CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 giugno 2020, n. 11369
Verbale ispettivo Inps – Rapporti di lavoro subordinato non dichiarati – Domanda di accertamento negativo
Rilevato che
1. La Corte di appello di Bologna, con sentenza n.37/14, rigettava l’appello proposto da H.C. nei confronti della Direzione Provinciale del lavoro di Bologna e dell’Inps, avente ad oggetto la sentenza del Giudice del lavoro del Tribunale di Bologna che aveva dichiarato inammissibile la domanda di accertamento negativo avanzata da H.C. in merito a violazioni amministrative contestate con verbale redatto dall’Ispettorato del lavoro, riferibili a due rapporti di lavoro subordinato non dichiarati dall’appellante.
2. La Corte di appello, respinta l’istanza di riunione con l’altro giudizio avviato da H.C. nei confronti dell’INAIL in ordine agli stessi rapporti di lavoro, osservava, in sintesi, quanto segue:
– correttamente il primo giudice aveva ritenuto inammissibile per difetto di interesse la domanda proposta nei confronti delia Direzione del lavoro di Bologna, non potendosi ritenere prodotta alcuna lesione di diritti prima dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione; nel caso in esame, si è in presenza di atti endo- procedimentali rispetto ai quali non sussiste un concreto e attuale interesse ad agire;
– in particolare, ai sensi della legge n.689 del 1981, non è configurabile un interesse del destinatario del provvedimento ad impugnare la contestazione dell’illecito, la quale costituisce un atto interno del procedimento che si conclude con l’emanazione dell’ordinanza-ingiunzione; la contestazione dell’illecito non incide sulla posizione giuridica del destinatario, per cui la stessa non è suscettibile di autonoma impugnazione, la quale può essere proposta unicamente contro l’atto terminale del procedimento;
– è dunque inammissibile l’opposizione proposta avverso il verbale di accertamento della violazione di una norma amministrativa (eccezion fatta per il verbale di accertamento di violazione della norma sulla circolazione stradale), atteso che detto verbale è destinato esclusivamente a contestare il fatto e ad informare il contravventore della facoltà di pagamento in misura ridotta della sanzione amministrativa; in mancanza di esercizio di tale facoltà, l’amministrazione valuterà e determinerà l’applicazione o meno della sanzione attraverso l’ordinanza – ingiunzione, impugnabile a norma dell’art. 22 della legge n. 689 del 1981;
– quanto alla posizione dell’INPS, pure convenuto in giudizio, non è stato in neppure allegato che detto Ente avesse avanzato specifiche pretese e quindi non è ravvisabile, anche in relazione a tale rapporto processuale, la presenza di un concreto ed attuale interesse ad agire.
3. Per la cassazione di tale sentenza l’originaria opponente ha proposto ricorso, affidato ad un motivo.
4. A seguito della notifica del ricorso per cassazione la Direzione Provinciale del Lavoro di Bologna, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, ha depositato atto di costituzione ai soli fini della partecipazione all’udienza di discussione, cui non ha fatto seguito il deposito di memorie ex art. 380-bis cod. proc. c.iv..
5. L’INPS è rimasto intimato.
Considerato che
1. Con unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione deil’art. 100 cod. proc. civ. e deil’art. 24, comma3, del d.lgs. n. 46 del 1999 (art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ.).
La contestazione di cui al verbale ispettivo concerneva le inosservanze di cui al punto 1 dell’art. 16 legge n. 689 del 1981 e recava l’intimazione di pagamento della somma di euro 58.200 a titolo di sanzione ridotta, da pagarsi entro 60 giorni dalla notifica del verbale. A seguito del rigetto del ricorso amministrativo, la ricorrente aveva adito il Giudice del lavoro per ottenere una sentenza di accertamento dell’inesistenza dei rapporti di lavoro contestati, nonché dell’obbligo contributivo in merito alle posizioni dei due presunti lavoratori dipendenti. Aveva dunque chiesto la disapplicazione o l’annullamento del verbale elevato dal Servizio di Ispezione del Lavoro della Direzione Provinciale del Lavoro di Bologna del 30 ottobre 2009 e l’accertamento dell’inesistenza dei rapporti di lavoro contestati con tale verbale, nonché delle conseguenti omissioni e dei relativi crediti contributivi dell’Inps.
