CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10285

Tributi locali – ICI – Accertamento – Immobili – Istanza di rimborso – Classificazione catastale – Trattamento esonerativo

Ritenuto in fatto

Il Comune di Fiscaglia (già Comune di Massa Fiscaglia, ricorre contro la Cooperativa Terremerse soc. Coop. per la cassazione della sentenza n. 728/11/14 con cui la Commissione Tributaria Regionale dell’Emilia, confermando la pronuncia di primo grado, ha accolto l’impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sulla istanza di rimborso dell’ICI pagata dalla coop. per gli anni 2003, 2004, 2005 sul presupposto che gli immobili di cui era proprietaria, essendo utilizzati per i fini sociali e di esercizio dell’attività agricola fossero esenti dal pagamento del Tributo. La Commissione Regionale ha recepito la tesi in diritto posta a fondamento della sentenza di primo grado, in forza della quale per l’esenzione dall’ICI è sufficiente la dimostrazione, da parte del contribuente, della ricorrenza dei requisiti di ruralità previsti dalla legge, a nulla rilevando la categoria con la quale l’immobile risulta iscritto in catasto.

Il Comune ricorre per cassazione svolgendo tre censure avverso la sentenza, illustrate con memoria.

La società intimata non ha svolto difese.

Ritenuto in diritto

1. Con il primo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 comma 3 bis D.L. 557/93, conv. in L. 133/94, dell’art. 23, comma 1 bis, D.L. 207/08, conv. in L. 14/09, e dell’art. 2, comma I, lett. a), D.Lgs 504/92, dell’art. 2 comma 1 lett. A) e dell’art. 9 d.lgs n. 504 del 1992, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.. In particolare lamenta il ricorrente l’errore della Commissione Regionale laddove afferma la sufficienza del possesso dei requisiti di ruralità previsti per l’esenzione ICI e l’irrilevanza della categoria catastale di appartenenza dell’immobile.

La censura è fondata.

Va qui affermato il prevalente orientamento di legittimità in tema di Ici dei fabbricati rurali secondo cui: – per la dimostrazione della ruralità dei fabbricati, ai fini del trattamento esonerativo, è dirimente l’oggettiva classificazione catastale con attribuzione della relativa categoria (A/6 per le unità abitative, o D/10 per gli immobili strumentali); sicché l’immobile che sia stato iscritto come “rurale”, in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dall’art. 9 del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557 (conv. in legge 26 febbraio 1994, n. 133) non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23 comma 1 bis del d.l. 30 dicembre 2008, n. 207 (conv. in legge 27 febbraio 2009, n. 14) e dell’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. 30 dicembre 1992 n. 504; – per converso, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale (di non ruralità), è onere del contribuente, che invochi l’esenzione dall’imposta, impugnare l’atto di classamento per la ritenuta ruralità del fabbricato, restandovi altrimenti quest’ultimo assoggettato; – allo stesso modo, il Comune deve impugnare autonomamente l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10, al fine di poter legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’Ici.

Si tratta di orientamento già fissato dalla sentenza SSUU n. 18565/09, secondo cui (in motivazione): “in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’immobile che sia stato iscritto nel catasto fabbricati come rurale, con l’attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), in conseguenza della riconosciuta ricorrenza dei requisiti previsti dal D.L. n. 557 del 1993, art. 9, conv. con L. n. 133 del 1994, e successive modificazioni, non è soggetto all’imposta ai sensi del combinato disposto del D.L. n. 207 del 2008, art. 23, comma 1 bis, convertito con modificazioni dalla L. n. 14 del 2009, e del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 2, comma 1, lett. a). L’attribuzione all’immobile di una diversa categoria catastale deve essere impugnata specificamente dal contribuente che pretenda la non soggezione all’imposta per la ritenuta ruralità del fabbricato, restando altrimenti quest’ultimo assoggettato ad ICI: allo stesso modo il Comune dovrà impugnare l’attribuzione della categoria catastale A/6 o D/10 al fine di potere legittimamente pretendere l’assoggettamento del fabbricato all’imposta“.

A tale orientamento hanno fatto seguito innumerevoli pronunce di legittimità (Cass. nn. 7102/10; 8845/10; 20001/11; 19872/12; 5167/14); più recentemente confermate da Cass. n. 16737/15 e Cass. 24892/16.

