giudizio <<senza il ministero di difensore>> dovendo conseguentemente <<escludersi che la parte privata possa essere condannata al pagamento delle spese processuali sostenute dall’Ufficio per diritti e onorari>> e tale argomentazione è stata supportata anche dal riferimento alla sentenza n.8413/2016 di questa Corte, con cui si erano ritenuti liquidabili a favore dell’autorità amministrativa <<le spese, diverse da quelle generali, che abbia concretamente affrontato in quel giudizio e purché risultino da apposita nota>>, si riferiva all’ipotesi in cui l’autorità amministrativa <<sta in giudizio personalmente o avvalendosi di un funzionario appositamente delegato (il che è consentito dall’art. 23, 5° cc. l. n. 689/1981)>>, mediante richiamo di due decisioni della S.C. la n. 11389/2011 e la n. 18066/2007;
2.10. entrambe le decisioni citate non riguardano, tuttavia, la materia tributaria, in quanto nella prima (n. 11389/2011) si verte in materia di opposizione a sanzione amministrativa (con cognizione del Giudice di Pace) per una opposizione ad <<un verbale-avviso di accertamento>> emesso dal Comune di Roma, in seguito ad una violazione del Codice della Strada, mentre nel secondo caso (n. 18066/2007), si tratta di opposizione, proposta innanzi al Tribunale ordinario, avverso ordinanza ingiunzione, emessa da Azienda Sanitaria, per violazione della normativa prevista in materia di macellazione di bovini, ed anche in quest’ultimo procedimento, invero, questa Corte richiamava espressamente la normativa stabilita <<nel procedimento oppositivo di cui alla L. n. 689 del 1981, ove l’amministrazione opposta si sia avvalsa della facoltà di resistere in giudizio “personalmente”, costituendosi a mezzo di un proprio funzionario, come previsto dall’art. 23, comma 4″, riconoscendo come rimborsabili, “ex art. 91 c.p.c., solo gli esborsi concretamente sostenute le spese cd. “generali” o “vive”, ove documentati e richiesti>>;
2.11. la normativa tributaria si fonda, tuttavia, su una diversa e più specifica disciplina, in quanto l’art. 15 d.lgs. 546/92, ha, sempre, normativamente previsto la ripetibilità di dette spese, nell’ipotesi in cui l’attività difensiva sia stata svolta da funzionari dell’amministrazione finanziaria o da dipendenti di enti locali, con alcune varianti attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi;
2.12. va qui precisato, quindi, che il tema della condanna alle spese è stata, nel tempo, specificamente affrontata con vari interventi legislativi;
2.13. il decreto-legge 8 agosto 1996, n. 437, coordinato con la legge di conversione 24 ottobre 1996, n. 556, prevedeva all’Art. 12. (Modifiche alla disciplina sul processo tributario) comma 1 lett. b) quanto segue: <<Nella liquidazione delle spese a favore dell’ufficio del Ministero delle finanze, se assistito da funzionari dell’amministrazione, e a favore dell’ente locale, se assistito da propri dipendenti, si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza>>;
2.14. con successiva modifica, a far data dal 1.1.2013, in forza della legge 24 dicembre 2012, n. 228, all’art. 1 comma 32, la disposizione veniva così precisata: <<Nell’articolo 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n.546, al comma 2-bis le parole: «si applica la tariffa vigente per gli avvocati e procuratori, con la riduzione del venti per cento degli onorari di avvocato ivi previsti» sono sostituite dalle seguenti: «si applica il decreto previsto dall’articolo 9, comma 2, del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti percento dell’importo complessivo ivi previsto»;
2.15. infine, con la disposizione attualmente vigente, di cui al d.lgs. 24 settembre 2015, n. 156, Misure per la revisione della disciplina degli interpelli e del contenzioso tributario, con decorrenza 01/01/2016, all’art. 9 comma 1 lett. f) n. 2-sexies, attualmente in vigore, si prevede che <<nella liquidazione delle spese a favore dell’ente impositore, dell’agente della riscossione e dei soggetti iscritti nell’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, se assistiti da propri funzionari, si applicano le disposizioni per la liquidazione del compenso spettante agli avvocati, con la riduzione del venti per cento dell’importo complessivo ivi previsto. La riscossione avviene mediante iscrizione a ruolo a titolo definitivo dopo il passaggio in giudicato della sentenza>>;
