CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 gennaio 2022, n. 737
Tributi – IRPEF – Accertamento sintetico del reddito – Redditometro – Presunzione – Onere di prova contraria del contribuente
Fatti di causa
la parte contribuente impugnava due avvisi di accertamento per IRPEF relativi agli anni d’imposta 2007 e 2008, avvisi che rideterminavano il suo reddito mediante l’uso del cd. redditometro;
la Commissione Tributaria Provinciale respingeva il ricorso della parte contribuente ma la Commissione Tributaria Regionale ne accoglieva l’appello rilevando la mancanza di un preventivo contraddittorio;
con sentenza n. 12116 del 2017 la Corte di Cassazione rilevava che l’accertamento era stato definito “a tavolino” e quindi non era necessaria la procedura del contraddittorio preventivo e che l’accertamento con metodo sintetico dispensa l’amministrazione da qualsivoglia ulteriore prova rispetto agli indici utilizzati in base al cd. redditometro, spettando al contribuente l’onere della prova contraria;
la Commissione Tributaria Regionale, adita in riassunzione dalla parte contribuente, ne accoglieva l’appello osservando che l’Ufficio non è stato in grado di indicare che le somme ricevute dai genitori avessero una componente diversa dalla eredità/donazione, il contribuente aveva un “avanzo di cassa” per il 2007 e per il 2008 cosicché è errato il conteggio operato dall’Ufficio.
Avverso la suddetta sentenza proponeva ricorso l’Agenzia delle entrate, affidato ad un motivo mentre la parte contribuente si costituiva con controricorso.
Ragioni della decisione
Considerato che:
con il motivo d’impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 38, del d.P.R. n. 600 del 1973 e dell’art. 2697 c.c. per non aver fatto corretta applicazione del principio dell’onere della prova in materia di cd. redditometro.
ritenuto che il motivo è fondato in quanto, secondo questa Corte: la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati per un significativo arco temporale compatibili con gli incrementi patrimoniali verificatisi ma anche la dimostrazione di circostanze sintomatiche che ne denotino l’utilizzo per effettuare proprio le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della “durata” del relativo possesso (Cass. n. 16433 del 2021; Cass. n. 14068 del 2020; Cass. n. 29067 del 2018; Cass. n. 19132 del 2019); in tema di accertamento cd. sintetico, ove il contribuente deduca che la spesa effettuata deriva da risorse di natura non reddituale di cui ha goduto il proprio nucleo familiare, ai sensi dell’art. 38, comma 6, d.P.R. n. 600 del 1973 (applicabile “ratione temporis”), per consentire la riiferibilità della maggiore capacità contributiva a tali ulteriori redditi, è onerato della prova contraria in ordine alla loro disponibilità, alla loro entità ed alla durata del relativo possesso, sicché, sebbene non debba dimostrarne l’utilizzo per sostenere le spese contestate, è tenuto a produrre documenti da cui emergano elementi sintomatici del fatto che ciò sia accaduto o sia potuto accadere (Cass. n. 16433 del 2021; Cass. n. 16637 del 2020); ritenuto infatti che l’art. 38 cit. richiede qualcosa di più della mera prova della disponibilità di ulteriori redditi, occorrendo che il contribuente dimostri che debba escludersi che i suddetti redditi siano stati utilizzati per finalità non considerate ai fini dell’accertamento sintetico, quali, ad esempio, un ulteriore investimento finanziario, perché in tal caso essi non sarebbero ovviamente utili a giustificare le spese e/o il tenore di vita accertati, i quali dovrebbero pertanto ascriversi a redditi non dichiarati (Cass. n. 16433 del 2021; Cass. n. 14068 del 2020; Cass. n. 7389 del 2018), occorrendo dunque che il contribuente dimostri non solo la “coincidenza temporale” – circostanza peraltro che la Commissione Tributaria Regionale, pur indicando le date delle spese e dei redditi pervenuti non ha ben evidenziato – tra la disponibilità della somma e il pagamento da cui è dipeso l’incremento patrimoniale, ma anche la “durata” del possesso, ossia la prova che non vi sia stata soluzione di continuità nella disponibilità della somma dal momento in cui tale disponibilità è stata conseguita e quello dell’esborso patrimoniale (Cass. n. 16433 del 2021; Cass. n. 14068 del 2020; Cass. n. 7389 del 2018);
ritenuto che la Commissione Tributaria Regionale non si è attenuta ai suddetti principi laddove – affermando che l’Ufficio non è stato in grado di indicare che le somme ricevute dai genitori avessero una componente diversa dalla eredità/donazione, il contribuente aveva un “avanzo di cassa” per il 2007 e per il 2008 cosicché è errato il conteggio operato dall’Ufficio – non ha fatto buon governo dei principi in materia in tema di onere della prova (che grava in capo alla parte contribuente) e ha interpretato la necessità della permanenza in capo al contribuente della durata del possesso solo come mero dato temporale, mentre la prova contraria a carico del contribuente ha ad oggetto non soltanto la disponibilità di redditi ulteriori rispetto a quelli dichiarati per un significativo arco temporale compatibili con gli incrementi patrimoniali verificatisi ma anche la dimostrazione di circostanze sintomatiche che ne denotino l’utilizzo per effettuare proprio le spese contestate e non altre, dovendosi in questo senso intendere il riferimento alla prova della “durata” del relativo possesso.
Pertanto, ritenuto fondato il motivo di impugnazione, il ricorso dell’Agenzia delle entrate va accolto e la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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