CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 11 settembre 2020, n. 18959
Inefficacia del distacco – Violazione delle condizioni di liceità – Costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato – Interesse del distaccante – Utilità occasionata dalla temporanea crisi produttiva, di non disperdere il patrimonio professionale di impresa – Complesso delle competenze di ciascun dipendente – Prova a carico del datore di lavoro – Mansioni assegnate, diverse da quelle espletate presso il distaccante, indice sintomatico del perseguito incremento della polivalenza professionale
Rilevato che
1. La Corte di appello di Campobasso, con la sentenza n. 646 del 2015, in riforma della pronuncia emessa dal Tribunale di Larino, ha respinto la domanda proposta da B.M., dipendente della S. spa presso lo stabilimento di A., nei confronti di F.P.T. spa, al fine di sentire dichiarare l’inefficacia del distacco disposto nei suoi confronti dal 20.5.2009 al 20.2.2010 in quanto posto in essere in frode alla legge e, comunque, in violazione delle condizioni di liceità di cui all’art. 30 del D.lgs. n. 276 del 2003, con condanna della suddetta F.P.T. spa alla costituzione di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e con riconoscimento di ogni consequenziale effetto retributivo, di inquadramento e riparametrazione di ciascun istituto contrattuale conformemente a tale rapporto di lavoro.
2. La Corte territoriale, dopo avere illustrato i presupposti ed i requisiti dell’istituto del distacco ex art. 30 del D.lgs. n. 276 del 2003, ha ritenuto che, nella fattispecie in esame, era ravvisabile l’interesse del distaccante consistito nella utilità, occasionata dalla temporanea crisi produttiva in atti documentata, di non disperdere il patrimonio professionale di impresa costituito dal complesso delle competenze di ciascun dipendente ed anzi di incrementare la polivalenza funzionale individuale non negata dallo stesso lavoratore; inoltre, ha precisato che il distacco era, altresì, connotato dal requisito della temporaneità. E’ stato, infine, sottolineato che, ai sensi dell’art. 30 co. 4 bis del D.lgs. n. 276 del 2003, non era azionabile la tutela costitutiva nei confronti dell’utilizzatore e che l’azione del lavoratore – in considerazione della sua condotta stragiudiziale di non opposizione al distacco disposto ad oltre 50 km di distanza e del comportamento processuale, con il quale erano stati dedotti profili di illegittimità, quali il mutamento delle mansioni senza il consenso del lavoratore ed il trasferimento ad oltre 50 km in assenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive, che erano rimasti indimostrati- era da ritenersi diretta a tutelare le ragioni di esso dipendente solo laddove fossero stati intaccati i requisiti essenziali del distacco, cioè la temporaneità e l’interesse del distaccante a che il lavoratore svolgesse la propria attività presso un terzo.
3. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione B.M. affidato a cinque motivi, cui ha resistito con controricorso la F.I.H. spa, già denominata F.P.T. spa, illustrato con memoria.
4. Il PG ha rassegnato conclusioni scritte concludendo, in via principale, per la rimessione della causa in pubblica udienza in ordine al quarto motivo; in subordine, per il rigetto del ricorso.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 115 cpc, in relazione all’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per avere la Corte territoriale ritenuto dimostrato, in assenza di prove, che l’interesse di S. al distacco risiedesse nell’incremento della polivalenza del lavoratore, dando per scontato che tale interesse fosse sussistito per tutta la durata del distacco stesso, mentre questo era stato effettuato per gestire la crisi occupazionale che aveva riguardato la S., evitando la sottoposizione in CIG, senza peraltro che vi fosse coincidenza tra i due elementi atteso che la crisi produttiva era cessata in data 6.1.2010 mentre il distacco era continuato fino al 20.2.2010.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 2697 cc, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per non avere la Corte di merito correttamente applicato il principio regolatore dell’onere probatorio, ponendolo a carico del lavoratore con riguardo alla mancanza di interesse al distacco.
4. Con il terzo motivo il ricorrente lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti ex art. 360 co. 1 n. 5 cpc, per non avere la Corte di appello considerato alcuni fatti, concernenti le modalità operative del distacco e in particolare le mansioni svolte presso FCA, non oggetto di specifica contestazione da parte della società e, dunque, oggetto di discussione, dai quali era possibile desumere la insussistenza dell’interesse al distacco, individuato nell’incremento della polivalenza professionale individuale di esso lavoratore.
