CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 febbraio 2019, n. 4051

Tributi locali – ICI – Accertamento – Immobili – Omesso versamento

Svolgimento del processo

Il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo ha impugnato con due ricorsi davanti alla Commissione tributaria provinciale di Roma due avvisi di accertamento ciascuno per € 16.156,98, oltre sanzioni ed interessi, relativi all’omesso versamento ICI rispettivamente per l’anno 2005 e per l’anno 2006 e concernenti il complesso immobiliare sito in Roma, Lungotevere dell’Acqua Acetosa snc, condotto in concessione dalla Regione Lazio.

Il Comune di Roma non si è costituito.

La Commissione tributaria provinciale di Roma, con sentenza n. 18/17/13, ha respinto i ricorsi.

Il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo ha proposto appello.

La Commissione tributaria regionale di Roma, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 74/01/14, ha respinto l’appello.

Il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.

Roma Capitale ha depositato controricorso.

La parte ricorrente ha depositato memorie scritte.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente devono essere respinte le eccezioni di inammissibilità sollevate dalla parte contro ricorrente, considerato che:

– il ricorso risulta completo in tutti gli elementi, in modo da permettere a questa Corte di esaminare le contestazioni avanzate;

– vengono prospettate, almeno in astratto, delle questioni non specificamente affrontate in passato dalla giurisprudenza di legittimità;

– infine, non sono chieste nuove valutazioni di merito, venendo solo affermata l’apparenza della motivazione della decisione contestata.

2. Con i due motivi proposti, che possono essere esaminati congiuntamente, stante la stretta connessione, la parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli articoli 1, 2, 5 e 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, degli articoli 113, 115, 116 e 132, n. 4, c.p.c., dell’articolo 2697 c.c., dell’articolo 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, degli articoli 3, 6, 8, 11, 12 e 17 del r.d.l. n. 652 del 1939, del regolamento per la formazione del nuovo catasto urbano approvato con d.P.R. n. 1142 del 1949, degli articoli 1, 2 e 4 del d.m. n. 701 del 1994, degli articoli 3, 53 e 111 Cost. e delle norme in tema di applicazione dell’ICI e delle relative esenzioni.

Sostiene la parte ricorrente che la CTR di Roma avrebbe errato, innanzitutto, a dare valore alla natura commerciale dell’attività di somministrazione di cibo e bevande svolta in favore degli associati, considerato che pure la vigente normativa, introdotta, con disposizioni aventi natura interpretativa e, perciò, efficacia retroattiva, prima dal d.l. n. 203 del 2005, convertito con modifiche nella legge n. 248 del 2005, e, poi, dal d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, ha stabilito che l’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale, così riconoscendo l’esenzione anche a fronte dello svolgimento di attività non esclusivamente istituzionali, purché ad esse connesse.

Pertanto, secondo il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo, Roma Capitale non poteva pretendere il pagamento dell’ICI nonostante lo svolgimento di un’attività di ristorazione all’interno del complesso immobiliare in questione, non essendo tale attività quella prevalente, ma solo un completamento dei servizi offerti ai propri associati e, soprattutto, agli atleti per raggiungere gli scopi statutari.

Irrilevante sarebbe pure stata la circostanza che il servizio de quo fosse svolto da un soggetto terzo titolare di propria partita Iva, essendo comune nei circoli l’esternalizzazione di alcune attività che, però, rimanevano sotto il diretto controllo dell’associazione sportiva, al punto che il gestore della sala bar-ristorante era da parificare alle persone che effettuavano la manutenzione della piscina o dei campi da tennis.

Per parte ricorrente il giudice del merito avrebbe errato, altresì, nel dare valore di prova legale all’avvenuto accatastamento dell’immobile in categoria D6 (fabbricati ed aree attrezzate per esercizi sportivi con fini di lucro).

Infine, il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo contesta il carattere meramente apparente della motivazione della sentenza di appello.

Le doglianze sono infondate.

Occorre, innanzitutto, effettuare una ricognizione della normativa rilevante nella specie.