2.16. pur con alcune varianti, attinenti, tuttavia (nelle varie novelle succedutesi), alle modalità di determinazione dei compensi, il principio della ripetibilità delle spese, in caso di contenzioso con enti, assistiti da propri funzionari, è stato sempre confermato, e per completezza, non va omesso che del tema è stata investita anche la Corte Costituzionale (ord. 8/10/2010, n. 292), che, tuttavia, non ha esaminato la questione nel merito, avendo ritenuto il quesito proposto manifestamente inammissibile per carenza di chiarezza motivazionale nell’ordinanza di rimessione;
2.17. considerato che in tutte le disposizioni che si sono succedute, pur mantenendo costante il parametro del compenso spettante agli avvocati, si sia stabilito che il compenso debba essere riconosciuto, è evidente che, in materia tributaria, il processo ha una sua autonomia, non solo per specifiche disposizioni normative, ma anche, evidentemente, per la gestione del processo stesso, che, al di là di quello che avviene nel contesto di altri procedimenti, richiede una particolare competenza nella trattazione, sia che ci si trovi in presenza di difesa tecnica, sia che questa difesa, sulla base delle stesse norme procedurali, sia svolta da un funzionario o dipendente all’uopo delegato;
2.18. sotto altro profilo, va evidenziato come la Corte Costituzionale, con ordinanza n. 117 del 1999, investita, tra l’altro, del tema della disparità di trattamento tra la normativa di cui all’art. 23 legge n. 689/81 (modifiche al sistema penale) e dell’art. 91 c.p.c., in ragione dell’inoperatività dell’onere delle spese processuali a carico del soccombente, abbia ritenuto la manifesta infondatezza della questione, in ragione del riconoscimento al legislatore della più ampia discrezionalità nel dettare le norme processuali, con il solo limite della non irrazionale predisposizione degli strumenti di tutela, ed in particolare, la Corte ha affermato che: a) l’istituto della condanna del soccombente al pagamento delle spese di giudizio, pur avendo carattere generale, non ha portata assoluta ed inderogabile; che b) il regolamento delle spese processuali non incide sulla tutela giurisdizionale del diritto di chi agisce o si difende in giudizio; che, infine, c) un modello processuale non necessariamente deve costituire un parametro per un rito diverso, essendo giustificata la non simmetrica costruzione delle norme processuali in tema di spese di lite, allorquando esse si sostanzino in strumenti processuali ricollegati a differenti sistemi, in sé compiuti ed affatto autonomi, diretti a regolare materie non omogenee;
2.19. in tal senso, la Corte ha fatto esplicito riferimento al processo tributario (art. 15 d.lgs n. 546/1992), indicandolo come riferimento inidoneo per ritenere sussistente la violazione del principio di uguaglianza tra le norme citate;
2.20. da quanto argomentato, si ritiene possa ritenersi la particolarità normativa prevista in materia di spese e compensi processuali nell’ambito del processo tributario, che, come visto, è stata mantenuta costante nel tempo e che impedisce di decidere in senso difforme, in violazione di una volontà chiaramente espressa dal legislatore, e si deve, quindi, anche in questa sede, in aderenza al dettato normativo, riconoscere come corretta la condanna alle spese in favore dell’amministrazione;
3. sulla scorta di quanto precede, il ricorso va pertanto respinto, assorbita ogni altra questione;
4. le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la società contribuente al pagamento delle spese di questo giudizio in favore del Comune controricorrente che liquida in Euro 1.200,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge, se dovuti.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma del comma 1-bis dello stesso art.13, ove dovuto.