Dallo stesso art. 24, comma 3, riguardante il riordino della disciplina della riscossione mediante ruolo, si desume che l’accertamento dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato non dichiarato può essere impugnato davanti all’autorità giudiziaria, con la conseguenza che durante tutto il giudizio fino all’emissione di un provvedimento esecutivo l’ente impositore non può iscrivere a ruolo le somme ritenute dovute. Dunque, dalla stessa norma si evince che il mero
accertamento è impugnabile davanti all’autorità giudiziaria e che proprio in forza di tale impugnazione è interdetto all’ente di esigere coattivamente il pagamento di contributi fino al provvedimento esecutivo del giudice.
Il d. lgs. 124 del 2004 ha proceduto ad un ulteriore riordino della riscossione dei contributi previdenziali, attribuendo ai verbali di accertamento conclusivi dell’attività ispettiva un valore accertativo anche al di fuori del rapporto previdenziale. Infatti, è previsto, all’art. 10 comma 5, che i verbali di accertamento redatti dal personale ispettivo sono fonti di prova ai sensi della normativa vigente relativamente agli elementi acquisiti e documentati e possono essere utilizzati per l’adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori, amministrativi e civili, da parte di altre amministrazioni interessate.
Non vi è dubbio che la Corte di appello abbia errato nel non riconoscere un preciso interesse ad agire in giudizio per risolvere l’incertezza circa l’esistenza di rapporti giuridici di cui al verbale di accertamento ispettivo.
2. Il ricorso è infondato.
2.1. Occorre premettere che nel caso in esame, come si evince dalla sentenza impugnata e dal ricorso per cassazione, l’azione proposta dalla odierna ricorrente verte sull’impugnativa del verbale ispettivo della Direzione Provinciale del Lavoro di Bologna in data 30 ottobre 2009 con cui era stato notificato l’illecito amministrativo di avere occupato irregolarmente due lavoratori non risultanti da libri o altra documentazione obbligatoria con la previsione, per l’autore della violazione, della possibilità di accedere al pagamento in forma ridotta della sanzione entro sessanta giorni dalla notifica ex art. 16 legge 689 del 1981.
3. Come più volte affermato da questa Corte, il verbale di accertamento ispettivo della violazione delle norme sulla tutela del lavoro subordinato, pur notificato unitamente al preannuncio di sanzioni pecuniarie nella misura minima, non è suscettibile di autonoma impugnabilità in sede giurisdizionale, trattandosi di atto procedimentale inidoneo a produrre alcun effetto sulla situazione soggettiva del datore di lavoro, la quale viene invece incisa soltanto quando l’amministrazione, a conclusione del procedimento amministrativo, infligge la sanzione con l’ordinanza- ingiunzione, dovendosi ritenere che solo da tale momento sorga l’interesse del privato a rivolgersi all’autorità giudiziaria (cfr. Cass. n. 16319 del 2010, n. 11281 del 2010 e n. 18320 del 2007).
4. Già le Sezioni Unite di questa Corte, con risalente pronuncia, ebbero ad affermare che il verbale di accertamento della violazione è impugnabile in sede giudiziale unicamente se concerne l’inosservanza di norme sulla circolazione stradale, essendo soltanto in questo caso idoneo ad acquisire il valore e l’efficacia di titolo esecutivo per la riscossione della pena pecuniaria nell’importo direttamente stabilito dalla legge. Quando, invece, riguarda il mancato rispetto di norme relative ad altre materie, il verbale non incide ex se sulla situazione giuridica soggettiva del presunto contravventore, essendo esclusivamente destinato a contestargli il fatto e a segnalargli la facoltà del pagamento in misura ridotta, in mancanza del quale l’autorità competente valuterà se vada irrogata una sanzione e ne determinerà l’entità, mediante un ulteriore atto, l’ordinanza di ingiunzione, che potrà formare oggetto di opposizione ai sensi dell’art. 2 della legge n. 689 del 1981 (Cass. Sezioni Unite n. 16 del 2007; conf. Cass. n. 18320 del 2007).
