CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2018, n. 22094
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Notifica dell’appello a mezzo posta – Termine di impugnazione – Prova – Distinta/elenco raccomandate priva del timbro dell’ufficio postale accettante – Esclusione – Avviso di ricevimento con data il giorno successivo alla scadenza – Presunzione di spedizione nei termini – Esclusione – Inammissibilità del ricorso
Rilevato che
1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui replicano gli intimati con controricorso, avverso la sentenza in epigrafe indicata con cui la Commissione Tributaria Regionale della Sicilia, rilevato l’omesso deposito da parte dell’amministrazione finanziaria della ricevuta postale di spedizione dell’atto di appello, dichiarava, ai sensi degli artt. 53, comma 2, e 22 d.lgs. n. 546 del 1992, l’inammissibilità dell’impugnazione proposta dall’Ufficio finanziario avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Catania che aveva accolto il ricorso proposto dal de cuius degli odierni intimati avverso un avviso di liquidazione di una maggiore imposta di registro su un atto di trasferimento di un appezzamento di terreno.
2. Sulla proposta avanzata dal relatore ai sensi del novellato art. 380 bis cod. proc. civ. risulta regolarmente costituito il contraddittorio.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione degli artt. 22, comma 1, e 53 d.lgs. n. 546 del 1992, in combinato disposto dagli artt. 2699, 2700 e 2727 cod. civ.. Sostiene la ricorrente che nella specie, a consentire di superare la prova di resistenza evocata dal Supremo consesso di questa Corte nelle sentenze n. 13452 e n. 13453 del 2017, sarebbe sufficiente la distinta/elenco delle raccomandate postali prodotta in giudizio e riprodotta fotograficamente nel ricorso, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, da cui risulta che la raccomandata postale riferita al ricorso in appello era stata presentata all’ufficio postale per la spedizione in data 21/02/2012 e, quindi tempestivamente rispetto alla scadenza del termine di cui all’art. 327 cod. proc. civ., vigente ratione temporis (di un anno oltre quarantasei giorni di sospensione per il periodo feriale), per impugnare la sentenza di primo grado (pubblicata in data 07/01/2011 e non notificata), che andava a scadere il 22/02/2012.
2. Il motivo è infondato in quanto la distinta delle raccomandate prodotta dall’Agenzia delle Entrate non è utile a superare la predetta prova di resistenza, mancando sulla stessa il timbro dell’ufficio postale accettante (Cass. n. 22878 del 2017, Cass. n. 7312 del 2016 e n. 24568 del 2014).
3. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 22, comma 1, e 53 d.lgs. n. 546 del 1992, sostenendo che dall’avviso di ricevimento della raccomandata postale risulta che il plico è stato ricevuto dal destinatario dell’atto in data 23/02/2012 «e quindi il giorno successivo alla scadenza dell’appello».
4. Il motivo è palesemente infondato in quanto il termine per impugnare scadeva il 22/02/2012, come peraltro ammesso dalla stessa ricorrente a pag. 3 del ricorso e poi contraddittoriamente negato a pag. 11, nell’esposizione del motivo in esame.
5. Con il terzo motivo la ricorrente deduce la violazione dell’art. 2727 cod. civ. sostenendo che la CTR avrebbe dovuto desumere dal fatto che l’atto era stato ricevuto dal destinatario in data 23/02/2012, che lo stesso era stato spedito in tempo utile (ovvero il 21 o 22/02/2012).
6. Il motivo è palesemente infondato in quanto la data di spedizione del piego raccomandato deve essere fornita mediante prova documentale dell’avvenuta esecuzione delle formalità presso l’ufficio postale (Cass. n. 3811 del 2014) e non mediante presunzioni, come invece pretende la ricorrente.
7. Conclusivamente, quindi, il ricorso va rigettato e la ricorrente, rimasta soccombente, condannata al pagamento in favore dei controricorrenti delle spese del presente giudizio di legittimità nella misura liquidata in dispositivo. Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13, comma 1 – quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.800,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso delle spese forfetarie nella misura del 15 per cento dei compensi ed agli accessori di legge.
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