CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 dicembre 2018, n. 32102
Tributi – Contenzioso tributario – Procedimento – Sentenza – Motivazione appartente – Nullità
Considerato che
l’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 31/35/11, depositata il 22.03.2011 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia.
Ha rappresentato che con avviso di accertamento n. R0A030200479 notificato alla E.A. s.r.I., relativo all’anno d’imposta 2003, recuperava a titolo di Ires, Irap e Iva costi indeducibili e ricavi sottratti. In particolare sollevava quattro contestazioni, la prima per sottrazione di materia imponibile in riferimento alla cessione di una unità immobiliare nel costruendo complesso edilizio di Villongo; la seconda per sottrazione di ricavi relativamente all’appalto reso in favore della società appaltante “Immobiliare B. s.r.l.”; la terza per indebita deduzione di costi per difetto d’imputazione all’anno d’imposta 2003; la quarta per indebita deduzione di costi per difetto del requisito d’inerenza.
La società, che contestava la fondatezza dell’accertamento, impugnava l’atto impositivo dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bergamo, che con sentenza n. 140/9/2007 accoglieva le doglianze della contribuente in merito alle prime tre contestazioni, rigettando il ricorso solo per la quarta.
La adita Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza ora impugnata, rigettava l’appello.
L’Agenzia censura con due motivi la pronuncia:
con il primo per nullità della sentenza ai sensi dell’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c., per motivazione omessa o apparente, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c., con riguardo alla decisione assunta in ordine alle prime due contestazioni;
con il secondo per motivazione insufficiente per omesso esame di un fatto controverso, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 5 c.p.c., con riguardo alla terza contestazione.
Ha chiesto dunque la cassazione della sentenza.
Si è costituita la società, che ha contestato le ragioni del ricorso di cui ha chiesto il rigetto e con ricorso incidentale ha censurato a sua volta la pronuncia con tre motivi. Con il primo per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in combinato disposto con gli artt. 2909 c.c. e 329 c.p.c., con riguardo alla ratio della decisione assunta dal giudice di primo grado sulla affermata insussistenza dei presupposti legittimanti l’accertamento analitico-induttivo ex art. 39 co. 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c., per non aver avvertito come l’appello della Agenzia non incideva sulle valutazioni espresse dalla CTP;
con il secondo per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in combinato disposto con gli artt. 2909 c.c. e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., con riguardo alla ratio della decisione assunta dal giudice di primo grado sulla sussistenza di giustificazioni economiche al conseguito margine negativo nella prima vendita immobiliare del complesso di Villongo, per non aver avvertito che l’appello della Agenzia non incidesse sulle ragioni della decisione assunta dalla CTP;
con il terzo per violazione e/o falsa applicazione dell’art. 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, in combinato disposto con gli artt. 2909 c.c. e 329 c.p.c., in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c., con riguardo alla ratio della decisione assunta dal giudice di primo grado sulla sussistenza di giustificazioni economiche al solo conseguimento del margine di pareggio nelle prestazioni di appalto presso il complesso immobiliare di Treviglio;
ha chiesto a tal fine la declaratoria di inammissibilità dell’appello dell’ufficio per la sua genericità, al contempo con riconoscimento del giudicato interno sugli accertamenti definitivamente assunti dalla Commissione Tributaria Provinciale.
La contribuente ha depositato tempestivamente memoria ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c.
Ritenuto che
Con il primo motivo l’Agenzia si duole della nullità della sentenza per motivazione apparente. Sostiene in particolare che, a fronte delle argomentazioni addotte in sede di appello avverso la decisione adottata dal giudice di primo grado in ordine alle prime due contestazioni, la sentenza della commissione regionale ha omesso di motivare sulle censure dell’Ufficio, senza neppure correttamente richiamare per relationem la decisione dei primi giudici.