5. Con il quarto motivo viene dedotta la violazione dell’art. 30 co. 4 bis del D.lgs. n. 276 del 2003, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere i giudici di seconde cure escluso razionabilità della tutela costitutiva di cui all’art. 30 co. 4 bis D.lgs. n. 276 del 2003, pur in presenza di diversità di mansioni, di mancato consenso e di distanza superiore a 50 km tra le due unità produttive, ritenendo necessaria l’opposizione di un rifiuto al distacco ovvero la richiesta di illegittimità dello stesso per essere riassegnato alla sede di provenienza.
6. Con il quinto motivo il ricorrente si duole della violazione dell’art. 115 cpc, in relazione all’art. 2697 cc, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, per non avere rilevato la Corte territoriale la mancata dimostrazione delle ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive che avrebbero dovuto legittimare il disposto distacco.
7. I primi tre motivi, da trattarsi congiuntamente per la loro connessione logico-giuridica, non sono fondati.
8. Sotto il profilo puramente formale osserva il Collegio che le dedotte violazioni di legge, di cui alle censure, non sono ravvisabili.
9. Invero, quanto all’art. 2697 cc, non vi è stata alcuna inversione, da parte dei giudici di seconde cure, del principio dell’onere della prova.
10. Correttamente la Corte territoriale si è adeguata, nella sua valutazione, all’orientamento di legittimità (Cass. n. 7517 del 2016, punto 6 della motivazione) secondo il quale la prova dell’interesse del distaccante, costituendo requisito qualificante della fattispecie, è a carico del datore di lavoro.
11. Infatti, la Corte ha effettuato tale verifica (pag. 11 della sentenza) analizzando la documentazione prodotta (provvedimenti di “distacco”, ricorso alla CIG, provvedimenti di proroga) e considerando il comportamento delle parti, ai fini di individuare l’interesse al “distacco”, con le caratteristiche della sua liceità e temporaneità.
12. Con riguardo, invece, alla violazione dell’art. volte sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, per la sua sussistenza 115 cpc, come più occorre che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 (cfr. Cass. n. 26769 del 2018; Cass. n. 1229 del 2019), come è avvenuto nel caso de quo.
13. Sotto il profilo sostanziale, poi, va evidenziato che l’accertamento sulla presenza dell’interesse al “distacco” costituisce un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 17748 del 2004; Cass. n. 9694 del 2009; Cass. n. 26138 del 2013).
14. Nella fattispecie la Corte territoriale – con adeguata e corretta motivazione – ha ritenuto, come detto, dall’esame della documentazione prodotta e dal comportamento tenuto dalle parti, che l’interesse fosse effettivamente quello indicato, nei provvedimenti, dell’incremento della polivalenza professionale individuale del lavoratore, in un contesto di crisi aziendale temporanea, nell’attesa della ripresa produttiva, al fine di non disperdere il patrimonio professionale di ciascun dipendente.
15. La stessa Corte ha dato atto, poi, come lo stesso lavoratore abbia implicitamente avallato la bontà e la fondatezza di tale intento non opponendosi ai provvedimenti datoriali.
16. In ordine, invece, alle modalità operative del distacco e, in particolare alle mansioni affidate e svolte, la Corte ha valutato tali profili non incorrendo, pertanto, nel dedotto vizio di “omesso fatto” ex art. 360 n. 5 cpc (nuova formulazione applicabile ratione temporis), evidenziando che proprio le mansioni assegnate, diverse da quelle espletate presso il distaccante, costituissero un indice sintomatico del perseguito incremento della polivalenza professionale, tanto è che erano state avanzate autonome domande di superiore inquadramento da parte dei lavoratori (pag. 13 1° cpv della gravata sentenza).
17. Giustamente, del resto, la Corte di merito ha sottolineato, conformemente ai principi giurisprudenziali che si sono affermati nella giurisprudenza e nella dottrina prevalente, che l’interesse al distacco può essere anche di natura non economica o patrimoniale in senso stretto, ma di tipo solidaristico: l’importante è che non si risolva in una mera somministrazione di lavoro altrui.
18. Per ciò che concerne, infine, l’elemento della temporaneità, nel senso che l’interesse deve sussistere per tutto il periodo del distacco, diventa irrilevante l’argomento prospettato dal ricorrente, e cioè che la crisi sia cessata prima (6.1.2010) della fine del distacco, perché l’interesse, come sopra specificato, è stato individuato nell’incremento della polivalenza professionale, sebbene in una situazione di crisi temporanea aziendale e, pertanto, può ritenersi giustificato il breve lasso temporale intercorso tra la fine della crisi e la cessazione del distacco stesso, cronologicamente non coincidenti.
19. Anche il quarto ed il quinto motivo, per il vincolo logico-giuridico che li lega, devono essere trattati congiuntamente.
