CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2018, n. 15306
Rapporto di lavoro – Contratto a tempo determinato – Incentivi alla produttività collettiva – Riconoscimento – Corresponsione
Rilevato che
1. La Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Ravenna, confermata nel resto, ha rigettato la domanda avanzata dagli attuali ricorrenti, lavoratori a tempo determinato, avente ad oggetto il riconoscimento del diritto alla corresponsione degli incentivi economici previsti dall’articolo 32 C.C.N.L. di comparto per i dipendenti a tempo indeterminato. Ha osservato che, pur essendo gli incentivi alla produttività collettiva non incompatibili con la prestazione di lavoro a termine, tuttavia ciò non esonerava i ricorrenti dall’onere di allegare e provare le circostanze che legittimano l’erogazione del compenso in questione, oltre che le modalità di calcolo dello stesso, anche solo precisando le condizioni in base alle quali tale compenso era stato riconosciuto ai lavoratori a tempo indeterminato. Ha difatti precisato che, come si evince dall’articolo 32 C.C.N.L., il trattamento è correlato alla qualità della prestazione resa, per cui il compenso non è legato unicamente allo svolgimento della prestazione, ma ad ulteriori elementi anche soggettivi (valutazioni e verifiche), in ordine ai quali i ricorrenti nulla avevano dedotto.
1.1. La Corte di appello ha dunque concluso che la mancanza di allegazione, prima che di prova, sui fatti costitutivi del diritto precludeva l’accoglimento della domanda, con conseguente riforma sul punto della sentenza di primo grado impugnata.
2. Per la cassazione di tale sentenza gli originari ricorrenti hanno proposto ricorso affidato a tre motivi. La C.R.I. è rimasta intimata.
3. Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso, richiamando l’orientamento interpretativo espresso dalla giurisprudenza di questa Corte: (v., tra le altre, Cass. n. 488, n. 487, n. 359, n. 285, n. 279, n. 277, n. 197, n. 196, n. 152, n. 33 del 2016, e n 26007, n. 25552 del 2015 e, tra le più recenti, Cass. n. 12161 del 2017) secondo cui il compenso incentivante, quale elemento della retribuzione legato al raggiungimento di specifici obiettivi programmati nell’ambito dei fini istituzionali dell’ente, deve essere corrisposto anche al personale della Croce Rossa Italiana a tempo determinato, riferendosi l’art. 28, comma 1, lett. e) del c.c.n.I. del personale degli enti pubblici non economici del 16 febbraio 1999, che lo prevede, a “dipendenti” e a “lavoratori” e, quindi, a prestazioni di attività lavorative tanto a tempo indeterminato che determinato, senza che sia desumibile un’incompatibilità ontologica con una modulazione del rapporto a termine.
4. I ricorrenti hanno depositato memoria.
Considerato che
1. Il primo motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) relativamente alle circostanze che legittimano il compenso incentivante. Si assume che, sin dal ricorso di primo grado, era stato dedotto che gli incentivi in questione sono correlati alla produttività collettiva e non sono legati ad alcun elemento soggettivo individuale.
2. Il secondo motivo denuncia insufficiente e contraddittoria motivazione (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.) relativamente alle modalità di calcolo del compenso incentivante, laddove né il contratto collettivo né la legge disciplinano tale aspetto, la cui fonte è interna e non conoscibile.
3. Il terzo motivo verte su violazione o falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.) per non avere la Corte territoriale posto a fondamento della decisione la mancata contestazione dei fatti costitutivi del diritto azionato. Si deduce che la C.R.I. non aveva mai eccepito la mancanza di allegazioni o l’assenza di prova, né aveva dedotto alcunché sulle modalità di calcolo del compenso incentivante. Sul punto non vi era mai stata contestazione, poiché la materia del contendere si era incentrata unicamente sulla presunta eccezionalità del rapporto di lavoro a termine espletato dai ricorrenti.
4. Il ricorso è inammissibile per le ragioni che seguono.
5. Va premesso che risulta dalla sentenza impugnata che la Corte territoriale, pur ritenendo di non condividere l’assunto della C.R.I. secondo cui gli incentivi alla produttività collettiva non sono a priori incompatibili con la struttura del rapporto a termine, dato che anche in un rapporto a termine il dipendente partecipa al raggiungimento dell’obiettivo, ha addebitato ai lavoratori la mancata allegazione, ancor prima che il difetto di prova, dei fatti costitutivi del diritto azionato, ossia la mancata osservanza degli oneri di cui all’art. 2697 cod. civ. (“…onere di allegare e provare le circostanze che legittimano l’erogazione del compenso de quo… anche solo precisando le condizioni in base alle quali è stato riconosciuto ai lavoratori a tempo indeterminato”, pag. 9 sent. imp.).
