CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 luglio 2019, n. 18776
Rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato – Sussistenza – Prova degli elementi tipici della subordinazione
Rilevato che
Il Tribunale di Roma, sez. fall., con decreto del 22 settembre 2014, nel contraddittorio delle parti, ha rigettato l’opposizione di M.L.B. avverso il decreto di esecutività dello stato passivo del Fallimento E. D. A. Spa, emesso il 31 marzo 2011.
Egli aveva chiesto di ammettere al passivo un credito privilegiato di complessivi € 63268,69, oltre accessori, per le voci retributive relative al rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato intrattenuto con la società, dal 15 dicembre 2000 al 18 gennaio 2006, e per le retribuzioni maturate dal 31 dicembre 2005 fino alla reintegra nel posto di lavoro, a norma dell’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, previa dichiarazione di nullità dei contratti di consulenza stipulati con la fallita in data 15 dicembre 2000, 31 dicembre 2001 e 11 dicembre 2002, dell’accordo di collaborazione coordinata e continuativa e del contratto di lavoro a progetto stipulati il 2 dicembre 2003 e 24 novembre 2004, nonché dell’inefficacia del licenziamento intimatogli il 18 gennaio 2006, con riconoscimento del rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e del diritto all’inquadramento nella categoria quadri del Ccnl dei dipendenti delle aziende metalmeccaniche dell’industria.
M.L.B. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui si è opposto il Fallimento E. D. A. con controricorso e memoria.
Considerato che
Con il primo motivo il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo e discusso tra le parti, costituito dalle mansioni da lui espletate all’interno dell’organizzazione aziendale, che assume erroneamente indicate in quelle di consulenza o di collaborazione coordinata e continuativa e di lavoratore a progetto, avendo egli svolto l’attività di project management, inserito stabilmente nell’azienda per la cura dell’esecuzione dei contratti di fornitura in rappresentanza del datore di lavoro.
Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., per avere disconosciuto il rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, intrattenuto dal 15 dicembre 2000, per effetto del suo inserimento nell’organizzazione aziendale, avendo messo a disposizione le proprie energie lavorative e capacità professionali per il raggiungimento degli scopi della società: era soggetto al potere direttivo e disciplinare del datore di lavoro, doveva partecipare alle riunioni del personale, attenersi alle procedure elaborate dall’azienda, relazionarsi con i colleghi e superiori gerarchici e giustificare le assenze e farsi autorizzare le ferie, utilizzava i beni strumentali di cui avvalersi messi a disposizione dell’azienda, riceveva la retribuzione mensilmente e i rimborsi delle spese di trasferta e di rappresentanza, ecc.
Entrambi i motivi sollecitano impropriamente la revisione di apprezzamenti di fatto compiuti dai giudici di merito, i quali hanno fornito idonea motivazione a supporto della decisione: la domanda era sfornita di prova in ordine alla sussistenza degli elementi tipici del rapporto di lavoro subordinato (soggezione al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro, obbligo di orario, ecc.), risultando che la parte aveva svolto attività di consulenza per la gestione e il controllo di contratti aventi ad oggetto la fornitura di infrastrutture e servizi in favore di amministrazioni pubbliche.
Nel giudizio di cassazione è sindacabile solo la determinazione dei criteri generali ed astratti da applicare al caso concreto, ai fini della qualificazione del rapporto di lavoro come autonomo o subordinato, mentre costituisce accertamento di fatto, come tale censurabile in questa sede nei ristretti confini dell’art. 360 n. 5 c.p.c. (non superati nella specie), la valutazione delle risultanze processuali che hanno indotto il giudice del merito ad includere il rapporto controverso nell’uno o nell’altro schema contrattuale (Cass. 7 ottobre 2013, n. 22785; 4 maggio 2011, n. 9808; 5 novembre 2009, n. 23455).
Il ricorso è inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile; condanna il ricorrente alle spese, liquidate in € 5200,00, di cui € 200,00 per esborsi; dichiara, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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