20. Essi non sono meritevoli di accoglimento.
21. In punto di diritto, l’assunto dei giudici di seconde cure, i quali nell’articolazione delle proprie argomentazioni sull’istituto del “distacco” hanno ritenuto che la fattispecie prevista dall’art. 30 co. 3 D.lgs. n. 276 del 2003 (distacco che comporti un mutamento delle mansioni che richiede il consenso dei lavoratori e distacco con trasferimento ad una unità produttiva sita a più di 50 Km da quella cui il lavoratore sia adibito che richiede la sussistenza di comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive e sostitutive) non sia sanzionata con la tutela costitutiva, a differenza dell’ipotesi di cui all’art. 30 co. 1 D.lgs. n. 276 del 2003, è corretto.
22. Infatti, sotto il profilo dell’ermeneutica letterale, la possibilità che il lavoratore interessato possa chiedere la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di chi ne ha utilizzato la prestazione è testualmente prevista solo per il caso dell’art. 30 co. 1 D.lgs. n. 276 del 2003 e non anche per quello di cui al comma 3 (ubi lex voluit dixit).
23. Con riguardo al criterio della interpretazione logico-sistematica, deve, poi, sottolinearsi che il comma 5 bis dell’art. 18 del D.lgs. n. 276 del 2003 statuisce che le sanzioni ivi contemplate (ora depenalizzate, cfr. Cass. pen. n. 10484 del 2016) siano irrogabili solo nell’ipotesi di distacco privo dei requisiti di cui all’art. 30 co. 1, restando conseguentemente esclusa quella di cui al co. 3 (per il principio di tassatività e tipicità della sanzione amministrativa).
24. L’intenzione del legislatore era, quindi, quella di prevedere che, alla ipotesi ritenuta più grave del distacco senza i requisiti dell’interesse e della temporaneità, fosse attribuita la tutela civilistica di tipo “costitutiva” e sanzionatoria di tipo “amministrativo” (prima di tipo penale), mentre per le ipotesi disciplinate dal comma 3 fosse accordata solo la tutela civilistica di tipo “risarcitoria”.
25. Tale impostazione si palesa ragionevole e bilanciata rispetto ai sottesi interessi delle parti a che un lavoratore possa espletare la propria prestazione presso un soggetto diverso dal suo datore di lavoro, in presenza di determinati presupposti e/o attraverso particolari modalità spaziotemporali: un conto, infatti, è che nella struttura dell’istituto manchino i requisiti fondamentali dell’interesse e della temporaneità; altro, invece, è rappresentato dal quomodo attraverso cui il distacco venga attuato e tale ultima ipotesi, che non è in contrasto con i fondamenti dell’istituto giuridico, giustifica pienamente una diversa tutela.
26. Quanto, infine, alla doglianza del mancato rilievo, da parte della Corte di merito, della dimostrazione delle ragioni tecniche, produttive, organizzative e sostitutive, deve evidenziarsi che i giudici di seconde cure hanno interpretato la domanda, di parte ricorrente, solo come diretta ad ottenere la tutela di cui all’art. 30 co. 4 bis D.lgs. n. 276 del 2003, per mancanza dei presupposti previsti dall’art. 30 co. 1 D.lgs. citato.
27. Giova precisare che l’interpretazione della domanda giudiziale, consistendo in un giudizio di fatto, è incensurabile in sede di legittimità e, pertanto, la Corte di cassazione è abilitata all’espletamento di indagine dirette, al riguardo soltanto allorché il giudice del merito abbia omesso l’indagine interpretativa della domanda ma non se l’abbia compiuta ed abbia motivatamente espresso il suo convincimento in ordine all’esito dell’indagine (Cass. 11.3.2011 n. 5876; Cass. 22.7.2009 n. 17109).
28. Nel caso in esame la Corte territoriale è giunta alla conclusione che la domanda proposta fosse finalizzata a contrastare i presupposti dell’art. 30 co. 1, atteso che non vi era stata mai opposizione formale al distacco (avvalorando quindi un consenso tacito), che le richieste erano tutte incentrate sulla istanza di tutela ex art. 30 co. 1 D.lgs. n. 276 del 2003 e che le problematiche sul mutamento delle mansioni e sul trasferimento oltre i 50 Km erano state ritenute indi mostrate, contraddittorie rispetto a quanto dedotto per altri fini e non supportate da allegazioni in concreto.
29. Si tratta di una interpretazione logicamente e adeguatamente motivata che rende infondate e non pertinenti le dedotte violazioni di legge.
30. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
31. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
32. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 e agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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