L’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 stabiliva, nel testo vigente nel periodo rilevante nel presente giudizio, che fossero esenti dall’ICI “gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all’articolo 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi”, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222″.

L’articolo 87, comma 1, lettera c), del TUIR del 1986 menzionava, nel testo da prendere in considerazione ai fini dell’esenzione de qua, “gli enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali”.

Inoltre, l’articolo 7 in esame è stato oggetto di alcuni interventi legislativi.

Per l’esattezza, la legge n. 248 del 2005, di conversione del d.l n. 203 del 2005, ha inserito nel d.l. convertito, all’articolo 7, il comma 2 bis, il quale recita: “l’esenzione disposta dal D.Lgs.30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse”.

In seguito, l’articolo 2, comma 133, della legge n. 266 del 2005 ha aggiunto, in fine al comma 2 bis detto, il seguente periodo: “con riferimento ad eventuali pagamenti effettuati prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto non si fa comunque luogo a rimborsi e restituzioni d’imposta”.

L’articolo 39 del d.l. n. 223 del 2006, convertito in legge n. 248 del 2006, specificamente rubricato “modifica della disciplina di esenzione dall’ICI”, ha, quindi, sostituito il testo originario del summenzionato comma 2 bis con il seguente: “l’esenzione disposta dal D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i si intende applicabile alle attività indicate nella medesima lettera che non abbiano esclusivamente natura commerciale”.

L’articolo 148 del T.U. n. 917 del 1986 ha stabilito, infine, che:

“Non è considerata commerciale l’attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo.

Si considerano tuttavia effettuate nell’esercizio di attività commerciali, salvo il disposto del secondo periodo del comma 1 dell’articolo 143, le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto […]

Per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un’unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente agli associati.

La disposizione del comma 3 non si applica per le cessioni di beni nuovi prodotti per la vendita, per le somministrazioni di pasti, per le erogazioni di acqua, gas, energia elettrica e vapore, per le prestazioni alberghiere, di alloggio, di trasporto e di deposito e per le prestazioni di servizi portuali e aeroportuali né per le prestazioni effettuate nell’esercizio delle seguenti attività:

a) gestione di spacci aziendali e di mense;

b) organizzazione di viaggi e soggiorni turistici;

c) gestione di fiere ed esposizioni a carattere commerciale;

d) pubblicità commerciale;

e) telecomunicazioni e radiodiffusioni circolari.

Per le associazioni di promozione sociale ricomprese tra gli enti di cui all’articolo 3, comma 6, lettera e), della legge 25 agosto 1991, n. 287, le cui finalità assistenziali siano riconosciute dal Ministero dell’interno, non si considerano commerciali, anche se effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici, la somministrazione di alimenti e bevande effettuata, presso le sedi in cui viene svolta l’attività istituzionale, da bar ed esercizi similari e l’organizzazione di viaggi e soggiorni turistici, sempreché le predette attività siano strettamente complementari a quelle svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali e siano effettuate nei confronti degli stessi soggetti indicati nel comma 3.

Le disposizioni di cui ai commi 3, 5, 6 e 7 si applicano a condizione che le associazioni interessate si conformino alle seguenti clausole, da inserire nei relativi atti costitutivi o statuti redatti nella forma dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata:

a) divieto di distribuire anche in modo indiretto, utili o avanzi di gestione nonché fondi, riserve o capitale durante la vita dell’associazione, salvo che la destinazione o la distribuzione non siano imposte dalla legge;

b) obbligo di devolvere il patrimonio dell’ente, in caso di suo scioglimento per qualunque causa, ad altra associazione con finalità analoghe o ai fini di pubblica utilità, sentito l’organismo di controllo di cui all’articolo 3, comma 190, della legge 23 dicembre 1996, n. 662, e salvo diversa destinazione imposta dalla legge;

c) disciplina uniforme del rapporto associativo e delle modalità associative volte a garantire l’effettività del rapporto medesimo, escludendo espressamente la temporaneità della partecipazione alla vita associativa e prevedendo per gli associati o partecipanti maggiori d’età il diritto di voto per l’approvazione e le modificazioni dello statuto e dei regolamenti e per la nomina degli organi direttivi dell’associazione;

