CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 12 maggio 2020, n. 8802

Cessione di ramo d’azienda – Accertamento dell’illegittimità – Credito pecuniario del lavoratore qualificato come risarcitorio – Conseguente indetraibilità di quanto percepito per l’attività prestata alle dipendenze della cessionaria del ramo d’azienda

Rilevato che

con sentenza in data 24 dicembre 2016, la Corte d’appello di Roma rigettava l’opposizione proposta da T.I. s.p.a. al decreto del Tribunale capitolino, che le aveva ingiunto il pagamento di € 24.715,08 oltre accessori, in favore del dipendente M.B., per retribuzioni maturate e non pagate nel periodo 1° agosto 2012 – 30 giugno 2013, sulla base di sentenza dello stesso Tribunale di accertamento dell’illegittimità della cessione del suo contratto di lavoro dalla società citata a SIRM s.p.a., con ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e condanna al risarcimento del danno in suo favore in misura delle retribuzioni non percepite: così riformando la sentenza di primo grado, che invece l’aveva accolta; avverso tale sentenza la società, con atto notificato il 16 giugno 2017, ricorreva per cassazione con due motivi, cui il lavoratore resisteva con controricorso e memoria ai sensi dell’art. 380bis 1 c.p.c.;

Considerato che

1. la ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale, nell’inosservanza del principio di corrispondenza del chiesto al pronunciato, accertato il diritto del lavoratore al risarcimento del danno, avendo invece egli richiesto (tanto nel ricorso in via monitoria, tanto nelle memorie difensive nei giudizi di opposizione in primo grado e di appello) la condanna della datrice cedente il ramo d’azienda al pagamento delle retribuzioni maturate nel periodo dal 1° agosto 2012 al 30 giugno 2013 (primo motivo);

2. esso è infondato;

2.1. occorre premettere, in linea generale, il principio per il quale il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità dalle indicazioni delle parti, incorrendo nel vizio di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta né allegata in giudizio dalle parti (Cass. 17 luglio 2007, n. 15925; Cass. 3 agosto 2012, n. 13945; Cass. 21 febbraio 2019, n. 5153);

2.2. nel caso di specie, non sussiste la violazione denunciata, per avere la Corte territoriale esercitato un tale potere di qualificazione giuridica della domanda del lavoratore, sulla base dell’identità dei fatti allegati senza immutarli né alterarli: senza pertanto integrazione della violazione denunciata, la quale, sostanziandosi nel divieto di introduzione di nuovi elementi di fatto nel tema controverso, ricorre quando il giudice di merito, alterando gli elementi obiettivi dell’azione (petitum o causa petendi), emetta un provvedimento diverso da quello richiesto (petitum immediato), oppure attribuisca o neghi un bene della vita diverso da quello conteso (petitum mediato), così pronunciando oltre i limiti delle pretese o delle eccezioni fatte valere dai contraddittori (Cass. 11 aprile 2018, n. 9002; Cass. 21 marzo 2019, n. 8148);

2.3. la Corte capitolina, appunto condividendo la qualificazione già operata dal Tribunale in accoglimento dell’opposizione di T.I. s.p.a., ha infatti qualificato come risarcitorio il credito pecuniario del lavoratore (per le ragioni esposte dal terzultimo capoverso di pg. 3 all’ultimo di pg. 4 della sentenza), che aveva ottenuto dal Tribunale di Bologna, conformemente alla sua domanda nei confronti della predetta società, un decreto ingiuntivo di € 24.715,08 oltre accessori, a titolo di retribuzioni dal Io agosto 2012 al 30 giugno 2013 (sulla base di sentenza dello stesso Tribunale di accertamento dell’illegittimità della cessione del suo contratto di lavoro dalla società citata a SIRM s.p.a., di ordine di reintegrazione nel posto di lavoro e di condanna al risarcimento del danno in suo favore in misura delle retribuzioni non percepite);

2.4. in ogni caso, questa Corte ha risolto la questione relativa alla natura, se retributiva ovvero risarcitoria, dei crediti che i lavoratori abbiano ingiunto in pagamento a T.I. s.p.a., a titolo di emolumenti loro dovuti per effetto del mancato ripristino del rapporto da parte della società predetta (nonostante l’emissione di un tale ordine del Tribunale con la sentenza di accertamento della illegittimità della cessione del ramo d’azienda, cui essi erano addetti, a HP DCS s.r.l.) con decorrenza dalla messa in mora operata dai lavoratori medesimi, nel senso della natura retributiva e non più risarcitoria (come invece secondo un indirizzo precedente: Cass. 17 luglio 2008 n. 19740; Cass. 9 settembre 2014 n. 18955; Cass. 25 giugno 2018, n. 16694), sulla scorta dell’insegnamento posto recentemente dalle Sezioni unite civili di questa Corte (sent. 7 febbraio 2018, n. 2990): con la conseguente indetraibilità di quanto percepito dai lavoratori a titolo di retribuzione per l’attività prestata alle dipendenze della predetta società, già cessionaria del ramo d’azienda; sicché, essa ha ritenuto che, in caso di cessione di ramo d’azienda, ove su domanda del lavoratore ceduto venga giudizialmente accertato che non ricorrono i presupposti di cui all’art. 2112 c.c., il pagamento delle retribuzioni da parte del cessionario, che abbia utilizzato la prestazione del lavoratore successivamente a detto accertamento ed alla messa a disposizione delle energie lavorative in favore dell’alienante da parte del lavoratore, non produca effetto estintivo, in tutto o in parte, dell’obbligazione retributiva gravante sul cedente che rifiuti, senza giustificazione, la controprestazione lavorativa (Cass. 3 luglio 2019, n. 17784; Cass. 7 agosto 2019, n. 21158);

3. la ricorrente deduce poi violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., per non avere la Corte territoriale ammesso l’ordine di esibizione della dichiarazione dei redditi del lavoratore per il periodo successivo al marzo 2012, come richiesto dalla società datrice in primo grado (e reiterazione in appello), in merito alla prestazione di attività lavorativa, ai fini della detrazione dell’aliunde perceptum (secondo motivo);

3.1. esso è assorbito;

4. pertanto il ricorso deve essere rigettato, con la compensazione delle spese del giudizio tra le parti, per la novità della soluzione adottata dalla giurisprudenza di legittimità, in epoca successiva alla proposizione del ricorso e raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (conformemente alle indicazioni di Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535);

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e dichiara le spese del giudizio compensate tra le parti.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.