La sentenza così motiva il rigetto: <<L’appello deve essere rigettato poiché infondato e la sentenza di primo grado deve essere confermata, essendo immune da vizi logici e motivata. La Commissione ritiene che le eccezioni dell’appellata, relativa al rilievo mosso dall’Ufficio, in merito all’omessa contabilizzazione dei ricavi relativi al contratto di appalto per i lavori che sono stati effettuati a Treviglio ed alla cessione dell’abitazione di Villongo, che hanno già formato oggetto di esame dei giudici di primo grado, debbano essere accolte. I giudici di primo grado hanno adeguatamente esplicitato i motivi in fatto e diritto per cui la tesi della ricorrente è stata accolta, determinando così, da parte della Commissione il mancato accoglimento della richiesta di carenza di motivazione della sentenza oggetto della presente impugnativa.».
In tema di omessa motivazione la giurisprudenza ha avuto reiteratamente modo di affermare che la sentenza d’appello, anche quando motivata per relationem alla pronuncia di primo grado, non è nulla se in essa siano espresse sia pur in modo sintetico le ragioni della conferma, tenendo conto dei motivi proposti con l’atto di impugnazione (cfr. Cass., Sez. 1, sent. 14786/2016). Con specifico riguardo al processo tributario si è affermato che è nulla per violazione degli artt. 36 e 61 del d.lgs. n. 546/1992, nonché dell’art. 118 disp. att. c.p.c., la sentenza della commissione regionale completamente carente dell’illustrazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione di primo grado e delle considerazioni che hanno indotto la commissione a disattenderle, limitandosi a motivare per relationem alla sentenza impugnata (Cass. Sez. 6-5, ord. 15884/2017).
Alla luce di tali principi nel caso di specie risulta evidente che la sentenza sia corredata da una motivazione apparente, priva di una spiegazione sulla adesione alla sentenza del giudice tributario provinciale, e priva di ogni pur minima argomentazione critica sui motivi di impugnazione proposti dall’appellante.
Né soccorre quanto afferma la difesa della contribuente in ordine alla sufficienza della motivazione, che va desunta dalla lettura integrale della sentenza, e dunque anche dalla parte dedicata allo svolgimento del fatto. Ai fini della declaratoria di nullità della sentenza per omessa motivazione non si dubita infatti della necessità di ricavare il procedimento logico-motivazionale dall’intero corpo della pronuncia, ma nel caso di specie manca ogni riferimento, anche sommario, alle specifiche critiche mosse dalla Agenzia in sede di appello.
Ne discende che in parte qua la sentenza è nulla e va pertanto cassata.
Con il secondo motivo l’Agenzia si duole della insufficienza della motivazione relativamente alla ripresa a tassazione dei costi sostenuti per la fruizione di una prestazione professionale, che l’Ufficio ha sostenuto erroneamente imputati all’anno 2003, in violazione dei criteri regolati dall’art. 109 del TUIR, per essere stati ultimati nel 2002, risultando irrilevante l’emissione della fattura nell’anno 2003.
Sulla questione la sentenza afferma che «deve essere accolta anche l’impugnativa attinente al rilievo mosso dall’Ufficio in ordine alla indeducibilità dei costi, perché non di competenza, sostenuti per il pagamento di un professionista, per prestazioni effettuate negli anni precedenti. La dichiarazione resa dal professionista rafforza la circostanza che non era possibile quantificare anticipatamente la componente negativa del reddito nell’esercizio di competenza.».
Il motivo di ricorso, così come formulato, è infondato, quando non inammissibile.
Con esso infatti l’Amministrazione critica le modalità applicative dei principi di imputazione dei componenti di reddito, questione che attiene alla violazione di norma di legge e non, come formulato, ad un vizio motivazionale. Ma quand’anche la questione fosse riconducibile al vizio motivazionale per errata valutazione delle prove, essa è comunque infondata.
L’Agenzia, in sintesi, oltre che contestare la valenza probatoria della cd. autocertificazione del professionista in ordine alla determinazione delle proprie spettanze nell’anno 2003, sostiene che, pacifica l’esecuzione delle suddette prestazioni negli anni pregressi, il debito era facilmente determinabile soccorrendo a tal fine le tariffe professionali.
