CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbraio 2019, n. 4047
Tributi locali – ICI – Accertamento – Riscossione – Immobili – Benefici fiscali
Svolgimento del processo
La Sios ha impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma un avviso di accertamento con il quale il Comune di Roma ha chiesto una maggiore imposta ICI, per un importo pari ad € 115.810,03, per l’anno 2005, in relazione all’immobile sito in Roma, via (…).
Il Comune di Roma non si è costituito.
La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza, n. 165/06/12, ha accolto il ricorso.
Il Comune di Roma ha proposto appello.
La Commissione tributaria regionale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 416/28/13, ha accolto l’appello.
La Sios ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Roma capitale ha depositato controricorso.
La Sios ha depositato memorie scritte.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo la società ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 7, comma 1, lettera i, del d.lgs. n. 504 del 1992 poiché la Commissione tributaria regionale di Roma avrebbe errato nel ritenere che mancasse il requisito soggettivo per ottenere l’esenzione in esame perché le società per azioni sono per definizione imprese commerciali e in quanto il beneficio in questione si applicava ai soli fabbricati sia utilizzati che posseduti dall’ente non commerciale interessato.
La doglianza è infondata.
L’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 stabiliva, nel testo vigente nel periodo rilevante nel presente giudizio, che fossero esenti dall’ICI “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222”.
L’articolo 87, comma 1, lettera c), del TUIR del 1986 menzionava, nel testo da prendere in considerazione ai fini dell’esenzione de qua, “gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.
La giurisprudenza di legittimità ha chiarito, nell’interpretare l’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, che tale norma esige la duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Se ne ricava che l’esenzione dall’ICI, che ha natura speciale e derogatoria della norma generale ed è, perciò, di stretta interpretazione, dovendosi applicare soltanto nelle ipotesi tipiche e tassative indicate (Cass., Sez. 5, n. 10646 del 20 maggio 2005; Cass., Sez. 5, n. 18549 del 4 dicembre 2003), non spetta nel caso di utilizzazione indiretta, benché assistita da finalità di pubblico interesse (Cass., Sez. 5, n. 12495 del 4 giugno 2014). Inoltre, la Suprema Corte ha pure precisato che l’agevolazione de qua è ulteriormente preclusa dalla stessa lettera dell’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, che, nel richiamare l’articolo 87, comma 1, lettera c), del TUIR del 1986, ha escluso dal godimento del beneficio stesso le società commerciali, fra le quali rientrano le società per azioni, anche qualora nelle loro finalità sociali rientri la realizzazione di obiettivi socialmente utili, poiché la forma azionaria è di per sé indicativa, in via prevalente, del perseguimento di uno scopo di lucro (Cass., Sez. 5, n. 18838 del 30 agosto 2006).
Pertanto, alla luce della menzionata giurisprudenza, la società ricorrente non avrebbe diritto all’esenzione richiesta sia perché soggetto utilizzatore e non possessore dell’immobile sia in quanto società per azione e, dunque, non rientrante fra gli enti non commerciali.
Del tutto irrilevante è, poi, il riferimento, contenuto negli atti di causa, all’ordinanza n. 19 del 2007 della Corte costituzionale.
Infatti, detta ordinanza si limita a confermare la pronuncia n. 429 del 2006 della medesima Corte costituzionale.
Quest’ultima decisione ha riguardato un caso in cui la Corte di cassazione aveva sollevato questione di legittimità costituzionale dell’articolo 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’IRPEF e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), in relazione all’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992.
La Suprema Corte aveva fondato il suo dubbio di legittimità sul fatto che il censurato articolo 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, nel prevedere la facoltà per i Comuni di stabilire che l’esenzione di cui all’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 “si applica soltanto ai fabbricati e a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, siano anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore”, avrebbe imposto di mutare l’interpretazione precedentemente data dalla stessa Corte di cassazione al citato articolo 7 (e sopra menzionata), secondo la quale l’esenzione sarebbe spettata solo se il soggetto passivo di imposta avesse avuto natura non commerciale e avesse utilizzato direttamente l’immobile in una delle attività previste dal medesimo articolo (attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge n. 222 del 1985).
Infatti, ad avviso della Suprema Corte, tale interpretazione restrittiva sarebbe stata impedita dall’articolo 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, il quale avrebbe avuto natura di interpretazione autentica della suddetta disposizione agevolativa e, quindi, avrebbe imposto di intendere quest’ultima nel senso che per i periodi di imposta anteriori all’entrata in vigore della norma interpretativa, l’esenzione sarebbe spettata al soggetto passivo d’imposta alla sola condizione che l’immobile fosse direttamente utilizzato da un ente non commerciale per lo svolgimento delle attività di cui al citato articolo 7.
La Corte costituzionale ha, però, ritenuto la manifesta infondatezza della questione prospettata poiché, contrariamente a quanto sostenuto dal giudice a quo, detta disposizione – che non si autoqualificava come norma di interpretazione autentica – non era finalizzata né a risolvere un obiettivo dubbio ermeneutico né ad introdurre retroattivamente una nuova disciplina dell’esenzione prevista dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992.
L’articolo 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997 aveva il solo scopo di attribuire ai Comuni, in deroga a quanto previsto all’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, la facoltà di escludere gli enti non commerciali che possedevano terreni agricoli e aree fabbricabili dal novero dei soggetti esenti e, perciò, di applicare l’ICI anche nei loro confronti, ferma restando l’esenzione per i fabbricati posseduti dai medesimi enti non commerciali e da essi direttamente utilizzati per lo svolgimento delle attività di cui all’articolo 7.
Pertanto, l’articolo 59, comma 1, lettera c), del d.lgs. n. 446 del 1997, prevedendo che l’esenzione dall’ICI spettasse per i fabbricati a condizione che gli stessi, oltre che utilizzati, fossero anche posseduti dall’ente non commerciale utilizzatore, attribuiva all’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 lo stesso significato riconosciutogli dalla giurisprudenza di legittimità e, quindi, sotto questo aspetto, non innovava la disciplina dei requisiti soggettivi dell’esenzione.
Se ne ricava che le ordinanze della Corte costituzionale de quibus non hanno avuto alcuna incidenza sulla fattispecie in esame/ avendo confermato nella sostanza l’interpretazione seguita dalla Corte di cassazione e sopra riportata.
Prive di pregio sono le considerazioni della società ricorrente quanto alla possibilità di estendere la portata dell’esenzione anche ai soggetti utilizzatori che, però, non siano pure possessori.
Infatti, una simile lettura imporrebbe illogicamente di riconoscere l’agevolazione a soggetti passivi d’imposta che non solo non svolgono direttamente le attività ritenute meritorie dalla norma di agevolazione, ma potrebbero altresì percepire un vantaggio diretto od indiretto (ad esempio, la percezione di un canone o di un rimborso spese o minori costi di gestione), così violandosi i principi di uguaglianza e di capacità contributiva di cui agli articoli 3 e 53 Cost.
Al contrario, l’interpretazione già seguita dalla Corte di cassazione e confermata dalla Corte costituzionale ha il pregio di essere costituzionalmente orientata.
In particolare, non assume valore la menzione del precedente rappresentato dalla pronuncia n. 9948 del 2008 della Corte di cassazione, trattandosi di vicenda nella quale il contribuente era proprietario dell’immobile e si trovava semplicemente nella impossibilità di fatto di utilizzarlo.
Neppure rileva il testo del Regolamento comunale per l’applicazione dell’ICI approvato nel 2003 che riconosceva l’esenzione agli immobili “utilizzati” dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), TUIR, considerato che non è precisato se detto utilizzo dovesse essere diretto oppure anche indiretto.
Infine, del tutto non condivisibile è l’affermazione della società ricorrente secondo la quale essa avrebbe natura di ente non commerciale, costituendo un ostacolo non superabile quello rappresentato dalla forma giuridica della società per azioni.
Ne consegue l’infondatezza del motivo.
2. Con il secondo motivo la Sios lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio e la violazione e falsa applicazione dell’articolo 8 del d.lgs. n. 546 del 1992 e dell’articolo 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 perché il giudice di secondo grado avrebbe erroneamente ritenuto applicabili le sanzioni inflitte dall’amministrazione finanziaria nonostante l’oggettiva incertezza normativa esistente in materia.
La doglianza è infondata.
Secondo la giurisprudenza di legittimità, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, il contribuente ha l’onere di allegare la ricorrenza degli elementi che giustificano l’esenzione per incertezza normativa oggettiva, che ricorre nell’ipotesi di incertezza inevitabile sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della disposizione tributaria, anche all’esito del procedimento di interpretazione della stessa da parte del giudice (Cass., Sez. 5, n. 18718 del 13 luglio 2018).
In particolare, l’incertezza normativa oggettiva tributaria è caratterizzata dall’impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile, e va distinta dalla soggettiva ignoranza incolpevole del diritto (il cui accertamento è demandato esclusivamente al giudice e non può essere operato dall’amministrazione), come emerge dall’articolo 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, che distingue le due figure, pur ricollegandovi i medesimi effetti.
L’incertezza normativa oggettiva può essere desunta dal giudice (Cass., Sez. 5 , n. 12301 del 17 maggio 2017) attraverso la rilevazione di una serie di fatti indice, quali ad esempio:
1) la difficoltà d’individuazione delle disposizioni normative;
2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica;
3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata;
4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà;
5) la mancanza di una prassi amministrativa o l’adozione di prassi amministrative contrastanti;
6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali;
7) la formazione di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, sopratutto se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale;
8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale;
9) il contrasto tra opinioni dottrinali;
10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di norma implicita preesistente.
Nel caso in esame, deve escludersi del tutto ogni incertezza normativa e, comunque, qualsiasi ignoranza soggettiva giustificabile con riferimento almeno alla impossibilità di riconoscere ad una società per azioni la natura di ente non commerciale.
Peraltro, anche quanto alla interpretazione della nozione di utilizzazione, deve rilevarsi come l’interpretazione della Corte di cassazione fosse ormai consolidata come minimo dal 2003 e, quindi, da prima dell’instaurazione del presente contenzioso.
Ne consegue l’infondatezza del motivo.
3. Il ricorso va, pertanto, respinto.
4. Le spese di lite seguono la soccombenza, ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 – quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
– rigetta il ricorso;
– condanna la società ricorrente a rifondere le spese di lite in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi € 3.500,00, oltre accessori di legge e spese generali nella misura del 15%;
– ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
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