CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2020, n. 8797
Soci lavoratori di cooperativa – Contratto di collaborazione a progetto – Mere prestazioni di lavoro subordinato – Mancata consegna di copia del contratto di lavoro
Rilevato che
1. Con la pronuncia del 26.9/2.10.2012 il Tribunale di Alessandria ha respinto l’opposizione presentata da R.U., in proprio e nella qualità di legale rappresentante della I. scarl, avverso la ordinanza con la quale la Direzione Provinciale del lavoro di Alessandria aveva ingiunto il pagamento della sanzione amministrativa di euro 231.750,00 per le violazioni commesse dalla I. in relazione ai contratti di collaborazione a progetto stipulati con 213 soci-lavoratori dal 27.10.2003 al 2.8.2004, ritenuti in fase ispettiva ordinari contratti di lavoro subordinato.
2. La Corte di appello di Torino, con la sentenza n. 708/2014, ha respinto il gravame proposto da R.U., in proprio e nella qualità di liquidatore della scarl, precisando che, sebbene la decisione di prime cure si fosse soffermata sull’accertamento dell’esistenza di plurimi, determinati elementi distintivi della subordinazione nei rapporti tra i soci-lavoratori e la I., tuttavia ciò che rilevava era che i contratti di lavoro a progetto stipulati da I. con i suoi 213 lavoratori erano del tutto avulsi dalla realtà e che la società era responsabile di avere inviato i suoi soci lavoratori a svolgere presso i committenti mere prestazioni di lavoro subordinato. Inoltre, i giudici di seconde cure hanno sottolineato che la sanzione della conversione non spiegava alcun rilievo rispetto agli obblighi che il datore di lavoro ha nei confronti della PA derivanti dalla conclusione di un rapporto di lavoro subordinato e che, nel caso di specie, la società non solo era ben cosciente di assumere lavoratori subordinati senza il rispetto delle procedure di legge, ma aveva cercato anche di occultarne l’assunzione. Hanno ritenuto corretta la sanzione, in relazione alla mancata consegna di copia del contratto di lavoro, che non doveva intendersi per quelli a progetto ma per quelli effettivi di natura subordinata e hanno considerato come nuova, perché proposta solo in appello, la censura sull’omessa motivazione della sentenza impugnata in ordine alla quantificazione della sanzione.
3. Avverso la decisione di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione R.U. e la I. scarl in liquidazione affidato a tre motivi, cui ha resistito il Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale – Direzione Territoriale del Lavoro di Alessandria.
4. Il PG non ha rassegnato conclusioni scritte.
Considerato che
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’art. 13 D.lgs. 23.4.2004 n. 124 in punto di omessa diffida obbligatoria, da parte dell’Autorità amministrativa, quale condizione ineludibile di procedibilità dell’irrogazione delle sanzioni amministrative, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c..
3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., sub specie del contrasto irriducibile fra affermazioni inconciliabili nella sentenza impugnata ovvero della motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile, ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., perché la gravata sentenza, da un lato, aveva affermato che i contratti di lavoro subordinato erano stati stipulati tra i soci lavoratori della I. e le imprese committenti e, dall’altro, che I. aveva omesso di stipulare contratti di lavoro subordinato con i soci, così lasciando intendere che, in relazione ai medesimi lavoratori, fosse sussistente un duplice contratto di lavoro subordinato.
4. Con il terzo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 9 bis commi 1 e 2 della legge n. 608/96, dell’art. 4 bis co. 2 D.lgs. n. 181/2000, dell’art. 21 della legge n. 264/49, dell’art. 26 della legge n. 56/87 e dell’art. 19 D.lgs. n. 276/2003, vigenti ratione temporis, in relazione all’art. 1 della legge n. 689 del 1981, ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto erroneamente legittime le sanzioni amministrative irrogate dalla DTL di Alessandria, pur non contestando i contratti a progetto stipulati con I. sotto il profilo della conformità ai requisiti indicati dalla legge per la validità di un rapporto a progetto, ma censurando il fatto che i soci di I. fossero poi utilizzati dai vari committenti alla stregua di propri dipendenti, sebbene ciò non fosse imputabile alla cooperativa.
5. Il primo motivo è inammissibile.
6. La problematica sottesa alla censura (omessa diffida alla Autorità amministrativa quale condizione di procedibilità dell’irrogazione della sanzione amministrativa) costituisce una “questione nuova” perché la gravata sentenza non ne fa cenno e il ricorrente non ha specificato in quale fase e grado l’abbia sottoposta ai giudici.