d) obbligo di redigere e di approvare annualmente un rendiconto economico e finanziario secondo le disposizioni statutarie;

e) eleggibilità libera degli organi amministrativi, principio del voto singolo di cui all’articolo 2532, comma 2, del codice civile, sovranità dell’assemblea dei soci, associati o partecipanti e i criteri di loro ammissione ed esclusione, criteri e idonee forme di pubblicità delle convocazioni assembleari, delle relative deliberazioni, dei bilanci o rendiconti; è ammesso il voto per corrispondenza per le associazioni il cui atto costitutivo, anteriore al 1 gennaio 1997, preveda tale modalità di voto ai sensi dell’articolo 2532, ultimo comma, del codice civile e sempreché le stesse abbiano rilevanza a livello nazionale e siano prive di organizzazione a livello locale;

f) intrasmissibilità della quota o contributo associativo ad eccezione dei trasferimenti a causa di morte e non rivalutabilità della stessa.

Omissis”.

Occorre sottolineare, altresì, che, per la giurisprudenza di legittimità, in tema di imposta comunale sugli immobili (ICI), l’articolo 7, comma 2 bis, del d.l. n. 203 del 2005 (introdotto dalla legge di conversione n. 248 del 2005), che ha esteso l’esenzione disposta dall’articolo 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 alle attività indicate nella medesima lettera a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse, e l’articolo 39 del d.l. n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, che ha sostituito il comma 2 bis dell’articolo 7 citato, estendendo l’esenzione alle attività che non abbiano esclusivamente natura commerciale, non si applicano retroattivamente, trattandosi di disposizioni che hanno carattere innovativo e non interpretativo (Cass., Sez. 5, n. 14795 del 15 luglio 2015).

Ne consegue che, nella presente controversia, le disposizioni introdotte dalla legge n. 248 del 2005 e dalla legge n. 248 del 2006 non hanno effetti sull’accertamento relativo all’anno 2005, ma, al massimo, su quello concernente il 2006.

Sulla base di queste premesse, occorre valutare, comunque, il motivo di impugnazione della parte ricorrente, almeno con riguardo all’anno 2006.

Sul punto, si rileva che, in tema di agevolazioni tributarie, l’esenzione d’imposta prevista dall’articolo 148 del d.P.R. n. 917 del 1986 in favore delle associazioni non lucrative e, dunque, anche delle associazioni sportive dilettantistiche, dipende non solo dall’elemento formale della veste giuridica assunta, ma anche dall’effettivo svolgimento di attività senza fine di lucro, il cui onere probatorio incombe sulla contribuente e non può ritenersi soddisfatto dal dato, del tutto estrinseco e neutrale, dell’affiliazione al Coni, essendo invece rilevante che le associazioni interessate si conformino alle clausole relative al rapporto associativo, che devono essere inserite nell’atto costitutivo o nello statuto (Cass., Sez. 6-5, n. 10393 del 30 aprile 2018; Cass., Sez. 5, n. 4872 dell’11 marzo 2015).

Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha chiarito, nell’interpretare l’articolo 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992, che tale norma esige la duplice condizione dell’utilizzazione diretta degli immobili da parte dell’ente possessore e dell’esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Se ne ricava che l’esenzione dall’ICI, che ha natura speciale e derogatoria della norma generale ed è, perciò, di stretta interpretazione, dovendosi applicare soltanto nelle ipotesi tipiche e tassative indicate (Cass., Sez. 5, n. 10646 del 20 maggio 2005; Cass., Sez. 5, n. 18549 del 4 dicembre 2003), non spetta nel caso di utilizzazione indiretta, benché assistita da finalità di pubblico interesse (Cass., Sez. 5, n. 12495 del 4 giugno 2014).

