CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18867
Tributi – Accertamento – Emissione fatture per operazioni oggettivamente inesistenti – Sanzioni – Concorso di violazioni e continuazione – Art. 12, co. 5, d.lgs. n. 472 del 1997 – Applicazione – Condizioni
Rilevato che
La controversia concerne l’impugnazione, da parte di H.C. Srl in liquidazione (in seguito “HC”), con distinti ricorsi, di due avvisi di accertamento, relativi alle annualità 2004 e 2005, che recuperavano a tassazione IRES, IRAP, IVA, applicando le connesse sanzioni accessori, costi indeducibili per fatture oggettivamente inesistenti, emesse, nei confronti della contribuente, da M. Srl (per “prestazioni di consulenza e direzione lavori vostri cantieri”) e da Idrakos Srl (per “realizzazione progetto e modifiche vostra proprietà La Salle (Aosta) e Vicenza competenze primo anno”), nonché l’IVA indebitamente detratta, sempre per l’oggettiva inesistenza dell’operazione, in relazione alle fatture (attive) emesse (nel 2004) dalla contribuente nei confronti di T.S. Srl (concernenti “attività prestata nell’acquisto immobili in Sassuolo, via Ancora”);
la CTP di Milano, con le sentenze 128 e 129/0812, rigettò i ricorsi; interposti separati appelli dalla contribuente, la CTR lombarda, riuniti i giudizi, con la sentenza indicata in epigrafe ha confermato le pronunce di primo grado, con riferimento ai recuperi fiscali riguardanti l’IVA indebitamente detratta sulle dette fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti; ancora, ha dichiarato inammissibile il motivo d’appello che denunciava l’illegittimità dell’irrogazione delle sanzioni, per mancata applicazione della continuazione, di cui all’art. 12, comma 5, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, trattandosi di eccezione nuova, improponibile ai sensi dell’art. 57, comma 2, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546;
infine, la commissione ha parzialmente accolto l’appello rilevando che:
«HC in primo grado aveva dedotto l’eccezione di illegittimità della ricostruzione del reddito imponibile ai fini Ires e della base imponibile ai fini Irap, su cui la CTP non si era pronunciata, ed in questo grado insiste su tale eccezione, anche alla luce della novella legislativa di cui all’art. 8, comma 2, del d.l. n. 16/12, pretendendo però di estenderla anche all’IVA (motivo questo inammissibile oltre che infondato in quanto la nuova disciplina si applica solo alle imposte dirette e all’Irap). Il motivo va accolito nei limiti riconosciuti dovuti dall’Agenzia. Pertanto, sottraendo dal reddito imponibile e dalla base imponibile Irap l’importo dei componenti positivi di euro 504.230,00 afferenti ai costi relativi alle fatture fittizie emesse da HC e contabilizzate da T.S., il relativo saldo risulta negativo per cui non sono più dovuti l’Ires di euro 163.350,00 e l’Irap di euro 21.356,00 chiesti con l’avviso di accertamento per l’anno 2004 nonché le relative sanzioni. In applicazione dello stesso disposto di cui all’art. 8, co. 2, citato è dovuta una nuova sanzione amministrativa che va “dal 25% al 50% dell’ammontare delle spese o di altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati”. E, per l’effetto, è dovuta una nuova sanzione di euro 126.057,00 pari al 25% di euro 504.230,00.» (pag. 4 della sentenza impugnata);
in definitiva, la CTR ha così statuito (ibidem, pag. 4): «accoglie parzialmente l’appello RG n. 6698/12 nei limiti e in ragione di quanto specificato in motivazione e respinge l’appello RG n. 6699/12 […]»;
la contribuente ricorre per la cassazione, sulla base di due motivi, illustrati con una memoria; l’Agenzia resiste con controricorso;
Considerato che
Preliminarmente va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione contro il Ministero dell’economia e delle finanze (indicato, nell’epigrafe del ricorso, come Amministrazione dell’Economia e delle Finanze dello Stato) per difetto di legittimazione processuale e perché estraneo ai gradi di merito del giudizio (cfr., ex multis, Cass. n. 19111 del 2016, n. 22992 del 2010, n. 9004 del 2007, nonché Cass. sez. un. n. 3118 del 2006; n. 3116 del 2006; n. 20781 del 2016);
nulla va statuito sulle spese processuali in quanto la parte intimata non si è costituita in giudizio;
con il primo motivo del ricorso, denunciando: «1) Violazione e falsa applicazione degli articoli 19 e 21 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 nonché 2967 e 2700 del codice civile. Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360, n. 3 e n. 5, codice procedura civile).», la ricorrente assume di avere sempre contestato la legittimità del rilievo dell’indebita detrazione dell’IVA per operazioni asseritamente inesistenti e, al riguardo, rimarca che la Cassazione e la Corte di giustizia hanno enunciato il principio di diritto per il quale spetta all’Amministrazione dimostrare gli elementi oggettivi che consentono di ritenere che il soggetto passivo conosceva o avrebbe dovuto conoscere il carattere fraudolento dell’operazione;
sostiene, infine, che lo stesso principio è «mancato nel caso di specie»; il motivo è inammissibile;