Nello stesso senso Cass. 20/04/2016 n. 7930, secondo cui: “In tema d’ICI, ai fini del trattamento esonerativo rileva l’oggettiva classificazione catastale dell’immobile, per cui l’immobile iscritto come “rurale”, con attribuzione della relativa categoria (A/6 o D/10), non è soggetto all’imposta, ai sensi dell’art. 23, comma 1 bis, del d.l. n. 207 del 2008 e dall’art. 2, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992, mentre, qualora l’immobile sia iscritto in una diversa categoria catastale, è onere del contribuente, che pretenda l’esenzione, impugnare l’atto di classamento, fermo restando, invece, che se il fabbricato non risulti iscritto in catasto e il contribuente agisca per ottenere il rimborso dell’imposta, l’accertamento della ruralità può essere immediatamente compiuto dal giudice, ma incombe al contribuente dimostrare la sussistenza dei requisiti ex art. 9 del d.l. n. 557 del 1993.

Va precisato che l’orientamento di legittimità così delineato non è scevro da alcuni precedenti di segno contrario (v. Cass. 16973/15; 10355/15; 14013/12 e talune altre), secondo i quali l’esenzione dall’Ici dovrebbe venire riconosciuta in ragione del solo carattere di ruralità concretamente rivestito dall’immobile (nel senso, ricordato, di strumentalità all’esercizio dell’attività agricola), a prescindere dal suo classamento catastale.

Si tratta però di pronunce, largamente minoritarie, che si ritiene in questa sede di dover disattendere; segnatamente perché non basate su una revisione critica del problema tale da poter superare quanto già affermato dalle SSUU del 2009, cit…

Va infatti osservato come queste ultime si siano fatte carico anche dei profili di jus superveniens riconducibili all’emanazione di due norme rilevanti (entrambe di efficacia retroattiva): – il co. 3 bis dell’art. 9 d.l. 557/93 conv. in I. 222/07, come introdotto dall’articolo 42 bis d.l. 159/07 conv. in l. 222/07, secondo cui: “ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità” alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell’attività agricola di cui all’articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate: (…) i) alla manipolazione, trasformazione, conservazione, valorizzazione o commercializzazione dei prodotti agricoli, anche se effettuate da cooperative e loro consorzi di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 18 maggio 2001, n. 228; (…)”; – il co. 1 bis dell’art. 23 d.l. 207/08 conv. in I. 14/09, secondo cui: “Ai sensi e per gli effetti dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 2, comma 1, lettera a), del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 504, deve intendersi nel senso che non si considerano fabbricati le unità immobiliari, anche iscritte o iscrivibili nel catasto fabbricati, per le quali ricorrono i requisiti di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni“.

Nel prendere in esame, in particolare, quest’ultima disposizione (successiva e presupponente quella introdotta dall’art. 42 bis cit.), le SSUU hanno tratto argomento per affermare come la disciplina sopravvenuta, lungi da smentire la necessaria rilevanza, ai fini lci, della classificazione catastale, l’abbia ulteriormente confortata e resa imprescindibile; al punto che l’obiettivo di sottrarre il fabbricato strumentale all’imposizione di un tributo che trova il suo presupposto proprio nella natura di fabbricato accatastato o accatastabile del cespite (artt. 1 e 2 d.lgs. 504/92) è stato perseguito dal legislatore (ex art. 23 d.l. 207/08 cit.) mediante, non già l’esenzione dalla classificazione in categoria catastale di ruralità, bensì – e più in radice – attraverso l’espunzione di tali unità immobiliari, così accatastate, dalla nozione legislativa medesima di ‘fabbricato’.

Hanno in proposito osservato le SSUU – riaffermando la “decisività della classificazione catastale come elemento determinante per escludere, o affermare, l’assoggettabilità ad lci di un fabbricato” – che la norma da ultimo citata, di natura interpretativa, “sostanzialmente conferma che la ruralità del fabbricato direttamente ed immediatamente rileva ai fini della relativa classificazione catastale, ma ricollega a questa conseguita classificazione l’esclusione del fabbricato (catastalmente riconosciuto come) rurale dalla stessa nozione di fabbricato imponibile ai fini Ici.”

Affermazione, quest’ultima, certamente valida anche nell’interpretazione del co. 3 bis dell’art. 9 d.l. 557/93 cit..

