CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11365
Condono degli obblighi contributivi e degli accessori relativi – Indebito pagamento – Appalto per la lavorazione di articoli da regalo e decoro – Mere prestazioni di lavoro – Effettiva ed autonoma strutturazione della impresa – Mancata prova
Rilevato che
1. Il Tribunale di Macerata, con la pronuncia del 23.12.2013, ha accolto la domanda proposta dalla B. srl, nei confronti dell’INPS, condannando quest’ultimo al pagamento della somma di euro 44.089,79, oltre interessi, a titolo di indebito pagamento: in particolare, la sentenza di prime cure, premesso che la società aveva condonato gli obblighi contributivi e gli accessori relativi al periodo aprile 1991 – agosto 1994, pretesi dall’INPS sul presupposto che essa fosse la beneficiaria di prestazioni di lavoro dipendente fornitele dalla intermediaria impresa K. di C. S., figlio del legale rapp.te. B. srl d aveva invece ritenuto genuino e non concernente mere prestazioni di lavoro l’appalto per la lavorazione di articoli da regalo e decoro.
2. La Corte di appello di Ancona, con la pronuncia n. 365 del 2014, in riforma della impugnata pronuncia, ha accolto il gravame proposto dall’INPS e ha rigettato l’originaria domanda presentata dalla B. srl.
3. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno precisato, per quello che interessa, che: 1) il riconoscimento del carattere artigiano, e quindi dell’effettiva ed autonoma strutturazione della impresa di C. S., non era opponibile all’INPS che non era stato parte del relativo giudizio; 2) non era stato dimostrato che le due imprese, sia sotto il profilo logistico che sotto quello giuridico, fossero effettivamente autonome non essendo, a tal scopo, utile la sola fatturazione da parte della ditta K. dei pezzi consegnati alla B. srl; 3) ne conseguiva, quindi, la mancata prova del carattere indebito degli obblighi contributivi mediante l’avvenuto pagamento degli oneri del condono di cui si pretendeva la ripetizione.
4. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione la ditta B. srl affidato a cinque motivi.
5. L’INPS ha depositato unicamente procura speciale a difendersi, mentre C. S. non ha svolto attività difensiva.
6. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione di norme di diritto e l’omessa motivazione, ai sensi dell’art. 360 comma 1 n. 3 e n. 5 cpc, in relazione al riformulato art. 342 cpc: si deduce che era stata eccepita l’inammissibilità del gravame dell’INPS che non soddisfava i requisiti minimi richiesti dalla nuova formulazione dell’art. 342 cpc e che nella parte motiva era stata totalmente omessa ogni argomentazione in punto su detta censura, costituendo ciò un vizio di violazione di legge e di omessa motivazione.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 cpc, in relazione all’art. 112 cpc:, per avere la Corte di merito, incorrendo nel vizio di ultra-petizione, posto a base della decisione la questione della commistione delle due aziende (B. srl e C. S.), in termini di gestione finanziaria e, soprattutto, di effettiva separazione e contabilizzazione dei rispettivi costi e ricavi di esercizio, quando invece tali argomentazioni erano diverse da quelle adottate dall’Istituto.
4. Con il terzo motivo la società si duole dell’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, nonché la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 3 e n. 5 cpc, in relazione all’art. 115 cpc, per non avere la Corte territoriale rilevato che tutte le prove testimoniali raccolte in primo grado erano favorevoli alla tesi difensiva concernente la separata attività della B. srl e della ditta K. di C. S. e per non avere la Corte offerto una motivazione al riguardo, concentrando, di contro, la propria decisone unicamente sulla deposizione di tale N.G. peraltro travisandola, e sulla scarna documentazione dell’Ispettorato del lavoro.
5. Con il quarto motivo si lamenta l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, in relazione alla opponibilità di sentenza irrevocabile perché diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale- la sentenza, passata in giudicato, con la quale era stato riconosciuto il carattere artigianale della ditta K., sebbene non emessa anche nei confronti dell’INPS, ben avrebbe potuto, per evitare gli effetti, essere da questo impugnata con l’opposizione di terzo ex art. 404 cpc onde contestarne il decisum debitamente notificatogli.
6. Con il quinto motivo la società eccepisce l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, ai sensi dell’art. 360 co. 1 n. 5 cpc, in relazione all’art. 2082 cc, per avere la Corte di appello negato a C. S. la qualifica di imprenditore, prescindendo dall’esame dei requisiti minimi individuati dall’art. 2082 cc e valorizzando, invece, unicamente gli aspetti contabili che nulla avevano a che fare con la qualifica di imprenditore.
