CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2019, n. 15771
Accertamento del rapporto di lavoro subordinato – Onere probatorio – Prova per presunzioni
Rilevato che
1. la Corte di Appello di Milano, con sentenza pubblicata in data 29 agosto 2014, ha confermato la pronuncia di primo grado che, in parziale accoglimento del ricorso proposto da S. G. nei confronti di L. M., ha condannato quest’ultimo al pagamento della complessiva somma di euro 5.842,32 per emolumenti retributivi in relazione all’accertato rapporto di lavoro subordinato intercorso tra le parti dal gennaio 2003 al dicembre 2006;
2. per la cassazione di tale sentenza propone ricorso L. M. con unico motivo; resiste con controricorso il lavoratore;
Considerato che
1. con il motivo di ricorso si denuncia “violazione dell’art. 2729 c.c. – errato ricorso alla presunzione: vizio censurabile ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.”; si critica la sentenza impugnata per avere fondato il convincimento circa l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti “sulla base di tre elementi di fatto”; si contesta che da tali fatti ignoti la Corte di Appello potesse trarre in via inferenziale l’esistenza di un fatto noto, difettando i requisiti della gravità e concordanza; in particolare si eccepisce che “la testimonianza del B. deve essere considerata totalmente inattendibile essendo il teste incorso, nell’ambito della deposizione testimoniale resa, in numerose ed evidenti contraddizioni, imprecisioni ed incertezze … unitamente al rapporto di affinità con il ricorrente”; si sostiene che avrebbero dovuto essere considerate attendibili le deposizioni di D’A. e P.; si deduce che non è consentita la prova per presunzioni quando non è consentita la prova per testimoni, come nel caso di specie concernente l’accertamento di un contratto di lavoro subordinato eccedente il valore di euro 2,58;
2. il motivo è inammissibile perché, nonostante la formale denuncia di errori di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, nella sostanza propone una diversa valutazione della vicenda storica che ha dato origine alla contesa, anche attraverso un difforme apprezzamento delle risultanze istruttorie;
circa la pretesa violazione dell’art. 2729 c.c., le presunzioni semplici costituiscono una prova completa alla quale il giudice di merito può attribuire rilevanza, anche in via esclusiva, ai fini della formazione del proprio convincimento, ma nell’ambito del potere discrezionale, istituzionalmente demandatogli, di individuare le fonti di prova, controllarne l’attendibilità e la concludenza e, infine, scegliere, fra gli elementi probatori sottoposti al suo esame, quelli ritenuti più idonei a dimostrare i fatti costitutivi della domanda o dell’eccezione, spetta al giudice di merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare il fatto da porre a fondamento del relativo processo logico e valutarne la rispondenza ai requisiti di legge, con apprezzamento di fatto a lui riservato (cfr. Cass. n. 10847 del 2007; Cass. n. 24028 del 2009; Cass. n. 21961 del 2010); la delimitazione del campo affidato al dominio del giudice del merito consente innanzi tutto di escludere che chi ricorre in cassazione in questi casi possa limitarsi a lamentare che il singolo elemento indiziante sia stato male apprezzato dal giudice o che sia privo di per sé solo di valenza inferenziale o che comunque la valutazione complessiva non conduca necessariamente all’esito interpretativo raggiunto nei gradi inferiori (v. Cass. n. 29781 del 2017); essendo compito istituzionalmente demandato al giudice del merito selezionare gli elementi certi da cui “risalire” al fatto ignorato (art. 2727 c.c.) che presentino una positività parziale o anche solo potenziale di efficacia probatoria e l’apprezzamento circa l’idoneità degli elementi presuntivi a consentire illazioni che ne discendano secondo il criterio dell’id quod plerumque accidit esso è sottratto al controllo di legittimità (in termini, Cass. n. 16831 del 2003; Cass. n. 26022 del 2011; Cass. n. 12002 del 2017), salvo che esso non si presenti intrinsecamente implausibile tanto da risultare meramente apparente; pertanto chi censura un ragionamento presuntivo o il mancato utilizzo di esso (come nella specie) non può limitarsi a prospettare l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014;
inoltre, la doglianza relativa alla violazione delle norme sulle presunzioni non viene, a sua volta, presentata nei termini indicati da Cass. SS.UU. 24 gennaio 2018 n. 1785, che in motivazione identifica la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c. allorquando il giudice di merito fondi la presunzione “su un fatto storico privo di gravità o di precisione o di concordanza ai fini della inferenza dal fatto noto della conseguenza ignota”, per cui, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c., il giudice di legittimità può essere investito “dell’errore in cui il giudice di merito sia incorso se considera grave una presunzione (cioè un’inferenza) che non lo sia o sotto un profilo logico generale o sotto il particolare profilo logico (interno ad una certa disciplina) entro il quale essa si collochi”, e lo stesso vale per il controllo della precisione e della concordanza; ontologicamente diversa è invece – rimarca la pronuncia – la critica al ragionamento presuntivo del giudice di merito che si concreta, appunto come nella specie, nell’addurre che la ricostruzione fattuale poteva essere espletata in altro modo;
3. conclusivamente il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con spese liquidate secondo soccombenza come da dispositivo, con attribuzione in favore dell’Avv. R. S. dichiaratosi antistatario nel controricorso; occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012;
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 5.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, accessori secondo legge e spese generali al 15%, con attribuzione.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.