Nemmeno, i su richiamati precedenti giurisprudenziali di segno contrario possono trovare condivisione alla luce dell’ulteriore jus superveniens costituito: – dal d.l. n. 70 del 13 maggio 2011, convertito dalla legge n. 106 del 12 luglio 2011 che, all’art. 7, comma 2 bis, ha previsto che, ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili, i contribuenti avessero la facoltà (esercitabile entro il 30 settembre 2011) di presentare all’allora Agenzia del Territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l’attribuzione delle categoria A/6 e D/10, a seconda della destinazione, abitativa o strumentale dell’immobile, sulla base di un’autocertificazione attestante che l’immobile possedeva i requisiti di ruralità di cui all’art. 9 del D.L. n. 557/1993, convertito in L. n. 133/1994, e modificato dall’art. 42 bis del D.L. 1 ottobre 2007, n. 159, convertito con modificazioni in L. 29 novembre 2007, n. 159, “in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda – dal d.l. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, in L. 22 dicembre 2011, n. 214 che ha quindi previsto, all’art. 13, comma 14 bis, che le domande di variazione di cui al predetto D.L. n. 70 del 2011, producessero “gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito della ruralità fermo restando il classamento originario degli immobili ad uso abitativo – dal decreto del ministero dell’economia e delle finanze del 26 luglio 2012, che ha stabilito, all’art. 1, che “Ai fabbricati rurali destinati ad abitazione ed ai fabbricati strumentali all’esercizio dell’attività agricola è attribuito il classamento, in base alle regole ordinarie, in una delle categorie catastali previste nel quadro generale di qualificazione. Ai fini dell’iscrizione negli atti del catasto della sussistenza del requisito di ruralità in capo ai fabbricati rurali di cui al comma 1, diversi da quelli censi bili nella categoria D/10 (Fabbricati per funzioni produttive connesse alle attività agricole), è apposta una specifica annotazione. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all’art. 9 del decreto – legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133. Art. 2 Presentazione delle domande per il riconoscimento del requisito di rurali – dal d.l. 31 agosto 2013, n. 102, convertito, con modificazioni, in L. 28 ottobre 2013, n. 124, all’art. 2, comma 5 ter, che ha stabilito che “ai sensi dell’articolo 1, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, l’articolo 3, comma 14 bis, del decreto legge 6 dicembre 2011, n. 201, Convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, deve intendersi nel senso che le domande di variazione catastale presentate ai sensi dell’articolo 7, comma 2 bis, del decreto legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 13 maggio 2011, n. 106, e l’inserimento dell’annotazione degli atti catastali, producono gli effetti previsti per il requisito di ruralità di cui all’articolo 9 del decreto legge 30 dicembre n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994 n. 133, e successive modificazioni, a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda”.

Si tratta infatti di disposizioni che rafforzano l’orientamento esegetico già adottato dalle SS.UU. nel 2009, in quanto disciplinano le modalità (di variazione – annotazione) attraverso le quali è possibile pervenire alla classificazione della ruralità dei fabbricati, anche retroattivamente, onde beneficiare dell’esenzione lci; sulla base di una procedura ad hoc che non avrebbe avuto ragion d’essere qualora la natura esonerativa della ruralità fosse dipesa dal solo fatto di essere gli immobili concretamente strumentali all’attività agricola, a prescindere dalla loro classificazione catastale conforme.

Nel caso in esame, il giudice di merito doveva dunque verificare la classificazione catastale degli immobili negli anni di imposta 2003, 2004 e 2005.

Dalla sentenza si evince che gli immobili, all’epoca dei fatti, erano classificati D7 e non potevano conseguentemente godere dell’esenzione di imposta.

2 Con il secondo e terzo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 9 del D.L. 557/93, conv. in L. 133/94 e successive modificazione, dell’art. 1 comma 2 e art. 3 comma 1 legge 212/2000, dell’art. 23, comma 1 bis, D.L. 207/08, conv. in L. 14/09, e dell’art. 2, comma 1, lett. a), D.Lgs 504/92, dell’art. 2 comma 1 lett. A) e degli artt. 2135 e 2697 c.c. in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c..

Il ricorrente lamenta in particolare che la CTR non aveva accertato la necessaria strumentalità del fabbricato all’attività agricola esercitata dal contribuente.

La trattazione delle censure va ritenuta assorbita alla luce dell’accoglimento del primo motivo. Infatti, sul presupposto che il diritto alla esenzione dall’imposta dipende dalla categoria catastale attribuita all’immobile, l’accertamento giudiziale dei requisiti di ruralità risulta irrilevante ai fini dell’assoggettamento dell’immobile all’ICI.

Ne segue pertanto l’accoglimento del ricorso con conseguente cassazione della sentenza impugnata e decisione nel merito, ex art. 384 cod.proc.civ., mediante rigetto del ricorso proposto dal contribuente contro il silenzio rifiuto sulla istanza di rimborso lci 2003, 2004 e 2005.

Sussistono, anche in ragione dell’evoluzione normativa e giurisprudenziale della materia, i presupposti per la compensazione delle spese del giudizio di merito. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Accoglie il primo motivo, assorbito il secondo e il terzo cassa la sentenza impugnata e, con pronuncia nel merito ex art. 384 cod.proc.civ., rigetta il ricorso proposto dalla contribuente contro il silenzio rifiuto sulla istanza di rimborso lci 2003, 2004 e 2005. Compensa le spese del giudizio di merito.

Condanna la Cooperativa Terremerse soc. coop. al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in € 2.000,00 oltre al rimborso delle spese forfettario al 15% e accessori secondo legge.