6. Tanto premesso, va rilevato che la rubrica dei primi due motivi fa riferimento a vizi di illogicità e/o contraddittoria motivazione.
La sentenza gravata è stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012. Trova dunque applicazione il nuovo testo dell’ 360, secondo comma, n. 5, cod. proc. civ., come sostituito dall’art. 54, comma 1, lett. b), del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la sentenza può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. A norma dell’art. 54, comma 3, del medesimo decreto, tale disposizione si applica alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012). Nel sistema l’intervento di modifica del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte, comporta un’ulteriore sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto.
6.1. Con la sentenza del 7 aprile 2014 n. 8053 le Sezioni Unite hanno chiarito che la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione. Perché la violazione sussista, secondo le Sezioni Unite, si deve essere in presenza di un vizio “così radicale da comportare con riferimento a quanto previsto dall’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. Mancanza di motivazione si ha quando la motivazione manchi del tutto oppure formalmente esista come parte del documento, ma le argomentazioni siano svolte in modo “talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum”. Pertanto, a seguito della riforma del 2012 scompare il controllo sulla motivazione con riferimento al parametro della sufficienza, ma resta il controllo sulla esistenza (sotto il profilo della assoluta omissione o della mera apparenza) e sulla coerenza (sotto il profilo della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta).
6.2. Nessuno di tali vizi ricorre nel caso in esame, atteso che la sentenza ha dato conto delle ragioni poste a base del decisum. La motivazione non è assente o meramente apparente, né gli argomenti addotti a giustificazione dell’apprezzamento fattuale appaiono manifestamente illogici o contraddittori. La doglianza di insufficiente motivazione di cui al secondo e al terzo motivo si pone, dunque, al di fuori dell’area di rilevanza del vizio denunciato ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ..
7. Con il terzo motivo si denuncia la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ., addebitando alla sentenza di non avere considerato la mancata contestazione dei fatti costitutivi del diritto ad opera della parte convenuta. Si introduce quindi un vizio di ordine processuale.
7.1. Se è vero che l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina ex se l’inammissibilità di questo in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura (Cass. n. 14026 del 2012, 7981 del 2007, 7882 del 2006) e dunque non rileva la correttezza dell’indicazione del riferimento normativo (e cioè l’evocazione dell’art. 360, primo comma, numero 3, in luogo del numero 4, cod. proc. civ.), ove dal contesto del motivo sia possibile desumere la denuncia di un errore di siffatta natura, è tuttavia necessario che sia rispettato il principio di cui all’art. 366 cod. proc. civ. (v. Sezioni Unite n. 17931 del 2013; conf. Cass. n. 24553 del 2013).
7.2. Al riguardo, è stato osservato che, quando il motivo di impugnazione si fondi sul rilievo che la controparte avrebbe tenuto condotte processuali di non contestazione, per consentire alla Corte di legittimità di prendere cognizione delle doglianze ad essa sottoposte, il ricorso, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, cod. proc. civ., deve sia indicare la sede processuale di adduzione delle tesi ribadite o lamentate come disattese, sia contenere la trascrizione dei relativi passaggi argomentativi (Cass. n. 16655 del 2016, n. 14784 del 2015, n. 8569 del 2013). Ancor più recentemente è stato affermato che, ove con il ricorso per cassazione si ascriva al giudice di merito di non avere tenuto conto di una circostanza di fatto che si assume essere stata “pacifica” tra le parti, il principio di autosufficienza del ricorso impone al ricorrente di indicare in quale atto sia stata allegata la suddetta circostanza, ed in quale sede e modo essa sia stata provata o ritenuta pacifica (Cass. n. 24062 del 2017).
7.3. Nel caso di specie, il terzo motivo non reca in alcuna parte la trascrizione degli atti di parte convenuta da cui emergerebbe la non contestazione dei fatti costitutivi del diritto azionato.
8. Per tali assorbenti profili, il ricorso va dichiarato inammissibile. Nulla va disposto quanto alle spese del giudizio di legittimità, stante l’assenza di attività difensiva di parte intimata.
9. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, inammissibilità del ricorso) per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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