CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 aprile 2019, n. 10342
Patto di non concorrenza postcontrattuale – Non autenticità della sottoscrizione apposta in calce al patto – Consulenza grafologica
Rilevato che
La Corte d’Appello di Bologna confermava la pronuncia emessa dal Tribunale della stessa sede che aveva revocato il provvedimento monitorio con il quale M.R. aveva conseguito l’ingiunzione di pagamento nei confronti della Y. s.p.a. per l’importo di euro 30.00,00 a titolo di corrispettivo per patto di non concorrenza postcontrattuale.
In estrema sintesi, la Corte distrettuale condivideva gli approdi ai quali era pervenuto il giudice di prima istanza sulla scorta della consulenza grafologica disposta, da cui era emersa l’evidenza della non autenticità della sottoscrizione apposta in calce al patto di non concorrenza contenuto nella scrittura denominata “addendum”, invocata dalla ricorrente a sostegno del diritto azionato.
Avverso tale decisione M.R. interpone ricorso per cassazione affidato ad unico motivo cui resiste la società intimata con controricorso illustrato da memoria ex art. 380 bis c.p.c.
Considerato che
1. Con unico motivo la ricorrente denuncia violazione o erronea applicazione dell’art. 216 c.p.c. in relazione all’art. 360 comma primo nn. 3 e 4 c.p.c. Si duole che la Corte distrettuale abbia fondato il decisum esclusivamente sulla base della CTU grafologica disposta in primo grado, nonostante esprimesse evidenti elementi di contraddittorietà, contrapponendosi altresì all’elaborato stilato dalla consulente di parte in conformità ai canoni invalsi nella scienza grafologica.
Stigmatizza poi la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno invocato la giurisprudenza di legittimità alla cui stregua “il giudice di merito che aderisca alle convinzioni del consulente che nel corpo del proprio elaborato abbia tenuto conto, replicandovi, dei rilievi dei consulenti di parte, esaurisce l’obbligo della motivazione indicando le fonti del suo convincimento”. Ritenuto detto orientamento non appropriato alla fattispecie considerata, la ricorrente deduce che le perizie grafologiche sono connotate dalla valutazione soggettiva del suo autore e non da leggi scientifiche, sicchè incombe sul giudicante l’onere di fornire accurata giustificazione delle ragioni di adesione all’una piuttosto che all’altra valutazione, all’uopo invocando specifici arresti di questa Corte di legittimità.
Lamenta infine che pur in presenza di forti elementi di contrasto fra gli elaborati peritali, il Tribunale aveva respinto la domanda attorea facendo esclusivo richiamo alle risultanze della CTU, ed omettendo di provvedere, come doveroso, alla assunzione di alcun altro mezzo di prova, in base ad un iter procedimentale erroneamente condiviso dal giudice del gravame.
2. La censura presenta evidenti profili di inammissibilità.
Essa contiene promiscuamente la contemporanea deduzione di violazione di disposizioni di legge processuale, senza alcuna specificazione della riferibilità dell’errore ai singoli vizi che devono essere riconducibili ad uno di quelli tipicamente indicati dal comma 1 dell’art. 360 c.p.c., così non consentendo una adeguata identificazione del devolutum e dando luogo all’impossibile convivenza, in seno al medesimo motivo di ricorso, di censure caratterizzate da irredimibile eterogeneità. Tale modalità di formulazione risulta irrispettosa del canone della specificità del motivo di impugnazione nei casi in cui, nell’ambito della parte argomentativa del mezzo di impugnazione, non risulti possibile scindere le ragioni poste a sostegno dell’uno o dell’altro vizio, determinando una situazione di inestricabile promiscuità, tale da rendere impossibile l’operazione di interpretazione e sussunzione delle censure, giacchè il ricorso per cassazione, in quanto ha ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360 c.p.c., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera chiara ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione (vedi in motivazione Cass. 6/5/2016 n. 9228, nonché da ultimo, Cass 23/10/2018 n. 26874).
3. Sotto altro versante non può sottacersi che il motivo si pone in chiara violazione del principio di specificità del ricorso, prescritto dall’art. 366 co. 1, n. 4 e n. 6 c.p.c. non riportando la trascrizione né in forma integrale integrale, né almeno nei passaggi salienti e non condivisi, della relazione di C.t.u. richiamando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate.
Ed invero, secondo l’insegnamento di questa Corte, che va qui ribadito, la parte che lamenti l’acritica adesione del giudice di merito alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio non può limitarsi a far valere genericamente lacune di accertamento o errori di valutazione commessi dal consulente o dalla sentenza che ne abbia recepito l’operato, ma, in ossequio al principio di specificità del ricorso per cassazione ed al carattere limitato del mezzo di impugnazione, ha l’onere di indicare specificamente le circostanze e gli elementi rispetto ai quali invoca il controllo di logicità, trascrivendo integralmente nel ricorso almeno i passaggi salienti e non condivisi della relazione e riportando il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di consentire l’apprezzamento dell’incidenza causale del difetto di motivazione (vedi ex plurimis, Cass. 17/7/2014, n. 16368, Cass. 3/6/2016 n. 11482); né può sopperirsi alle obiettivate carenze del ricorso mediante indagini integrative, dovendo questa Corte provvedere allo scrutinio delle questioni devolute alla sua cognizione sulla base del ricorso introduttivo (v. Cass. 4/3/2015 n. 4365).
4. Da ultimo deve rimarcarsi l’ulteriore ragione di inammissibilità che connota la censura, laddove stigmatizza l’impugnata sentenza per aver condiviso il compimento da parte del giudice di prima istanza, di un’attività deviante rispetto alla regola processuale prescritta dal legislatore, avendo basato la propria decisione esclusivamente sulle risultanze della CTU, senza provvedere alla assunzione di nessun altro mezzo di prova. La ricorrente ha omesso di riportare il contenuto degli strumenti probatori che assume essere stati erroneamente pretermessi, venendo meno al rispetto delle regole poste dal codice di rito per la proposizione e lo svolgimento di qualsiasi ricorso per cassazione, ivi compreso quello con cui si denuncino errores in procedendo (nella specie peraltro, come innanzi si è detto, formulato secondo modalità promiscue). Ciò vuol dire che la proposizione del motivo resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della corte. Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il principio di specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (così in motivazione, Cass. S.U. 22/5/2012 n. 8077).
Alla stregua delle argomentazioni sinora esposte, deve dichiararsi l’inammissibilità del ricorso. Il governo delle spese del presente giudizio segue il regime della soccombenza nella misura in dispositivo liquidata.
Occorre infine dare atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115/2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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