Va rammentato che in tema di reddito d’impresa i costi devono essere imputati all’esercizio in cui la prestazione è stata eseguita, salvo che non ne sia ancora certa l’esistenza o non sia determinabile in modo obiettivo l’ammontare. Incombe pertanto sull’Amministrazione finanziaria, che assuma erroneamente imputato un costo, dimostrare la determinatezza o determinabilità del medesimo. Sul contribuente invece grava la prova che solo in un diverso anno i medesimi costi siano diventati certi e determinabili nell’ammontare. Il principio discende, con riguardo a fattispecie come quella per cui è causa, dal dato normativo, che non va limitato alla lettura del comma 2 lett. b) dell’art. 109 (in precedenza dell’art. 75) del TUIR, ma dal combinato disposto della fattispecie contemplata nella lett. b) con il principio, di carattere generale in ordine alla imputazione dei componenti di reddito, prescritto dal comma 1, laddove è previsto che «…le spese….concorrono a formare il reddito nell’esercizio di competenza; tuttavia ….le spese….di cui nell’esercizio di competenza non sia ancora certa l’esistenza o determinabile in modo obiettivo l’ammontare concorrono a formarlo nell’esercizio in cui si verificano tali condizioni».
L’Agenzia assume che sarebbe irrilevante la circostanza che il professionista abbia determinato i compensi professionali (legali) solo nell’anno 2003, perché ai fini della determinabilità del credito, e dunque del debito della società, sarebbero sufficienti le tariffe professionali. L’assunto non può essere condiviso perché la tariffa, che per ogni specifica prestazione riporta compensi variabili tra un minimo ed un massimo, non consente al fruitore del servizio di determinare il suo debito. Peraltro l’affermazione della Agenzia non considera che si pretende di imporre ad un soggetto non professionista la capacità di costruire la parcella mediante la mera lettura della tariffa professionale, come se essa costituisse la meccanica sommatoria di dati identificabili automaticamente da qualunque soggetto, ancorchè estraneo al settore professionale.
Il motivo in conclusione va rigettato. Esaminando ora i tre motivi del ricorso incidentale, essi possono ricevere una trattazione unitaria. Con essi infatti la società sostiene che il giudice regionale non avrebbe avvertito che i motivi d’appello dell’Ufficio non intaccavano il ragionamento del giudice di primo grado, e che pertanto avrebbe dovuto dichiarare l’inammissibilità dell’appello con conseguente giudicato interno sull’accertamento giudiziale in fatto e sulla spiegazione economica dei risultati di bilancio, la cui correttezza era invece contestata con l’atto impositivo.
I tre motivi, che sfiorano l’inammissibilità per violazione dell’art. 366 co. 1, n. 3 c.p.c. per essere costruiti prevalentemente con la tecnica dell’assemblaggio, sono in ogni caso inammissibili per difetto d’interesse al ricorso incidentale, siccome proposto dalla parte totalmente vittoriosa in appello, eventualmente incidente solo sulla motivazione della sentenza impugnata (Cass., sent. n. 7057/2010; 658/2015; 3803/2004).
Ovviamente, con l’accoglimento del primo motivo di ricorso, le censure poste dalla società potranno essere esaminate in sede di giudizio di rinvio, sempre che le questioni poste dalla ricorrente incidentale, ed afferenti alle modalità di confezionamento del ricorso d’appello, di cui se ne è lamentata l’inammissibilità, siano state tempestivamente sollevate in quel grado.
Considerato che
la sentenza è nulla con riferimento al primo motivo, mentre il secondo motivo va rigettato; essa va pertanto cassata in parte qua e rinviata alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che in diversa composizione dovrà decidere, oltre che sulle spese del presente giudizio, in ordine alle questioni oggetto del primo motivo del ricorso, riconducibili al primo e al secondo rilievo dell’avviso di accertamento.
Inammissibili sono infine i motivi del ricorso incidentale.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo del ricorso principale, rigetta il secondo; dichiara inammissibili i motivi del ricorso incidentale. Cassa la sentenza limitatamente al motivo accolto e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, che deciderà nei termini di cui in motivazione, oltre che sulle spese del presente giudizio.
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