Sulla base della normativa e della giurisprudenza summenzionate occorre accertare, quindi, ai fini del riconoscimento o meno dell’esenzione in questione, se nell’immobile interessato fosse svolta direttamente dal Reale Circolo Canottieri Tevere Remo una attività riconducibile alla sua attività sociale e se il servizio di ristorazione in esame fosse strettamente correlato a detta attività o, invece, assumesse natura commerciale ed autonoma, dovendosi tenere presente che l’onere di dimostrare il carattere non commerciale della somministrazione di cibi e bevande gravava sulla parte ricorrente.

Al riguardo, si rileva che la CTR di Roma si è conformata ai principi posti dalla giurisprudenza di legittimità in materia e, nel merito, ha svolto sul punto una verifica puntuale ed approfondita, che avrebbe potuto essere sindacata solo nei termini consentiti dal testo attuale dell’articolo 360, comma 5, c.p.c. per omessa << motivazione o omesso esame di fatti rilevanti per la decisione (non potendo essere contestati l’insufficienza o la contraddittorietà della motivazione).

Il Reale Circolo Canottieri Tevere Remo si limita a riproporre in questa sede la tesi secondo cui il servizio di ristorazione sarebbe stato un completamento di quelli offerti ai propri associati e, soprattutto, agli atleti per raggiungere gli scopi statutari, non differenziandosi dall’attività di chi si prende cura delle attrezzature sportive.

La CTR ha, però, in primo luogo, chiarito che la parte ricorrente non aveva neppure fornito notizie in ordine alle norme statutarie concernenti il complesso sportivo in questione, così impedendo il relativo controllo, e che le affiliazioni per le varie attività sportive erano state rilasciate al circolo presso la sede istituzionale in Roma, Lungotevere in Augusto n. 21, e non presso la struttura in esame.

Inoltre, ha rilevato che il ristorante, gestito assieme al bar da un soggetto fiscale esterno, era spesso aperto a pranzo ed a cena fino alle 23, con possibilità di scelta fra un menu sociale ad € 15,00 ed uno alla carta con cinque primi, cinque secondi, dessert e carta dei vini, con obbligo di self service in piscina e possibilità di richieste di primizie e materia prime di costo elevato i prezzi delle quali potevano variare sulla base delle quotazioni di mercato. Doveva, altresì, essere fornito un servizio di prima categoria e potevano essere organizzati pranzi sociali, banchetti e rinfreschi anche nell’interesse di ciascun socio.

La CTR ne ha desunto che venisse in questione una completa attività di ristorazione che nulla aveva a che vedere con le finalità sociali di pubblico interesse perseguite per statuto, ma aveva natura commerciale e produttiva di reddito.

Il giudice di secondo grado ha, quindi, escluso una utilizzazione diretta degli immobili per attività sportive o, comunque, ad esse funzionali o collegabili, essendo irrilevante che i fruitori del servizio potessero essere solo i soci od i loro invitati, il gestore effettuando, in ogni caso, una attività di somministrazione di pasti dietro corrispettivo non collegata con le discipline sportive nelle quali avrebbero dovuto cimentarsi gli associati che, al massimo, potevano rappresentate il parziale bacino di utenza di possibili clienti.

Una volta compiuto tale accertamento, la CTR ha affermato che l’iscrizione in catasto in categoria D6 era corretta, non avendo, pertanto, attribuito a detta iscrizione alcun valore di prova legale.

Se ne ricava che il giudice del merito ha esaminato tutti i fatti rilevanti, nel rispetto della giurisprudenza di legittimità, che pone l’onere di provare il diritto all’esenzione a carico del contribuente, e che non può neppure ipotizzarsi l’esistenza di una motivazione apparente.

Ne consegue il rigetto dei motivi di impugnazione.

3. Il ricorso va, pertanto, respinto.

4. Le spese di lite seguono la soccombenza, ai sensi dell’articolo 91 c.p.c., e sono liquidate come in dispositivo.

Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’articolo 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’articolo 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).

P.Q.M.

– rigetta il ricorso;

– condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite in favore della parte controricorrente, che liquida in complessivi € 3.000,00, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge;

– ai sensi dell’articolo 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.