5. Tale regola di giudizio è stata anche ribadita in una recente pronuncia di questa Corte (Cass. n. 32886 del 2018), con cui è stata decisa una controversia analoga a quella in esame in cui il giudice di merito aveva dichiarato inammissibile l’azione di accertamento negativo della Direzione Provinciale del Lavoro avverso il verbale di accertamento prima dell’emissione dell’ordinanza-ingiunzione. Questa Corte ha affermato che, rispetto alla menzionata autorità amministrativa, l’unico interesse ad agire può in astratto riguardare la valenza del verbale al fine dell’applicazione delle sanzioni conseguenti alle violazioni amministrative in esso accertate.
6. Non è pertinente il richiamo, operato dalla odierna ricorrente, all’art. 10, comma 5, d.lgs. n. 124 del 2004, secondo cui “i verbali di accertamento redatti dal personale ispettivo sono fonti di prova (…) per l’adozione di eventuali provvedimenti sanzionatori, amministrativi e civili”. Tale norma individua nel verbale di accertamento soltanto una fonte di prova. Sono i fatti attraverso essi dimostrati – e non i verbali in quanto atti – a fondare le pretese della Pubblica Amministrazione esercitate su tale base.
6.1. Pur in presenza di una comune radice degli accertamenti ispettivi, tra le cause inerenti il rapporto contributivo dell’INPS, da un lato, e le sanzioni amministrative, dall’altro, vi è un rapporto di autonomia. Le diverse pretese conseguenti ad un dato accertamento non si fondano sul relativo verbale inteso come atto, ma sui fatti costitutivi previsti dalla legge per l’esercizio, da un lato, del diritto alla riscossione dei contributi e dall’altro all’applicazione di determinate sanzioni (cfr. Cass. n. 23045 del 2018, che ha negato tra l’una e l’altra azione un rapporto di pregiudizialità/dipendenza, ricorrendo soltanto una mera comunanza di fatti costitutivi dell’uno e dell’altro rapporto).
7. Quanto alla posizione dell’INPS, pure convenuto nel presente giudizio, deve innanzitutto rilevarsi che nessun motivo di impugnazione è stato proposto avverso la specifica statuizione che ha riguardato tale parte processuale, in relazione alla quale il difetto di interesse (art. 100 cod. proc. civ.) è stato diversamente motivato (“quanto all’INPS non è nemmeno, anche solo, allegato che il predetto ente abbia preteso alcunché.
7.1. La sentenza ha statuito in conformità al principio or ora richiamato sulla base dell’implicita considerazione della distinzione e dell’autonomia tra la pretesa contributiva dell’INPS e quella facente capo alla Direzione del Lavoro riguardante l’irrogazione di sanzioni amministrative per violazione delle norme sul collocamento.
7.2. Il principio per cui tra la potestà accertativa dell’Ispettorato del lavoro e gli obblighi derivanti al datore di lavoro in relazione ad un rapporto di lavoro subordinato sussiste un reciproco rapporto di autonomia è stato anche di recente ribadito da questa Corte (cfr. Cass. n. 23045 del 2018, che ha qualificato come res inter alios acta, rispetto a ciascuna delle due posizioni, il giudicato intervenuto nel giudizio inerente all’altro rapporto).
8. Il ricorso va dunque rigettato. Nulla va disposto quanto alle spese del presente giudizio di legittimità, in quanto la Direzione Provinciale del Lavoro non ha svolto attività difensiva. L’INPS è rimasto intimato.
9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 – quater, del d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13, se dovuto (v. Cass. S.U. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; nulla per le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 – quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.