il giudizio di cassazione è a critica vincolata, delimitato e vincolato dai motivi di ricorso, che assumono una funzione identificativa condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito;
ne consegue che il motivo del ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassatività e della specificità e esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato rientri nelle categorie logiche previste dall’art. 360 cod. proc. civ.;
nella specie, il motivo del ricorso, sussunto, contemporaneamente, nei diversi paradigmi della violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.), e dell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio (ibidem n. 5), contiene – in sostanza – una critica del tutto generica e indefinita;
sicché è demandato, in modo non consentito, a questa Corte il compito di sostituirsi alla ricorrente e di enucleare, dall’insieme indistinto della doglianza, appena abbozzata, autonomi profili di censura (Cass. 18/04/2018, n. 9486);
a ciò si aggiunga che, per il costante orientamento di questa Corte, riaffermato anche di recente (Cass. 13/01/2017, n. 743; 14/12/2018, n. 32436; 14/12/2018, n. 32437): «Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse» (Cass. 22/12/2016, n. 26774; in senso conforme: Cass. sez. un. 21/09/2018, n. 22430);
nel caso in esame, posto che il giudizio d’appello è iniziato con atto depositato nel dicembre 2012 censura ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., come suaccennato neppure esplicitata in ricorso, è inammissibile anche perché le decisioni dei gradi di merito, nella parte che tuttora interessa per essere l’unico oggetto di questo ricorso (indetraibilità dell’IVA relativa a fatture emesse per operazioni oggettivamente inesistenti), tutte di rigetto (c.d. “doppia conforme”), si fondano sulle medesime ragioni di fatto e, del resto, la ricorrente non ha nemmeno sostenuto il contrario;
sotto altro aspetto infine, la censura è formulata come se la contestazione dell’Amministrazione finanziaria e la relativa decisione favorevole all’Agenzia riguardassero fatture soggettivamente inesistenti, laddove è chiaro che la fattispecie inerisce a fatture oggettivamente inesistenti;
con il secondo motivo, denunciando: «2) Violazione e falsa applicazione degli articoli 57 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 e 12, quinto comma, del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 (art. 360, n. 3, codice di procedura civile).», la ricorrente censura la sentenza impugnata per avere dichiarato inammissibile il motivo d’appello relativo all’illegittima irrogazione delle sanzioni, senza applicazione dell’istituto della continuazione, ai sensi dell’art. 12, comma 5, cit., in ragione della novità della doglianza, proposta per la prima volta in appello, e assume che, in realtà, già nel ricorso introduttivo del giudizio, relativo all’annualità 2005, aveva fatto valere la mancata applicazione dell’istituto del concorso di violazioni e continuazione (ex art. 12, cit.);
il motivo è fondato;
in tema di sanzioni amministrative per la violazione di norme tributarie, l’applicazione del regime del cumulo giuridico delle sanzioni, previsto dall’art. 12, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, può essere richiesta soltanto nell’ambito di un “iter” processuale corretto, che, per quanto attiene al giudizio di legittimità, presuppone la formulazione della richiesta nel giudizio di merito, affinché essa possa essere riproposta, se rigettata o non valutata, nel giudizio di cassazione (Cass. 16/12/2014, n. n. 26457; Conf.: n. 28354/2005, n. 17134/2018);
la ricorrente, per soddisfare il canone dell’autosufficienza, riportando (nel § 9 del ricorso per cassazione) il relativo passo del ricorso introduttivo del giudizio, ha dimostrato di avere lamentato l’omessa applicazione, da parte dell’ufficio, della continuazione per la determinazione della sanzione per violazioni della stessa indole, commesse in periodi d’imposta diversi; inoltre, tale circostanza è stata riconosciuta dall’Agenzia nel controricorso (pag. 12 del controricorso);
la CTR, pertanto, ha errato nel dichiarare inammissibile il motivo d’appello, a causa della novità della censura, ai sensi dell’art. 57, comma 2, proc. trib., con la precisazione che, nel giudizio di rinvio, si dovrà tenere conto che, in base all’art. 12, comma 7, la sanzione, determinata secondo le disposizioni del medesimo articolo, non può essere superiore a quella risultante dal cumulo della sanzioni previste per le singole violazioni;
ne consegue che, accolto il primo motivo del ricorso e rigettato il secondo motivo, la sentenza è cassata, in relazione al motivo accolto, con rinvio alla CTR della Lombardia, in diversa composizione, alla quale è demandato di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso per cassazione contro il Ministero dell’economia e delle finanze; accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il primo motivo, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, alla quale demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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