7. I primi due motivi, da trattarsi congiuntamente per connessione logico-giuridica, sono infondati.
8. Avendo il giudice del merito accolto le domande di appello, in relazione alle quali era stata formulata l’eccezione di inammissibilità, giammai potrebbe configurarsi un vizio di omessa pronuncia o di omessa motivazione, dovendo considerarsi implicita la reiezione di quella eccezione (cfr. Cass. n. 17956/2015).
9. Sotto altro aspetto si osserva, comunque, che quando viene denunciata la violazione di una norma processuale che comporti invalidità, il giudizio di legittimità non ha per oggetto la giustificazione della decisione impugnata bensì ha sempre per oggetto direttamente l’invalidità denunciata.
10. Sicché, se il giudice del merito omette di pronunciarsi su una eccezione di inammissibilità, la sentenza di merito non è impugnabile per l’omessa pronuncia o per la carenza di motivazione, ma solo per l’invalidità già vanamente eccepita, perché ciò che rileva non è il tenore della pronuncia impugnata, bensì l’eventuale esistenza della invalidità dedotta (cfr. Cass. n. 13425/2016; Cass. n. 15843/2015; Cass. n. 10073/2003).
11. Nella fattispecie di causa i motivi di impugnazione non erano carenti di specificità, avendo l’appellante, come si desume dal testo della gravata sentenza, evidenziato gli accertamenti di fatto impugnati e denunciato l’erroneità delle valutazioni del Tribunale alla luce dei documenti e delle prove orali raccolte.
12. Parimenti, la sentenza non può dirsi viziata da ultra-petizione perché tale vizio ricorre quando il giudice di merito, interferendo nel potere dispositivo delle parti ed alterando gli elementi obiettivi della azione (causa petendi e petitum) sostituisca i fatti costitutivi della pretesa, emetta un provvedimento diverso da quello richiesto, attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso oppure rilevi di ufficio una eccezione che può essere proposta solo dalla parte (Cass. n. 6476 del 1997).
13. Il vizio non ricorre, però, qualora il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti dedotti dalle parti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti stesse (Cass. n. 1273/2003) e, nel caso de quo, il thema decidendum centrale era rappresentato dalla genuinità dell’appalto intercorso tra le due società e, quindi, sotto tale aspetto, la Corte di merito ha esaminato le risultanze processuali acquisite.
14. Il terzo e quinto motivo, anche essi da scrutinarsi congiuntamente per connessione, presentano profili di inammissibilità e di infondatezza.
15. Quanto alla denunciata violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., va osservato che, in tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento delle citate norme processuali, opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità. La denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito è configurabile come un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012 (cfr. Cass. n. 23940 del 2017).
16. In relazione, poi, al vizio denunciato nei termini di cui all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., va rilevato che esso, come appunto riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, è invocabile nella sola ipotesi in cui sia stato omesso l’esame dì un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie» (Cass. S.U. n. 8053/2014).
17. Nel caso in esame, entrambe le censure, seppure articolate sotto il profilo della violazione di legge o di un vizio di motivazione e di un omesso esame di un fatto decisivo si risolvono, invece, in una inammissibile richiesta di rivalutazione del merito della causa, non consentita in sede di giudizio di cassazione.
18. Il quarto motivo è infondato.
19. L’assunto della Corte territoriale è, infatti, conforme al principio di legittimità, cui si intende dare seguito, secondo il quale il giudicato può avere, oltre che una efficacia diretta nei confronti delle parti, loro eredi e aventi causa, anche una efficacia riflessa nel senso che produce conseguenze giuridiche nei confronti di soggetti rimasti estranei al processo in cui è stata emessa la relativa sentenza sempre, però, che questi siano titolari di un diritto dipendente dalla situazione definita in quel processo o comunque di un diritto subordinato a tale situazione (Cass. n. 6788/2013; Cass. n. 8766/2019).
20. Nel caso in esame, invece, tra l’avvenuto accertamento della natura artigianale della ditta K. ed il diritto di ottenere la restituzione degli obblighi contributivi da parte dell’INPS (in precedenza corrisposti con la procedura di condono e successivamente oggetto di richiesta di ripetizione) per un fenomeno di intermediazione fittizia, sussiste un reciproco rapporto di autonomia che fa qualificare come “res inter alios acta” rispetto a ciascuna delle due posizioni, il giudicato intervenuto nel giudizio inerente l’altro rapporto, come correttamente rilevato dai giudici di seconde cure.
21. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve essere, pertanto, rigettato.
22. Nulla va disposto in ordine alle spese di lite non avendo entrambi gli intimati svolto attività difensiva.
23. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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