CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 luglio 2019, n. 18744
Imposte indirette – IVA – Accertamento – Dichiarazioni annuali – Contenzioso tributario
Considerato che
L.P.S.L.S. s.p.a., in forza di decreto ingiuntivo e conseguente precetto, pignorava le somme dovute dall’Ufficio IVA di Potenza, ora Direzione provinciale dell’Agenzia delle entrate, al debitore esecutato B.L. s.p.a.;
il terzo pignorato dichiarava, per quanto qui ancora rileva, che il soggetto esecutato, nelle dichiarazioni IVA relative agli anni d’imposta 1991 e 1992 aveva indicato crediti a rimborso, e con varie istanze tra il 1992 e il 1993 aveva richiesto rimborsi infrannuali, ma tutti i crediti non erano né certi né liquidi né esigibili, in quanto non erano scaduti i termini per le verifiche dell’amministrazione a norma dell’art. 57 del d.p.r. n. 633 del 1972;
il creditore procedente instaurava, nel 1994, un giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo, poi interrotto per fallimento della società esecutata e a sua volta riassunto nei confronti della curatela che però restava contumace;
in primo grado la domanda veniva rigettata con pronuncia riformata dalla corte di appello che accertava i crediti da rimborso IVA per gli anni d’imposta 1991 e 1992, evidenziando che vi era stato pagamento dei debiti in favore della massa fallimentare, sicché il giudizio di accertamento non poteva che concludersi con statuizione dichiarativa, salve le iniziative della curatela in sede di esecuzione individuale;
avverso questa decisione ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate articolando un motivo;
ha proposto controricorso e ricorso incidentale, articolato in tre motivi, L.P.S.L.S. s.r.l. in liquidazione, già P.S.L.S. s.p.a.;
la controricorrente e ricorrente in via incidentale ha depositato memoria;
Ritenuto che
con l’unico motivo di ricorso principale si prospetta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo poiché la corte di appello avrebbe omesso di esaminare e le risultanze della consulenza officiosa contabile svolta in prime cure, da cui si desumeva che i crediti non erano né certi, né liquidi, né esigibili al momento del pignoramento non essendo stati ancora verificati e non essendo garantiti, fermo restando che la liquidazione e il pagamento dei debiti alla massa fallimentare era avvenuto una volta verificate le passività stesse e nel rispetto della parità di condizioni creditorie imposta dall’apertura della procedura concorsuale;
con il primo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la corte di appello, in tesi, avrebbe omesso di pronunciare sui crediti da rimborso IVA per l’anno d’imposta 1993, oggetto di domanda e specifico motivo di appello;
con il secondo e gradato motivo di ricorso incidentale si prospetta, per l’ipotesi in cui si ritenga implicitamente rigettata la domanda inerente ai crediti relativi all’anno d’imposta 1993, la violazione dell’art. 2697, cod. civ., e dell’art. 38 bis del d.P.R. n. 633 del 1972, poiché, in tesi, la corte di appello avrebbe mancato di considerare che avrebbe dovuto essere il terzo a provare condizioni ostative al rimborso quali la notifica di atti di accertamento o rettifica;
con il terzo motivo di ricorso incidentale si prospetta la violazione dell’art. 112, cod. proc. civ., poiché la corte di appello avrebbe errato omettendo di accogliere la domanda di fissazione del termine perentorio per la riassunzione del processo esecutivo;
Rilevato che
il ricorso principale è inammissibile;
infatti:
a) la difesa erariale non riporta le pretese considerazioni della consulenza officiosa invocata, bensì solo la valutazione che ne ha fatto la decisione di prime cure di rigetto;
b) la censura presuppone che il credito oggetto del giudizio di accertamento ex art. 548, cod. proc. civ. (anteriormente alla riforma di cui alla legge n. 228 del 2012), per essere positivamente accertato dev’essere certo liquido ed esigibile al momento del pignoramento: tale assunto, però, non è quello della corte territoriale, secondo cui, implicitamente quanto univocamente, è sufficiente che il credito divenga tale anche nel corso del processo di cognizione in parola (cfr. pagg. 4-5 della sentenza gravata);
non essendo stata idoneamente censurata la “ratio decidendi” sub b), come rimarcato anche in memoria dalla controricorrente, il motivo è anche sotto tale profilo inammissibile;
il primo motivo di ricorso incidentale è fondato, con assorbimento del secondo;
va premesso che, come chiarito da questa Corte in tema di espropriazione forzata di crediti presso terzi, il sopravvenuto fallimento del debitore pignorato – pur determinando, a norma dell’art. 51 l. fall., l’improseguibilità del processo esecutivo sospeso – non comporta l’improcedibilità del giudizio di accertamento dell ‘obbligo del terzo, neanche dopo la riforma introdotta dalla legge n. 228 del 2012, né l’impossibilità di proseguire l’esecuzione forzata determina la sopraggiunta carenza dell’interesse del creditore allo svolgimento del giudizio (Cass., 19/04/2018, n. 9624, che, sottolineando come l’accertamento del credito sia interesse della curatela perché acquisisce la certezza di una titolarità attiva, e comunque del creditore procedente perché l’esecutato potrebbe tornare “in bonis”, riprende e integra Cass., 07/01/2009, n. 28, superando l’orientamento risalente a Cass., 20/04/1962, n. 789);
inoltre, secondo l’indirizzo costante di questa Corte è ammessa l’assoggettabilità a pignoramento dei crediti non esigibili, condizionati e finanche eventuali, con il solo limite della loro riconducibilità a un rapporto giuridico identificato e già esistente, rapporto che nella specie sussiste certamente (Cass., 22/06/2017, n. 15607, che in motivazione ricorda i plurimi arresti conformi);
dunque, nel caso, la pendenza dei termini per le verifiche erariali condizionanti la validata sussistenza ed esigibilità del credito IVA pignorato, non era comunque di ostacolo, per quanto qui in discussione, al positivo accertamento;
ciò posto, la corte territoriale, nel dispositivo, statuisce solo relativamente ai crediti da rimborso IVA del 1991 e 1992, mente nulla di diverso può evincersi dalla motivazione;
parte ricorrente ha dimostrato ex art. 366 n. 6, cod. proc. civ., che aveva articolato uno specifico motivo di appello quanto ai crediti dell’anno d’imposta 1993, sicché risulta la dedotta omissione di pronuncia; il terzo motivo è inammissibile;
infatti la fissazione del termine per la riassunzione del processo esecutivo sospeso in pendenza del giudizio di accertamento dell’obbligo del terzo non è domanda di un bene della vita riconducibile alla fattispecie presa in considerazione dall’art. 112, cod. proc. civ., ma un obbligo del giudice che pronuncia sul giudizio in parola che, se non evaso, legittima l’operatività dell’art. 297, cod. proc. civ. (Cass., 18/11/2010, n. 23325) ovvero, quando la decisione non sia passata in giudicato, dell’art. 289, cod. proc. civ.;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso principale; accoglie il primo motivo di quello incidentale, assorbito il secondo e dichiarato inammissibile il terzo, cassa in relazione e rinvia alla Corte di appello di Potenza perché pronunci anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, la Corte da atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso.