CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2018, n. 15304
Cartella esattoriale – Verbale di accertamento ispettivo – Lavoratori in trasferta – Indennità di mensa – Versamento contributivo
Ritenuto che
con sentenza n. 447 del 2010 la Corte d’appello di Venezia, in riforma della sentenza del Tribunale di primo grado di accoglimento dell’opposizione a cartella esattoriale relativa a crediti contributivi derivati da verbale di accertamento ispettivo pari ad Euro 44.667,68 (per il periodo settembre 2001- maggio 2003) notificata il 3 maggio 2005 e proposta da C. s.a.s., ha dichiarato: la fondatezza della pretesa dell’INPS relativamente al versamento della contribuzione sulle somme erogate a titolo di indennità di mensa ai lavoratori inviati in trasferta, che già fruivano di fornitura gratuita dei pasti; l’infondatezza della pretesa relativa all’assoggettamento a contribuzione delle somme previste dal c.c.n.I. metalmeccanici in favore dei lavoratori trasferisti per il tempo necessario a raggiungere il luogo della prestazione lavorativa, posto che tale contratto non era applicabile alla società opponente quanto ad attività espletata; avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione A. M. già socio accomandatario della C.M.N.I. s.a.s. di M. A. & C., cancellata dal Registro delle imprese il 23.2.2005, fondato su tre motivi: a) violazione e o falsa applicazione dell’art. 2216 cod.civ. ed omessa o insufficiente motivazione in riferimento alla valutazione della natura retributiva della somma giornaliera di Euro 5,16 erogata, una volta al mese insieme alla retribuzione globale, ai dipendenti a titolo di rimborso della spesa per i pasti, solo perché non risultante dalla contabilità; b) violazione e o falsa applicazione degli artt. 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., nonché omessa e contraddittoria motivazione in ordine alla errata interpretazione delle dichiarazioni rese in sede ispettiva dal M. sulla corresponsione a dipendenti delle somme contestate ed alla incomprensibile irrilevanza riservata alle testimonianze del consulente del lavoro della società (A.) e di un dipendente (B.); c) violazione e falsa applicazione dell’art. 48 d.p.r. n. 917/A del 22.12.1986 (ante riforma 2004) ed omessa e contraddittoria motivazione relativamente all’erronea inclusione nella base di calcolo della contribuzione della somma rientrante nel limite indicato dall’art. 48 cit., stante la coincidenza tra imponibile fiscale e contributivo ex art. 6 d.lgs. n. 314 del 1997 ed a prescindere dall’utilizzo fatto di tale somma dai lavoratori; lìnps resiste con controricorso; il ricorrente ha depositato memoria illustrativa;
Considerato che
I motivi vanno esaminati congiuntamente perché connessi; con esplicita indicazione in rubrica tutti richiamano, allo stesso tempo, il vizio di cui all’art. 360 comma 1 n. 5, (nella formulazione ratione temporis vigente) quanto alla erronea valutazione di plurime fonti di prova documentali e testimoniali, ed il vizio di violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, e precisamente degli artt. 2216 cod. civ., 116 cod. proc. civ. e 2697 cod. civ., 48 d.p.r. n. 917/A del 22.12.1986 (ante riforma 2004); le censure, in questi termini formulate, non possono essere esaminate in questa sede di legittimità, posto che in tema di ricorso per Cassazione il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di cassazione dall’art. 65 ord. giud.); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge ed impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione;
il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. 15499 del 2004, 16312 del 2005, 10127 del 2006 4178 del 2007 e 7394 del 2010);
nella specie la ricorrente deduce la erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa, tanto è vero che assume, nell’illustrare il primo motivo, che < […] si è quindi certamente in presenza di una motivazione non solo contraddittoria ma addirittura incomprensibile >, ovvero, al secondo motivo, che < […] nel momento in cui afferma esser stata accertata in sede ispettiva la fornitura gratuita dei pasti, la Corte altro non fa che elevare tale congettura extra processuale al rango di prova>, o ancora, al terzo motivo < […] nel valorizzare il passaggio espunto dalla dichiarazione del teste B., impugnata sentenza è incorsa altresì in errore [..];
secondo la giurisprudenza di questa Corte è inammissibile il motivo di ricorso nel cui contesto trovino formulazione, al tempo stesso, censure aventi ad oggetto violazione di legge e vizi della motivazione, ciò costituendo una negazione della regola di chiarezza posta dall’art. 360 c.p.c. (nel senso che ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione) giacché si affida alla Corte di cassazione il compito di enucleare dalla mescolanza dei motivi la parte concernente il vizio di motivazione che invece deve avere una autonoma collocazione (V. Cass. 11 aprile 2008 n. 9470; 23 luglio 2008 n. 20355 e ancora nello stesso senso 29 febbraio 2008 n. 5471; 7982/2016);
peraltro la ricorrente, sotto il profilo del vizio motivazionale, con la censura in esame si limita a prospettare una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal giudice del merito, mentre secondo giurisprudenza unanime di questa Corte il motivo di ricorso per Cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art.360 c.p.c., comma 1, n. 5); in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cfr. per tutte Cass. 6064/08).
la sentenza della Corte d’appello di Venezia, a proposito del regime contributivo da applicare all’affermato rimborso delle spese per il pasto, ha accertato che in sede ispettiva l’amministratore della Società aveva ammesso che in occasione delle trasferte i dipendenti anticipavano le somme per il vitto e che successivamente, si provvedeva a rimborsare le spese sostenute, ma tale dichiarazione non aveva trovato riscontro documentale giacché non si erano trovato tracce di rimborsi;
date queste premesse fattuali, la fattispecie qui considerata è stata correttamente inquadrata nel sistema della regolamentazione contributiva di cui all’art. 12 della legge n. 153 del 1969 che fa rinvio all’art. 48 del t.u. n. 917/1986 (come sostituito dall’art. 3 del d.lgs. n. 314 del 1997), il cui testo, per quanto qui di interesse, prevede :< Il reddito da lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di lavoro…> ;
nell’ottica considerata, dunque, l’opposizione a cartella si fonda sul contrapporre al diritto dell’Inps di pretendere i contributi (o di pretenderne il versamento in misura intera) il (contro)diritto del datore di lavoro opponente all’applicazione di un beneficio comportante la insussistenza (o la riduzione) del debito contributivo e viene, quindi, in rilievo, il principio generale più volte enunciato da questa Corte, secondo cui, laddove si versi in situazione di eccezione in senso riduttivo dell’obbligo contributivo, grava sul soggetto che intenda beneficiarne l’onere di provare il possesso dei requisiti che, per legge, danno diritto all’esonero (o alla detrazione) di volta in volta invocata (cfr., ex plurimis, Cass., nn. 5137/2006; 16351/2007; 499/2009; 21898/2010);
in definitiva, il ricorso va rigettato e le spese seguono la soccombenza nella misura indicata in dispositivo in favore dell’INPS;
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento in favore del controricorrente delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, spese forfettarie nella misura del 15 per cento e spese accessorie di legge.
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