7. Nel giudizio di cassazione, che ha ad oggetto solo la revisione della sentenza in rapporto alla regolarità formale del processo e alle questioni di diritto proposte, non sono proponibili nuove questioni di diritto o temi di contestazione diversi da quelli dedotti nel giudizio di merito, a meno che si tratti di questioni rilevabili di ufficio o nell’ambito delle questioni trattate, di nuovi profili di diritto compresi nel dibattito e fondati sugli stessi elementi di fatto dedotti (cfr. Cass. n. 4787 del 2012; Cass. n. 3881/1998; Cass. n. 1496 del 1998, Cass. n. 6356 del 1996).
8. Nel caso in esame, non rientrando la questione sollevata nei suddetti casi e non essendo stato provato il “dove” ed il “quando” essa sia stata sollevata nei gradi di merito, la sua trattazione in questa sede è preclusa.
9. Il secondo motivo, con il quale viene dedotto un vizio formale della motivazione per contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, è infondato.
10. E’ opportuno ribadire che, in tema di contenuto della sentenza, il vizio di motivazione previsto dall’art. 132 co. 2 n. 4 c.p.c. sussiste quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 25866 del 2010; Cass. n. 12664 del 2014). Inoltre, in tema di assoluta inconciliabilità delle ragioni esposte a fondamento della decisione, il vizio di contraddittorietà della motivazione è tale solo se intrinseco alla sentenza, afferendo alla sua stessa logicità e può essere, pertanto, riscontrato nel suo solo ambito (cfr. Cass. n. 6787 del 2000).
11. Nella gravata sentenza, gli asseriti vizi non sono ravvisabili perché la ratio decidendi è chiara: nella fattispecie i giudici di seconde cure hanno sottolineato che ciò che rilevava era che i contratti a progetto stipulati da I. con i suoi 213 soci-lavoratori erano del tutto avulsi dalla realtà e che I. era responsabile di avere inviato i suoi soci lavoratori a svolgere presso i committenti mere prestazioni di lavoro subordinato. Questo è stato l’assunto della Corte territoriale e non il fatto che, in relazione ai medesimi lavoratori dovessero essere stipulati due autonomi contratti di lavoro: uno a progetto e l’altro di natura subordinata.
12. Nessun contrasto tra irriducibili affermazioni è, pertanto, ravvisabile nelle argomentazioni della Corte di merito.
13. Il terzo motivo è anche esso infondato.
14. In primo luogo non è condivisibile la doglianza relativa al fatto che i giudici di seconde cure non abbiano contestato i requisiti di legittimità dei contratti a progetto stipulati con I. la quale, del resto, non avrebbe potuto ritenersi responsabile della utilizzazione dei suoi dipendenti.
15. Invero, essa doglianza parcellizza una singola fase della vicenda che, invece, è stata ricostruita dalla Corte di appello, nei suoi tratti essenziali, in modo non atomistico, come sopra evidenziato, ma nella sua interezza.
16. La questione che rileva, infatti, non è solo quella della legittimità formale dei contratti a progetto, ma che questi fossero del tutto avulsi dalla realtà e che, di contro, la Cooperativa aveva inviato i suoi soci-lavoratori ad effettuare presso i committenti mere prestazioni di lavoro subordinato.
17. In secondo luogo, deve osservarsi che le violazioni di legge denunciate sono insussistenti in difetto degli appropriati requisiti di erronea sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta regolata dalla disposizione di legge, mediante specificazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina (Cass. n. 16038/2013; Cass. n. 3010 del 2012).
18. In realtà le censure di cui al motivo sono essenzialmente intese alla sollecitazione di una rivisitazione del merito della vicenda e alla contestazione della valutazione probatoria operata dalla Corte territoriale, sostanziante il suo accertamento in fatto di esclusiva spettanza del giudice di merito ed insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 27197 del 2011; Cass. n. 6288 del 2011). E ciò per la corretta ed esauriente argomentazione, senza alcun vizio logico nel ragionamento decisorio, della ricostruzione dell’intera e complessiva vicenda.
19. Alla stregua di quanto esposto, il ricorso deve, pertanto, essere rigettato.
20. Al rigetto segue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
21. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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