CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11332
Tributi – Accertamento induttivo – Reddito di impresa – Elementi indiziari – Percentuale di ricarico medio ponderato desunta dai prezzi di vendita
Ritenuto che
– E.G. ha impugnato l’avviso di accertamento n. RFK010740/2005 relativo all’anno di imposta 2003, emesso sulla base delle risultanze di un processo verbale di constatazione redatto in data 27 aprile 2005 dall’Agenzia delle Entrate, Ufficio di Taranto 2, con il quale si era provveduto a rettificare in euro 126.457,00 il reddito di impresa dichiarato dalla contribuente, titolare dell’omonima ditta individuale L.B., corrente in Taranto, pari a euro 13.420,00, recuperando a tassazione ricavi non contabilizzati per euro 113.037,00;
– la Commissione tributaria provinciale di Taranto, con sentenza del 4 aprile 2007, n. 138/7/07, ha accolto il ricorso;
– la Commissione tributaria regionale della Puglia, sezione staccata di Taranto, ha respinto l’impugnazione proposta dall’Agenzia delle entrate, confermando che il metodo induttivo seguito per l’accertamento non era suffragato da una attenta analisi dei dati, soprattutto in assenza di altri elementi, fatti e circostanze che potevano giustificarne il ricorso. La pronuncia ha precisato che, in tema di imposte dirette, le presunzioni utilizzabili per l’accertamento di maggiori ricavi devono fondarsi su di un fatto noto e non esso stesso presunto e che nel caso di specie le presunzioni utilizzate dall’ufficio si fondavano sul «calcolo della percentuale di ricarica» desunta dai prezzi di vendita rilevati per un «campione» di merci nell’anno 2005 e applicata agli acquisti di merce dell’anno 2003. Incombe all’Ufficio l’onere di fornire elementi in senso contrario, risultando insufficiente a tal fine la mera affermazione secondo cui l’accertamento è corretto, la Commissione tributaria regionale ha evidenziato, nella specie, che la contribuente ha allegato al ricorso introduttivo l’elaborazione degli studi di settore per l’anno 2003, in tal modo dimostrando che i ricavi dichiarati erano «congrui» e la percentuale di ricarica applicata era «coerente», confutando l’esistenza di «gravi» incongruenze tra i ricavi dichiarati e quelli desumibili dagli studi di settore che avrebbero legittimato l’Ufficio alla rettifica induttiva;
– l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi;
– la contribuente, sia pur regolarmente intimata, non si è costituita.
Considerato che
– con il primo motivo di ricorso si contesta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e degli articoli 39, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 600/1973 (in materia di accertamento delle imposte sui redditi) e 54, comma 2, del d.P.R. n. 633/1972 (in materia di IVA), in relazione all’art 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Parte ricorrente evidenzia che in presenza di un accertamento analitico-induttivo ai fini II.DD. e Iva per l’anno 2003, è legittima, in mancanza di prova contraria ex art. 2697 c.c., la ricostruzione dei ricavi effettuata dall’Ufficio sulla base di percentuale di ricarico medio ponderato, che tenga conto di elementi sintomatici della redditività dell’impresa, quali: 1) acquisti e relativi prezzi, esistenze iniziali e finali, tutti dettagliati per quantità e valore, riferiti all’anno 2003, 2) prezzi di vendita rilevati dai cartellini esposti al pubblico e rinvenuti al momento dell’accesso, anno 2005 e 3) assenza di variazioni significative relative alle condizioni di concorrenza, alla ubicazione del punto vendita e alla tipologia delle merci trattate ed alle condizioni di acquisto e vendita dal 2003 al 2005;
– con il secondo motivo di ricorso, in subordine, si prospetta l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., costituito dall’omessa valutazione sull’affidabilità del criterio metodologico adottato dai verificatori sull’attività di vendita di abbigliamento al dettaglio della ditta individuale oggetto di verifica fiscale. Secondo la prospettazione di parte ricorrente, contrariamente a quanto sostenuto dalla Commissione tributaria regionale, le percentuali di ricarico, in caso di loro eventuale utilizzo per accertamenti di periodi di imposta differenti da quello cui le stesse si riferiscono, costituiscono pur sempre elementi validi per ricostruire i dati corrispondenti relativi agli anni precedenti (o successivi), soprattutto laddove il contribuente non alleghi elementi probatori concreti (come, per esempio, un cambiamento delle condizioni di mercato in cui opera l’azienda o una modifica della politica commerciale di quest’ultima), tali da determinare la necessità di variare in misura significativa dette percentuali di ricarico, senza considerare, tra l’altro, il fatto che, solitamente, il ricarico utilizzato per annualità precedenti (più datate) rispetto all’anno del controllo, risultano più favorevoli per la parte. Pertanto, la motivazione della Commissione tributaria regionale sarebbe carente in quanto i secondi giudici avrebbero dovuto quantomeno verificare concretamente se il “campione” di merci utilizzato dall’Ufficio fosse o meno significativo e, quindi, affidabile. In sintesi, la pronuncia risulterebbe viziata da omessa motivazione nella parte in cui, in presenza di un accertamento analitico-induttivo ai fini II.DD. e Iva per l’anno 2003, ha omesso di valutare la ricostruzione dei ricavi effettuata dall’Ufficio sulla base di percentuale di ricarico medio ponderato, fondata su elementi sintomatici della redditività dell’impresa;
– il primo e il secondo motivo, da trattarsi congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono fondati;
– secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di accertamento analitico induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse (Cass. 29 dicembre 2016, n. 27330);
– nel caso di specie, con motivazione non congruente, la Commissione tributaria regionale ha erroneamente ritenuto che l’adozione di un criterio induttivo avrebbe di regola imposto l’utilizzo di dati riferiti al medesimo periodo d’imposta al quale l’accertamento si riferisce, facendo gravare sull’Amministrazione il compito di fornire elementi in senso contrario, lì dove, invece, è proprio il criterio induttivo a consentire all’Amministrazione di fondare l’accertamento su elementi sintomatici della redditività dell’impresa, con onere della prova contraria da parte del contribuente (nella specie, l’Amministrazione, nelle sue difese aveva fatto riferimento a circostanze specifiche quali: acquisti e relativi prezzi, esistenze iniziali e finali, dettagliati per quantità e valore, riferiti all’anno 2003, prezzi di vendita rilevati dai cartellini esposti al pubblico e rinvenuti al momento dell’accesso nel 2005 e assenza di variazioni significative relative alle condizioni di concorrenza, ubicazione del punto vendita e alla tipologia delle merci trattate ed alle condizioni di acquisto e vendita dal 2003 al 2005);
– in conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Taranto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Puglia, sez. staccata di Taranto, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
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